Dr Commodore
LIVE
Content creator

Anche i content creator vanno pagati in modo equo

La parola content creator ormai è sempre più diffusa sul web, soprattutto da dopo la pandemia da COVID-19. C’è voluto del tempo perché emergesse un termine unico per chi crea contenuti su internet. Fino ad allora si utilizzavano vocaboli legati alle singole piattaforme, come per esempio youtuber o il più generico streamer. Oggi il termine è sdoganato, e viene utilizzato anche dalla stampa quotidiana non troppo legata al mondo di internet.

Ma chi sono i content creator? Questo termine raccoglie decine e decine di lavori diversi, svolti su piattaforme diverse. Ci sono coloro che creano ogni giorno video su TikTok e Instagram; chi trasmette ore su ore di video gameplay, “just chatting” e altri contenuti su Twitch; chi realizza disegni o altri servizi su piattaforme di freelancing quali Fiverr; chi, infine, produce contenuti per adulti su siti come OnlyFans.

Tutte queste professioni hanno una cosa in comune: la percezione di non essere pagate come dovrebbero. Certo: il web è ricco di content creator dai guadagni multimilionari, specie se si parla di “influencer”. Ma parliamo di una piccola fetta di professionisti. I social sono pieni di content creator che vivono nell’incertezza del proprio lavoro e che si sentono poco protetti. È giunto il momento che i content creator vengano pagati in modo equo.

Content creator

La difficile realtà dei content creator

“Techcrunch” nei giorni scorsi ha pubblicato un interessantissimo editoriale sulla realtà dei content creator, incentrato sulla precarietà di molte professioni e sulla mancanza di una piattaforma sindacale dedicata ai lavori di internet. Il discorso che fa la testata vale soprattutto per gli USA, ma lo si può tranquillamente estendere anche al nostro Paese.

“Techcrunch” in particolare ha ascoltato molti content creator, attivi su diverse piattaforme. Da Youtube a Instagram, fino a TikTok ci sono tre diversi elementi in comune. Il primo è la differenza enorme tra i guadagni multimiliardari delle piattaforme e i guadagni a volte scarsi dei content creator. Per esempio, troviamo la testimonianza di Erin McGoff, che conta circa 3 milioni di follower tra i suoi account TikTok e Instagram.

Nonostante questi numeri considerevoli, dalle singole piattaforme Erin ci ricava ben poco: su Instagram ha un video da 900 mila visualizzazioni, ma che ha generato solo “sei dollari”. Come sottolinea “Techcrunch”, Erin guadagna più dalle sponsorizzazioni che dal social di Meta stesso. E qui emerge un problema comune a milioni di content creator: il dover vivere di sponsorizzazioni, con tutti i pregi e i difetti del caso.

Utah denuncia TikTok per manipolazione di minori e collegamenti con la Cina

Questo aspetto si collega al secondo concetto sottolineato da “Techcrunch”: la precarietà dei content creator. Basta un ban su una piattaforma, anche solo temporaneo (e spesso ingiusto) per perdere migliaia di euro di guadagni, se non di più. In più, spesso l’assistenza e il supporto tecnico delle piattaforme sono carenti o inesistenti, lasciando a sé stessi i content creator.

Da qui arriviamo al terzo punto: la precarietà e le paghe non eque sono anche figlie di una mancanza di riconoscimento e protezione da parte dei sindacati. Negli USA non esiste un’organizzazione che protegge i diritti dei content creator. Nel corso degli anni i professionisti del web non sono mai riusciti a unirsi per formare un sindacato, sul modello di SAG-AFTRA per gli attori o WGA per gli sceneggiatori di Hollywood.

Ci sono stati dei tentativi negli anni, ma infruttuosi. Sono tutti falliti per la disomogeneità delle varie professioni: ogni content creator lavora per una piattaforma diversa e fa una professione totalmente diversa. Molto difficile vedere nel prossimo futuro uno sciopero di massa dei creator del web, come invece è successo per gli sceneggiatori e gli attori di Hollywood questa estate.

sciopero, attori, sag.-aftra

Oltre gli USA: la realtà italiana, quando tutto il mondo è paese

Il discorso fatto da “Techcrunch” potrebbe valere soprattutto per gli USA, piuttosto che per il nostro Paese. Ma molte delle considerazioni fatte dalla testata valgono anche per l’Italia: anche qui i content creator sono una categoria di professionisti che vivono in uno strano limbo. Un limbo dove da un lato possono considerarsi fortunati per le possibilità che offre il web; ma dall’altro lato, non sono considerati dei veri lavoratori (i social sono pieni di commenti del tipo “Ma vai a zappare la terra”, “ma andate in miniera)”.

Come negli USA, anche in Italia abbiamo un buon bacino di creator del web che hanno costruito grandi carriere sui social. Ma, allo stesso tempo, il 90% di loro non è giustamente pagato dalle piattaforme. In più, come sottolineato sopra, mancano anche in Italia riconoscimenti sindacali per i content creator. Se nel nostro Paese non esistono sindacati sul modello delle “guild” e “union” americane, non c’è comunque una tradizione storica di sindacati per i creator (a parte il recente Assoinfluencer). Anche da un punto di vista fiscale i creator non sono riconosciuti come tale: non esiste un codice Ateco vero e proprio per influencer o content creator.

YouTube smartphone

Un discorso che riassume bene la situazione di molti content creator è quello fatto molte volte da Dario Moccia, anche di recente in occasione della sua Maratona inconcludente di dicembre (il video lo trovate qui sotto, e il discorso lo fa nei primi 8-10 minuti). Nelle sue live su Twitch lo streamer ha spesso ribadito la situazione precaria di molti suoi colleghi: non essendo protetti o sostenuti troppo dalla piattaforma, molti streamer sono costretti a vivere dei soli numeri, a dover fare live tutti i giorni per moltissime ore. Il che porta a tutta una serie di conseguenze, come un’ossessione costante per i numeri.

Uno dei problemi principali sottolineati spesso da Dario sta proprio nei guadagni: Twitch come YouTube o altre piattaforme non paga uno stipendio fisso ai suoi creator, ma va tutto in base alle views e agli abbonamenti. Lui stesso ha detto che rinuncerebbe ai suoi guadagni attuali per uno stipendio fisso, anche più basso: una stabilità che sarebbe migliore della precarietà vissuta da migliaia di content creator sul web.

twitch

E quindi: i content creator di tutto il mondo dovrebbero essere pagati in modo più equo? La risposta è ovviamente sì. Succederà mai? Difficile a dirsi. In 15 e più anni di web 2.0 tante cose sono rimaste le stesse. Prima YouTube, poi Instagram, e, infine, Twitch e TikTok: ogni anno sono spuntate fuori nuove piattaforme, ma tutte offrono opzioni identiche ai content creator. Ovvero, grandi opportunità con le views, ma nessuno stipendio fisso e nessuna stabilità economica. Non rimane che sperare nella nascita di una nuova piattaforma che porti più sicurezza economica ai content creator.

LEGGI ANCHE: L’AI non rimpiazzerà il lavoro creativo: è davvero così?

Fonte: 1

social

Articoli correlati

Alessandro Guarisco

Alessandro Guarisco

Ebbene sì: scrivo da 2 anni per DRCOMMODORE di Tecnologia, Anime e manga Appassionato del mondo Apple, Android e Windows One Piece, One Piece ovunque Profilo Linkedln per scoprire i miei segreti: https://www.linkedin.com/in/alessandro-guarisco-1417321ab/

Condividi