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Prince of Persia, una retrospettiva sulla trilogia delle sabbie del tempo. Cosa aspettarsi dal remake?

In occasione di Prince of Persia Le Sabbie del Tempo Remake abbiamo deciso di rispolverare l’originale trilogia di casa Ubisoft. Ecco le nostre considerazioni sulla saga

“Molti credono che il tempo sia come un fiume che scorre lento in un’unica direzione, ma io che l’ho visto da vicino posso assicurarti che si sbagliano”. Dal passato a volte si torna, improvvisamente, oggigiorno anche troppo spesso. Tra remake, remastered e porting sono tanti i modi per godere dei titoli vintage, in altra forma, oltre la loro supposta “data di scadenza”.

Un trend, questo, che ha contagiato trasversalmente l’intera industria videoludica. Un’enorme operazione nostalgia che, con innegabili pregi e difetti – troppi per essere enumerati e discussi in questa sede – sembra non lasciare indifferente il proprio pubblico di riferimento. Il videogiocatore, specie quello attempato, è un inguaribile romantico: fare leva sulle emozioni dell’utenza risulta in un investimento a colpo sicuro.

Eppure, parliamo al contempo di un’arma pericolosamente a doppio taglio: se ne sono accorte le divisioni Ubisoft di Pune e Mumbay dopo la presentazione all’ultimo Ubisoft Forward del Remake di Prince of Persia Le Sabbie del Tempo. La riproposizione di un classico d’altri tempi porta infatti degli onori – come quello di garantire un’immediata e spropositata visibilità al progetto – ma anche e soprattutto degli oneri. Si tratta infatti di processi di sviluppo estremamente complessi, che vivono di sottilissimi equilibri. Tra modernità e tradizione, svecchiamento e conservazione, facilità di fruizione per i nuovi utenti ed uno stile riconoscibile che faccia sentire “a casa” quelli di lungo corso.

È il motivo per il quale gli studi specializzati in questo tipo di operazioni sono pochi ed estremamente richiesti: tra questi Vicarious Visions, Toys for Bob ed ovviamente Bluepoint Games. Un giorno potremo annoverare in questo pantheon d’illustri esponenti anche gli studi indiani che fanno capo ad Ubisoft? È oggettivamente presto per dirlo, anche se le premesse gettate nel primo trailer di Prince of Persia Le Sabbie del Tempo Remake destano qualche preoccupazione di troppo.

Il focus principale di un remake, senza girarci attorno, è quello tecnico e grafico. L’eventuale svecchiamento delle meccaniche è solo un passo successivo, spesso utile ed estremamente delicato, ma non fondamentale. Certo, non è facile trovare nel medium dei prodotti tanto meccanicamente ineccepibili da risultare senza tempo, eppure è innegabile come, con la nostalgia a fare da forza motrice, un remake eccessivamente differente dall’opera originale possa contraddire le aspettative del pubblico; indipendentemente dall’effettiva bontà del lavoro svolto.

Proprio sotto questo punto di vista, complice l’aver mostrato una build che si vocifera essere arretrata, il remake di Prince of Persia Le Sabbie del Tempo sembra rappresentare una spiacevole dissonanza. La grafica attempata, i modelli grezzi e le animazioni non del tutto convincenti segneranno il fallimento del progetto? Tutto è perduto senza possibilità alcuna di redenzione, dunque? Non proprio.

Internet è un mezzo potentissimo, ma con molti innegabili difetti: uno di questi è quello che porta i suoi fruitori a giudicare troppo spesso attraverso estremi, o bianco o nero, o ottimo o pessimo. Un altro è quello di trasformare un giudizio frettoloso e sommario in una sentenza inappellabile. Tranquilli. C’è ancora speranza per il remake di Prince of Persia Le Sabbie del Tempo, e c’è in virtù di caratteristiche specifiche che rappresentarono i punti di forza assoluti del titolo del 2003.

Le Mille e Una Notte in salsa Ubisoft

Il progetto Prince of Persia Le Sabbie del Tempo prende le mosse da un enorme fallimento, sia videoludico che commerciale, chiamato Prince of Persia 3D. Sviluppato e pubblicato da Red Orb nel 1999, sotto la supervisione dello stesso Jordan Mechner che ha dato i natali all’IP, il titolo esplicitava l’enorme duplice ambizione di trasporre in tre dimensioni la formula dei platform 2D di Broderbund e di fungere da seguito agli stessi. Per colpa di controlli scomodissimi e la presenza spropositata di bug, però, il gioco non riuscì ad imporsi e finì col rivelarsi il più proverbiale dei buchi nell’acqua.

Nel 2001 la proprietà intellettuale del principe fu dunque acquisita, assieme alla stessa Broderbund, dal publisher transalpino Ubisoft. Una società di belle speranze ma non ancora l’enorme player del mercato che conosciamo oggi, capace com’è di sfornare a stretto giro di posta più titoli tripla A nel corso di un anno solare. Ai tempi si trattava di una compagnia di status medio, con le mani in pasta in tanti progetti, sviluppatori e designer di enorme talento sotto la propria ala e tanta voglia di competere, da azienda europea, con i colossi giapponesi ed americani.

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In quest’ottica, il recupero di un’IP storica ed il suo rilancio dopo un passo falso per un ingresso trionfale nel mercato 3D sembrava un’idea estremamente vincente, troppo intrigante per non essere perseguita. Così iniziò uno sviluppo lampo supervisionato ancora da Mechner, con l’ausilio come director di uno dei giovani talenti interni ad Ubisoft Montreal: tale Patrice Désilets.

Dopo poco più di un paio di anni di sviluppo, Prince of Persia Le Sabbie del tempo vide la luce nell’ottobre del 2003. Fu chiaro da subito alla stampa specializzata che il titolo fosse a suo modo molto speciale. Non tanto per il combat-system, basato su combo basilari, una rotolata e la possibilità di eludere gli attacchi attraverso un salto che permetteva al pg di posizionarsi alle spalle dei nemici – anche se si trattava di manovre molto spettacolari nell’esecuzione – quanto più per le atmosfere e l’art direction. Prince of Persia convogliava tutte le esperienze transmediali che avessero ad oggetto medioriente ed India in un unico prodotto. Il principe fa anche da narratore della storia, con l’escamotage narrativo spiegato solo nella sequenza finale, dando l’impressione di vivere una vera e propria fiaba. Una di quelle dei racconti pregni di folklore e leggende della raccolta “Le Mille e Una Notte”.

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Ludicamente parlando, seppure la struttura fosse quella di un “semplice” action-platform, con un focus particolare sull’esplorazione lineare del palazzo di Azad e la risoluzione di enigmi piuttosto ispirati, vanno rilevate alcune chicche che resero il prodotto immediatamente riconoscibile ed iconico: in primo luogo l’aver sdoganato il wall-running sia in fase offensiva che esplorativa, possibilità di gameplay ripresa in tantissime delle opere successive, basti pensare a Respawn con le sue più recenti produzioni. In seconda istanza, proprio l’elemento che dà il sottotitolo al gioco: l’uso delle sabbie del tempo.

Anch’esse si prestavano a vari utilizzi, sia in esplorazione che in combattimento. Sia per rallentare i nemici e il tempo circostante, che come flashback dopo un salto finito male. Una meccanica semplice, quella del riavvolgimento temporale, ma di grande effetto scenico e che contribuì in maniera significativa all’alone mitologico che tutt’ora permea il titolo e l’intera trilogia.

Cambio di tono e conseguenze delle proprie azioni

Il successo del titolo non coinvolse solo la critica, ma anche il pubblico e conseguentemente le vendite. Le Sabbie del Tempo totalizzò un milione di pezzi venduti al febbraio dell’anno successivo. La possibilità che l’IP diventasse una gallina dalle uova d’oro era già stata subodorata dai vertici di Ubisoft, tant’è che all’epoca già si lavorava ad un sequel, uscito poi nel dicembre del 2004: Prince of Persia Spirito Guerriero.

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Con un solo anno di sviluppo sul groppone, tutti si sarebbero aspettati un banale more-of-the-same; eppure in Ubisoft qualcosa stava cambiando. Dèsilets venne destinato ad un progetto molto grande per la successiva generazione di console e ad un anno di distanza dalla data di rilascio programmata, Spirito Guerriero si trovava senza il proprio Director. Pure Mechner abbandonò definitivamente il brand e poi, in verità, l’intero mondo dei videogiochi.

Il progetto venne infine affidato al duo Jean-Christophe Guyot e Kevin Guillemette che, molto coraggiosamente, decise di stravolgere la formula del primo capitolo. Stuart Chatwood riprese in mano il leggio e si occupò della composizione dei brani per il nuovo capitolo della serie, ma stavolta con influenze molto diverse rispetto al passato: non più con la finalità di restituire al giocatore atmosfere da notti d’oriente, quanto più per porre l’accento sulla tematica della dura lotta per la sopravvivenza ed enfatizzarla con sonorità smaccatamente heavy-metal. Un cambio di tono radicale ed incredibilmente pubblicizzato, grazie anche alla partecipazione illustre dei Godsmack alla colonna sonora. Da segnalare, sempre in merito ad intenti pubblicitari, l’adesione al progetto di figure dello spettacolo come Monica Bellucci, voce di Kaileena in versione anglosassone e quella del mitico – quanto poco portato – Gabriel Garko per interpretare il principe, in versione nostrana.

Prince of Persia Spirito Guerriero è ambientato sette anni dopo le vicende del primo titolo. Un lasso di tempo non da poco che servì a giustificare l’incredibile evoluzione caratteriale del principe: da atletico ragazzino, ingenuo ed inesperto, a macchina da guerra che deve rimediare ai propri errori di gioventù.

Il principe di questa iterazione è un personaggio risoluto e disilluso con un nemico invincibile alle calcagna. Una persona disposta a tutto per salvarsi la vita, una che non ha nulla da perdere e che sul campo di battaglia non guarda in faccia a nessuno. Il nuovo stile del personaggio si ripercuote sull’intera opera, la quale abbandona la festa di colori delle sabbie del tempo per abbracciare toni decisamente cupi, spezzati solo dal rosso intenso del drappo in vita al protagonista e di quello del sangue dei suoi nemici.

Nonostante il completo restyle a cui si sottopose l’opera, ludicamente parlando furono poche le aggiunte di rilievo ad una formula già rodata: tra queste ricordiamo il dual-wielding, ossia la possibilità di utilizzare due armi in contemporanea e che, alla stregua di consumabili, andavano incontro alla rottura dopo un determinato numero di utilizzi. Esse potevano essere raccolte nelle mappe o rubate ai nemici, tramite nuove brutali animazioni che comprendevano delle spettacolari esecuzioni. Altra aggiunta, la presenza di due finali a seconda del reperimento o meno di una determinata arma, oltre a quella dell’inquietante Dahaka, l’invincibile guardiano del tempo, che garantì inseguimenti al cardiopalma in pieno stile Nemesis… se Jill Valentine fosse stata una freerunner, chiaramente.

Proprio per il suo stile così differente da quello del predecessore, il titolo risultò particolarmente divisivo. Impossibile mediare tra le due correnti: una parte detestò follemente il cambio di rotta, ritenendo sgradevole il “principe edgy” e l’abbandono delle atmosfere orientaleggianti delle Sabbie del Tempo.  L’altra parte, di contro, trovava azzeccatissima l’atmosfera più cupa ed il passaggio al setting spoglio, grezzo e sporco dell’Isola del Tempo. Ubisoft troverà il modo di conciliare queste visioni nel capitolo finale della trilogia: un’iterazione che, senza paura di smentita, potremmo effettivamente considerare a due facce.

Un epilogo agrodolce, tra passato e futuro

Come mettere d’accordo due schieramenti tanto agli antipodi? Probabilmente Cercando di creare un seguito sul filo di quel dualismo. Prince of Persia I Due Troni cerca di riscrivere la storia de Le Sabbie del Tempo, partendo dalla base di uno dei finali di Spirito Guerriero. La Timeline della trilogia risulta distorta e vecchi nemici sono di nuovo in agguato. Anche il principe non è più lo stesso: una voce gli rimbomba nella testa e prende il controllo del suo corpo in maniera inprevedibile, in quello che è a metà tra un epilogo ed un nuovo inizio.

Anche sul versante del gameplay I Due Troni vive di chiaroscuri: al contempo è sia il prodotto più maturo e consapevole della saga che quello più gravato dal peso della ripetitività. Nel 2005 e con tre titoli all’attivo, la saga era già stata spremuta a sufficienza e, considerati i tempi ristrettissimi dello sviluppo per ogni singolo gioco, i titoli non potevano beneficiare del tempo materiale per introdurre meccaniche fresche e che dessero respiro al concept iniziale. Ambientato in una Babilonia sui toni caldi, soprattutto quello dell’ocra, l’atmosfera s’incupisce con la comparsa del Principe Oscuro: un antieroe che sarà sia una preziosa risorsa in combattimento che il vero villain della storia.

L’aggiunta delle corse in biga su binari, ad evitare ostacoli, non bastò a rinfrescare le meccaniche di un prodotto che necessitava d’idee nuove, pur rimanendo perfettamente godibile e solido nel complesso. È così che entra in gioco nuovamente Désilets ed il suo progetto per il futuro: un Prince of Persia che godesse delle migliorie tecniche del motore Scimitar – poi conosciuto come AnvilNext – per un prodotto open-world. Il tutto però non vide mai la luce del sole. Il titolo venne convertito in una nuova IP lanciata nel 2007 a cui venne assegnato il nome di Assassin’s Creed. Il resto è storia.

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Le idee nuove arrivarono solo nel 2008 con il noto Reboot del franchise in cell-shading. Per quanto questo fosse un progetto estremamente curato sul versante artistico, però, non riusciva a spiccare altrettanto sotto quello ludico e del game design, diventando uno degli emblemi della facilità dei videogiochi all’inizio della settima generazione di console. Se poi contiamo che il finale della storia del mendicante persiano che si fa chiamare “principe” sia stato venduto separatamente con un DLC a pagamento, capiamo come mai il titolo si sia costruito una fama non troppo positiva al lancio e, soprattutto, come questa specifica iterazione non sia mai stata considerata dai fan di vecchia data come un reale nuovo inizio per il brand.

L’auspicio è che possa diventarlo il remake del prossimo 21 gennaio, anche se dovesse trattarsi di un prodotto tecnicamente non al top. Che possa rievocare la grandezza dell’originale Le Sabbie del Tempo attraverso le atmosfere, le musiche, la direzione artistica e la capacità di far sognare che hanno già ammaliato milioni di giocatori in tutto il mondo: “Il tempo è un mare in tempesta! Forse ti chiederai chi sono e perché io parli così. Siedi e ti racconterò la storia più incredibile che tu abbia mai sentito…”

 

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Angelo Basilicata

Angelo Basilicata

Gamer dall'età di 12 anni, cultore (o meglio "cultista") di Hidetaka Miyazaki dal 2009. vive la passione per i Vg da completista ed è un ragazzo semplice: mangia, gioca, ama

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