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Doom Eternal è l’esempio perfetto di continuità

Doom Eternal, l’Arte di accontentare

Questa settimana abbiamo potuto ammirare il primissimo gameplay di Doom Eternal in tutto il suo splendore, direttamente dal Quake-Con 2018. Un impatto “mostruoso”, sia stilisticamente che a livello di pure meccaniche. Da ciò che abbiamo potuto osservare quindi, Eternal appare come una netta e decisa evoluzione del capitolo precedente, senza però snaturarne la formula vincente. Ecco quindi perché riteniamo che il rilancio di Doom sia l’esempio perfetto di come le idee nei videogiochi vadano portate avanti, senza perdere in corso di sviluppo la propria identità.

doom eternal logo

Perché Doom nel 2016 è stato accolto pubblicamente come il grande titolo che era? La storica saga FPS era arrivata ad un punto morto per il brand. Con Doom 3, nel tentativo di elevare la formula a qualcosa di nuovo, si era verificato un allontanamento dall’identità della serie e dalla propria marca stilistica. Un titolo che, nonostante la qualità generale della produzione, aveva perso decisamente il proprio volto: dalla purissima e frenetica anima FPS ad un’atmosfera dalle tinte caute e orrorifiche. Dunque, servivano nuove idee per riesumare un brand che merita il suo posto in ogni generazione videoludica. Doom (2016) ha sancito il ritorno ai fasti di un tempo, portando innovazione e tradizione nello stesso gioco.

doom 2016

Coniugare gli interessi, Arte non per tutti

id Software è riuscita nell’Arte di accontentare. Ha accontentato i veterani che chiedevano un gioco frenetico, adrenalinico come ai vecchi tempi, ma anche il nuovo pubblico, catturato grazie alle innovazioni delle meccaniche e il setting generale del mondo di gioco. Il ritorno sul pianeta rosso, i nuovi nemici, le mappe classiche ed un level design accuratamente studiato per far rigiocare il titolo ancora e ancora. I collezionabili sparsi per tutte le mappe, sono la ciliegina sulla torta.

A conti fatti, una scommessa più che vinta, grazie a un impianto che di Doom conserva l’anima, espressa tuttavia con rinnovato vigore e personalità. id software ha avuto l’accortezza di osare con elementi che non tradiscono lo spirito di Doom, ma ne ampliano le sensazioni che Romero voleva suscitare nel 1993. Esemplificativo è il sistema di esecuzioni, che ben si sposa con la frenesia e il flusso di violenza che Doom ha sempre portato a schermo. Nuove introduzioni similari si riscontrano nel gameplay recentemente mostrato di Doom Eternal, del quale arriviamo a parlare.

doom eternal

Doom Eternal, il sequel che tutti vorremmo

Torniamo adesso a parlare di ciò che abbiamo visto negli scorsi giorni. La componente di sicuro più impattante è il mondo di gioco: la Terra è stata nettamente soggiogata dai demoni infernali. Ci si sposta da mappe chiuse, astronavi claustrofobiche, ad intere città con tanto di grattacieli e palazzi ormai in rovina. Inoltre, abbiamo potuto vedere come la mobilità sia stata ampliata grazie al rampino.

Quest’ultimo, assieme al dondolamento sui tubi, costituisce un’introduzione che sicuramente verrà usata con criterio per aumentare la profondità dell’approccio agli scontri. Questo è un punto da evidenziare: Doom Eternal non strizza l’occhio alla moda sfrenata dei mondi aperti a tutti i costi. Ci propone mappe verticali, rare nel genere e mai viste nella serie, impostando nuovi paletti in modo silente. Questi ultimi devono essere agilmente sorpassati dal giocatore grazie a suddetti “game changer” introdotti nelle meccaniche sovrastrutturali.

Doom Eternal

Niente mezzi termini: noi, loro e la doppietta

Una delle maggiori similitudini che abbiamo notato col precedente capitolo del 2016, è l’immediatezza del gameplay. Doom è un titolo raro e speciale al giorno d’oggi. Senza lunghi preamboli o introduzioni interminabili atte a contestualizzare il gioco, ci catapulta nel caos più totale. Non abbiamo bisogno di sapere chi siamo o dove ci troviamo. L’abbiamo potuto notare con le cutscene introduttive di entrambi i capitoli. Brevi, dirette e che subito ci portano nel tenore di gioco.

Siamo solamente noi, la nostra doppietta ed una colonia di demoni. E se proprio volete sapere di più sugli avvenimenti che ci hanno portato a combattere le creature infernali, ci sono sempre i file nascosti da trovare per le mappe. Questo è ciò che dà valore al lavoro svolto in questi anni su Doom: sono state poste delle solidissime basi, sulle quali pare essere stato costruito un solido grattacielo. Speriamo che le premesse mostrate dal gameplay di ieri vengano mantenute, e non valgano esclusivamente per la sezione mostrata.

Quando nuovo non è sinonimo di bello

Passiamo ora ad alcuni dei casi in cui la parola nuovo non è sinonimo di bello. Se ci seguite da molto, ricorderete che parlammo già in una flop 10 dei peggiori sequel nella storia dei videogiochi. Oggi vi riproponiamo un estratto di quella classifica, per parlare di uno dei casi più eclatanti. Stiamo parlando di Mirror’s Edge Catalyst.

“Nel 2016, Mirror’s Edge Catalyst ha dimostrato che DICE impara davvero poco dagli errori. […] Lo slancio verso il mondo aperto non è stato abbastanza audace, ed 8 anni dopo quel ottimo banco di prova, MEC è ancora ingessato e limitato nel rapporto movimento-ambiente. Sistema di movimento più snello, senz’altro, ma ancora legato ad un level design concepito per percorsi stabiliti. La storyline di Mirror’s Edge non era certo solidissima, ma DICE si è impegnata a dovere per fare peggio. Troppi spunti lasciati appassire, troppi personaggi che oscillano al vento come rami morti – a partire dalla versione modernizzata di Faith.”

Mirror's Edge Catalyst

Le differenze tra i due titoli sono abissali

Eternal sembra portare avanti lo spirito di gioco, trasportandoci nel caos più totale, riproponendo ambientazioni classiche con un nuovo stile che non snatura ciò che era stato precedentemente creato. Catalyst, dalla sua, è un titolo che ha avuto il coraggio di osare, ma senza portare rispetto per tutto ciò che precedentemente era stato fatto – dal Game Design al piano diegetico.

Questo ha comportato inevitabilmente lo snaturamento della formula vincente del primo capitolo – la quale di critico aveva esclusivamente gli scontri a fuoco – incrinata da una struttura a mondo aperto che non si sposa con l’idea di percorsi studiati, legata a doppio filo al concept di Mirror’s Edge. Con questa conclusione, che vuole mostrare la differenza tra un seguito ben ideato e uno mal concepito, speriamo che il nuovo Doom si riveli ciò che è sembrato essere. Il lavoro fin ora mostrato è sicuramente lodevole, ma ciò non basta, i nostri migliori auguri, dunque, per il ritorno del Re degli FPS.

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