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Rebel Moon: parte 1, la nostra recensione – Un’opera dal grande potenziale

C’era una volta un progetto di Star Wars, un progetto che si voleva ispirare ai film di Akira Kurosawa. Poi Disney ha acquisito Lucasfilm, il progetto viene rielaborato per staccarsi dal franchise e passa sotto la gestione di Netflix. È così che nasce Rebel Moon: parte 1, Figlia del fuoco, il nuovo film di Zack Snyder in uscita su Netflix il 22 Dicembre.

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Le eccessive ispirazioni di Rebel Moon

In effetti Rebel Moon è tutto ciò che sarebbe dovuto essere. L’ispirazione a Star Wars c’è tutta, sin dai primi minuti, in cui ci viene illustrato l’universo narrativo in cui stiamo per immergerci: ci troviamo nello spazio, in una galassia che vede la reggenza di un esercito guidato dal tiranno Balisarius. Seguiamo le vicende di Kora, una giovane donna dal passato misterioso che vive in una piccola comunità di contadini. La pace della comunità verrà sconvolta dall’arrivo sul pianeta di alcune truppe di Balisarius, che intendono privare gli abitanti di gran parte del loro raccolto. Kora sarà quindi chiamata a dover opporre resistenza all’esercito invasore.

Se la dinamica impero-ribelli calata nel contesto fantascientifico non dovesse bastare a ricordarvi guerre stellari, vi basterà proseguire nella visione del film per accorgervi dei numerosi richiami disseminati qua e là nella storia. Altrettanto evidente l’ispirazione a Kurosawa, nello specifico a I sette samurai, in cui un gruppo di contadini deve difendersi dai ricatti di una schiera di predoni che minacciano di togliere loro l’intero raccolto per sfamarsi. Nel fare ciò, alcuni di loro andranno alla ricerca di abili guerrieri che potranno ingaggiare per far fronte alla minaccia. Fondamentalmente, questo è lo stesso percorso che segue Kora nella pellicola.

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Alla luce di ciò, per quanto possa essere stato rielaborato, poco è cambiato dall’idea originale del progetto. Un progetto che, probabilmente, se fosse rimasto sotto il franchise di Star Wars, avrebbe potuto risparmiarsi l’effetto di “già visto” che colpirà gran parte del pubblico. Perché il “già visto” permea gran parte dell’opera di Snyder, dalle atmosfere ai personaggi e alle loro dinamiche, al punto che anche quel colpo di scena che la trama si riserva per le fasi finali si dimostra parecchio scontato e prevedibile.

La stucchevole spettacolarità di Snyder

Nonostante le numerose critiche, non si può dire che Zack Snyder non goda di un fandom particolarmente devoto. D’altronde, Zack Snyder’s Justice League ha visto la luce proprio perché richiesto a gran voce dai fan, gli stessi fan che, ad oggi, non si sono ancora arresi, e spingono per vedere la conclusione dello Snyderverse, anche solo su Netflix.

Snyder piace a molti, con tutta probabilità grazie alla sua estetica molto pop, dirige film dalle trame semplici e non si lascia andare in particolari virtuosismi registici. La sua regia, invece, vuole sempre accentuare e valorizzare la spettacolarità. Cosa che da una parte gli riesce bene: le scene action, anche in questo film, sono sempre molto chiare, pulite, lo spettatore può seguire facilmente i movimenti di ogni personaggio anche nelle fasi più concitate. Questo anche grazie all’uso che Snyder fa dello slow motion, un uso che ci mette poco a diventare un abuso.

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Se in un primo istante il movimento a rallentatore sembra sottolineare le abilità nel combattimento della protagonista e renderle più affascinanti, anche attraverso una coreografia molto ben studiata, l’uso ripetuto di questa tecnica la rende una semplice cifra narrativa: nel film l’azione è raccontata in questo modo, e va così perdendo parte del suo fascino.

Niente buchi in questa trama, ma è una sottiletta

Visivamente il lavoro di Snyder è pulito. Certo, la regia si dimostra in molti momenti televisiva, e gli effetti speciali spesso si allontanano da quelli che siamo abituati a vedere in sala, ma essendo l’opera pensata per il piccolo schermo, ci permettiamo di dire che è su un livello medio-alto sotto questo punto di vista. Meno convincente, invece, la struttura narrativa del film che, oltre al già citato senso di “già visto” si dimostra spesso pigra e poco equilibrata.

Dai personaggi primari a quelli secondari, molti sono stereotipati, poco approfonditi e con una caratterizzazione appena accennata. Vale lo stesso per gli antagonisti, il villain principale su tutti che, pur essendo abbastanza minaccioso, non ha niente che lo renda memorabile. Più interessante invece Kora, che ha qualcosa in più da raccontare rispetto agli altri, ha un passato ricco di mistero e alcuni spunti interessanti per un futuro arco narrativo.

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Sarà però difficile affezionarsi a questa protagonista, che rivendica questo ruolo dopo parecchio dall’inizio del film, lo perde nella fase centrale e lo riacquista con poca prepotenza nella fase finale. Insomma, una presenza altalenante, troppo accantonata mentre conosciamo gli altri membri del gruppo. Sarebbe stata una scelta giustificabile, se quel tempo fosse stato speso per una costruzione più completa dei secondari, ma così non è stato.

Conclusioni

La prima parte di Rebel Moon non è nulla di eccezionale e nella sua semplicità riesce puramente nell’intento di intrattenere lo spettatore. Tuttavia, è difficile non definire una delusione una pellicola dal grande potenziale, che avrebbe potuto raccontare qualcosa di più del mero scontro tra due fazioni, con personaggi più sfaccettati o un immaginario più elaborato, data anche l’esplicita intenzione di rendere Rebel Moon un franchise. Ci teniamo però a ricordare che la seconda parte uscirà il 19 Aprile 2024 e che, nonostante non sia riuscita ad alimentarla, questa prima parte non ha totalmente ammazzato la nostra curiosità.

Se siete incuriositi, cliccate qui per vedere il trailer del film.

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