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Assassinio a Venezia – La Recensione

È chiaro che Kenneth Branagh non abbia la benché minima intenzione di scucirsi di dosso il personaggio di Hercules Poirot, con tanto di enorme baffo ed irriverente accento francese. E, da buon british-man qual è, con “Assassinio a Venezia” continua a rinvigorire e a donare di luce nuova quell’amore per il murder-mistery che l’autrice compatriota tanto decantava.

Dopo una grigia e trascurabile presenza sul Nilo, a questo giro il Poirot di Branagh fa tappa a Venezia, sebbene de La Serenissima si contino solo una manciata di inquadrature in apertura e nell’epilogo della storia.

E mentre una donna, un’amica di Poirot, celebre autrice di best-seller, fa cenno agli ospiti del ritorno sulla scena del crimine del più noto investigatore al mondo, ci si chiede se la scelta più auspicabile per il detective non sia la pensione, tanto “prematura” quanto degna.

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Assassinio a Venezia: belle le premesse ma non il risultato

Romanzi e pellicole sono due forme di fruizione molto differenti fra loro, e non sempre la trasposizione risulta facile come può sembrare. Innumerevoli sono i casi di romanzi valorizzati, talvolta anche migliorati, dalla rispettiva controparte cinematografica (ne sono un esempio Shining di Stanley Kubrick o la trilogia de Il Signore degli Anelli di Peter Jackson); spesso, però, accade che una storia tanto potente e carica di pathos sia destinata a rimanere tra le pagine di un libro.

Sin dalla prima prova di adattamento (Assassinio sull’Orient Express, 2017) l’attore-regista britannico ha mostrato grande rispetto per la fonte originale, imbastendo un’opera che si salva grazie ad un cast stellare e a scenografie maniacali, ma che non può sfuggire allo spiegone finale in bocca al detective, tipico dei romanzi gialli, in particolare di quelli della Christie.

La risoluzione finale del caso, in cui il Poirot di turno espone la sua tesi definitiva, è infatti un tratto distintivo della penna dei giallisti (in quale altro modo si potrebbe concludere un romanzo?); sul grande schermo però la chiosa risolutoria del detective può risultare sbrigativa, facile, anche con scelte di montaggio visivamente ausiliari.

Kenneth Branagh Haunting in Venice

Veniamo quindi a quest’ultimo innesto nel franchise cinematografico dedicato alle opere di Agata Christie, nel quale una seduta spiritica (il giorno di Ognissanti) sfocia in un doppio omicidio, entrambi connessi ad uno avvenuto anni prima nella stessa casa.

Qui Branagh dimostra di conoscere a fondo il gusto del pubblico, appassionato e normie, vecchio e nuovo: le ambientazioni sfociano nel gotico puro e anche i toni si fanno più sinistri; tuttavia, questa “virata orrorifica” non esclude gli interessi dell’altra faccia del pubblico, che poco apprezza futili jump-scares e storie di fantasmi.

Il botteghino, pertanto, parla chiaro: se il primo film ha totalizzato più di 350 milioni in tutto il mondo a fronte di un budget di soli 55 milioni di dollari, dall’altra parte Assassinio sul Nilo si è rivelato uno dei più grossi Flop commerciali dello scorso anno.

Per questo motivo, la pellicola vuole prendere le distanze dal secondo film e soddisfare due tipologie di audience differenti, mescolando da una parte tradizionali stilemi whodunit e, dall’altra, trovate tipiche dell’horror moderno.

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“Assassinio a Venezia” è quindi una pellicola dalle premesse ambiziose e ricercate, che non si fa mancare di sicuro ottime prestazioni e una produzione di tutto rispetto; tuttavia, non riesce a centrare l’obiettivo che si propone, a causa di una scrittura superficiale e di personaggi poco tridimensionali. Se Assassinio sull’Orient Express vantava un set design mozzafiato e scenografie straordinarie, qui il livello tecnico si aggiunge ai problemi di contenuto: la fotografia, immotivatamente desaturata, non valorizza gli scorci veneti e i vari set interni, oltre ad una regia parecchio anonima e delle volte addirittura fuorviante.

Se si aggiunge nuovamente un finale raffazzonato e anti-climatico, indubbiamente l’Hercules Poirot di Kenneth Branagh continua a mostrare segni di stanchezza e perdita di stoffa, in attesa di una chiamata: non su una nuova scena del crimine, bensì al ritiro.

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Guglielmo Tamburino

Guglielmo Tamburino

Amante seriale di cinema in ogni sua forma e genere. Oltre ad una profonda devozione al Maestro Quentin Tarantino, il mio gusto è stato fortemente influenzato dal tocco di François Truffaut e dalla genialità di Sam Raimi.

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