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Death Stranding e la “virulenta curiosità” del gamer odierno

Perché vogliamo sapere tutto di un videogioco prima ancora che esca?

Cerchiamo di capire l’origine del fenomeno della “virulenta curiosità” del videogiocatore odierno

Al giorno d’oggi, si può purtroppo constatare, non senza una punta di tristezza e nostalgia, un fenomeno oramai molto diffuso nel mondo videoludico: quando viene annunciato un nuovo titolo o, peggio ancora, un sequel di una serie famosa, è inevitabile che si scateni una impietosa “tempesta di curiosità”. Il grande pubblico comincia a scalpitare, a chiedere nuove informazioni e talvolta addirittura a pretenderle. Si assistono a episodi non più troppo singolari, come se ciascun videogiocatore avesse immediatamente il diritto di sapere tutto su quel prodotto da poco annunciato.

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Se ciò che viene divulgato – sia esso un cosiddetto “leak“, un comunicato stampa o addirittura un bel trailer – non soddisfa a pieno lo spettatore, quest’ultimo, anziché mettersi il cuore in pace e aspettare ulteriori novità, si sveglia dal proprio torpore, pronto a lamentarsi sui social network di come sia stato insufficiente il comportamento del publisher. Un esempio solare del fenomeno in questione, recente tanto da essere ancora in corso, è Death Stranding, del quale parleremo meglio più avanti.

Un’importante distinzione

La curiosità di cui parliamo è in ogni caso da distinguere da quella curiosità, equilibrata e normale, che caratterizza l’essere umano. Qui parliamo di un atteggiamento esagerato, che avvelena gli ambienti in cui si sviluppa e che non riesce a fermarsi fino a completa e totale soddisfazione, anche oltre le reali necessità.

Osservando questo triste fenomeno, che chiameremo “la virulenta curiosità del videogiocatore contemporaneo”, non possono che sorgere dei quesiti. Innanzitutto, quali sono le cause di questa “patologia” che affligge il giocatore odierno? Cosa lo spinge ad una simile fame di informazioni, insaziabile e inarrestabile? Che cosa la rende, per l’appunto, virulenta? In secondo luogo, quali sono gli elementi di un titolo interessati dal fenomeno? Terzo, è sempre stato così? O meglio, la “virulenta curiosità” affligge solo i giocatori moderni, oppure contagiava anche quelli del passato? Infine, è possibile trovare un modo per arginare questa malsana curiosità, per ridurla, contenerla? Cerchiamo quindi di rispondere a queste domande.

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“Il paziente Zero”

Indubbiamente, il Web è una delle principali cause del fenomeno in questione. Fonte pressoché inesauribile di informazioni, Internet è un ottimo veicolo per la nostra patologia. La prima cosa che ormai qualunque individuo fa per informarsi, è impugnare il proprio smartphone e digitare su Google ciò che vuole sapere. Nel mondo videoludico, dove l’età media non è elevata e quindi indicativa di persone più avvezze alla tecnologia, questo è ancora più vero. Non appena arriva voce di una novità, o presunta tale, il videogiocatore contemporaneo si fionda su Internet alla ricerca di conferme.

Da questo punto di vista, un primo soggetto da incolpare per il dilagare della curiosità è proprio la casa di sviluppo, o il publisher, del prodotto videoludico. Essi sono infatti i principali interessati a sfruttare la “virulenta curiosità”, in particolare per costruire intorno al proprio prodotto quello che si dicehype. Questo modo di agire, più nello specifico di fare marketing, è in linea di principio perfettamente legittimo; è giusto che il creatore pubblicizzi la propria opera come meglio crede.

Nonostante questo, non sono infrequenti i casi di “esagerazione” delle caratteristiche di un titolo, dove il creatore, sfruttando l’ingenuità che accompagna solitamente la curiosità, arriva a rappresentare il titolo come qualcosa di molto diverso dalla realtà. Molti ricorderanno, a tal proposito, il caso No Man’s Sky, dove l’interessamento estremo per un prodotto che si presentava come innovativo ha finito per oscurare la capacità di giudizio dell’utenza.

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Nostra culpa

Proprio quest’ultimo “sintomo” della curiosità, ovvero l’annullamento dello spirito critico del videogiocatore alla ricerca di informazioni, il quale finisce così per credere a qualsiasi cosa pur di avere risposte, viene sfruttato primariamente da ulteriori soggetti. I primi che beneficiano della insaziabile sete del web sono proprio le testate giornalistiche, o riviste specializzate, che popolano Internet. L’intento di informare consapevolmente per soddisfare il normale e sano bisogno dell’utenza, che dovrebbe essere il motore per qualsivoglia giornale, talora viene abbandonato in favore della pubblicazione di contenuti utili al fermento di visualizzazioni; talora contenenti anticipazioni, scorrettezze, esagerazioni o addirittura falsità. Dunque, nell’alimentare l’eccessiva curiosità, la stampa specializzata ha le mani affondo nella pasta.

L’effetto gregge

Chiamando questa curiosità “virulenta”, abbiamo voluto da un lato sottolineare il suo carattere malsano, patologico, contrapposto a quello fisiologico di una normale curiosità. Dall’altro, mettere in luce la sua capacità di espandersi anche agli individui meno inclini a questo atteggiamento, arrivando ad aggregare masse di curiosi in cerca di risposte superflue. Il meccanismo psicologico attraverso cui questa caratteristica si esplica, a nostro avviso, è il classico “effetto gregge”, studiato da un esperimento condotto negli anni Cinquanta dallo psicologo Solomon Asch, ripetuto nel 2005 da Gregory Berns.

Con esso i due studiosi hanno dimostrato che gli individui tendono ad uniformarsi alla massa, in quanto dissentire dall’opinione maggioritaria crea disagio emotivo. Applicato al nostro caso, questo significa che i videogiocatori che normalmente non si interesserebbero ad un titolo, o si informerebbero moderatamente, sono portati a sviluppare, conformemente alla massa dei curiosi, un morboso interesse. A sua volta, questo li porta a cercare informazioni di cui non hanno bisogno, arrivando talvolta al pentimento. Quante volte vi è capitato di procurarvi anticipazioni indesiderate su un titolo per questo motivo?

Il caso “Death Stranding

Talora l’effetto gregge viene innescato dal creatore stesso del prodotto, che lancia un’efficace “esca” ai consumatori; altre volte a causa di caratteristiche proprie del titolo. Una combinazione delle due cose è Death Stranding, l’esclusiva PS4 di Hideo Kojima, la quale ha fatto molto parlare di sé per la sua misteriosità. La serie di teaser trailer dedicati a Death Stranding, ricchi di indizi ed enigmi, ha fatto discutere animatamente il web, muovendo la gente a fare speculazioni e ricerche per comprenderne il significato. In moltissimi hanno implorato Kojima di dare ulteriori informazioni, di spiegare il segreto dietro a Death Stranding.

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Il Game Designer ha però risposto negativamente, dicendo che non rivelerà molto altro del titolo prima della sua uscita. i giocatori di oggi vogliono sapere tutto subito, ha detto Hideo Kojima, spiegando che si è persa la (sana) curiosità di poter provare con mano il videogioco prima di conoscerlo. Un’inversione metodologica inaccettabile per lo sviluppatore, che si è opposto a questa tendenza.

Il responso all’ultimo trailer

Avete visto l’ultimo trailer di Death Stranding dall’E3 2018? Se sì, saprete che contiene alcuni minuti di vero e proprio gameplay. Tuttavia, come voleva Kojima, il trailer non risulta essere particolarmente rivelante, né sulle meccaniche di gioco né sulla trama. Ciononostante, parte della community si è sollevata in un grido di sdegno, non accettando il carattere enigmatico della campagna marketing ideata da Kojima Productions.

Il fatto che il teaser non sveli chi è il protagonista, cosa sono le creature che lo perseguitano e in cosa consista l’opera “oltre al camminare”, per certi utenti non è sopportabile. Pare proprio che si voglia già poter scrivere su un foglio cosa sia Death Stranding, in modo da comprare qualcosa che già si conosce. È questo l’atteggiamento da tenere di fronte ad un titolo di un designer veterano, il cui modus operandi è ormai assodato? La risposta viene da sola, tenendo conto anche del tempo che ci separa dalla realease; e ciò vale anche per gli altri prodotti.

Dalla A alla Z

Che cosa vogliono quindi sapere i curiosi? La risposta è semplice: tutto. Dall’alfa all’omega, dall’inizio alla fine, ogni elemento di un videogioco vuole ormai essere conosciuto prima del tempo. Piuttosto che farne esperienza diretta, il videogiocatore cerca video, articoli, guide per sapere tutto prima di scoprirlo. Sia chiaro, non sempre questo è negativo o ingiustificato. Tutti abbiamo cercato soluzioni e guide per completare al 100% un titolo, onde evitare l’impazzimento nel tentativo di riuscirci da soli.

Il caso peggiore si verifica però quando si aspetta la guida appositamente per cominciare l’esperienza videoludica, vivendola così attraverso la guida stessa. Esempio recente di questo è il celebre Fortnite, che ogni settimana propone nuove sfide, dove ad esempio bisogna collezionare alcuni oggetti nascosti nella mappa. Il giocatore medio attende la guida, e solo poi completa la sfida, seguendola passo passo. Ancora, è giusto attendere una recensione per decidere se l’acquisto è consigliato o meno. Tuttavia, altra cosa è basare la propria scelta interamente su di essa. Ciò comporta il rischio di precludersi un acquisto in realtà azzeccatissimo.

Un fenomeno insieme vecchio e nuovo

Sicuramente, la curiosità è una caratteristica dell’essere umano da sempre. Alcuni sostengono che sia grazie ad essa se oggi ci troviamo qui, nonostante dal punto di vista biologico siamo animali. Viene da sé perciò che, ieri come oggi, il videogiocatore sia curioso. Non a caso, l’esigenza di avere informazioni iniziò a formarsi non appena i videogiochi, nel loro percorso evolutivo, cominciarono ad acquistare una certa complessità. Tuttavia, la fonte di soddisfazione di questa curiosità, se non era l’esperienza diretta in negozi specializzati, era il consiglio dell’amico. Inoltre, parallelamente c’erano le riviste fisiche di settore. Queste ultime contenevano non di rado guide, che oggi invece possiamo facilmente reperire online gratuitamente.

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Questo è cambiato proprio con l’arrivo di Internet, e della sua apparente infallibilità nel fornire soluzioni di ogni genere. Ancor di più i vari social, hanno trasformato questa “vecchia” curiosità in un qualcosa di più articolato, ma allo stesso tempo tossico. Ora che tutto sembra a portata di mano, la naturale avarizia dell’uomo prende il sopravvento. Interiormente, il giocatore ha la spinta a un’insensata ricerca di informazioni sempre più approfondite.

Quest’ultima impedisce al videogiocatore di godere effettivamente dei prodotti creativi che si trova tra le mani. È forse questo il maggior effetto collaterale della “virulenta curiosità”. Immaginate lo stupore di coloro che trovarono il primo Easter egg nella storia dei videogiochi, giocando ad Adventure (1979), per Atari 2600. In una stanza nascosta e buia del gioco, appaiono infatti le iniziali dell’autore del titolo, Warren Robinett. Una sensazione ormai praticamente inarrivabile. Questa è ben rappresentata in “Ready Player One”, film da noi recensito.

Ci sono dei rimedi?

Lungi dal voler essere i “medici curanti” di questa patologia, vorremmo tentare nella conclusione di questa riflessione di essere piuttosto “infermieri”, cercando di consigliare alcune “medicine” che possano se non curare, almeno contenere il fenomeno. La virulenta curiosità del videogiocatore odierno, come abbiamo accennato in relazione ai vari esempi, è un sottoprodotto della “febbre da web”, alimentata dai social, che caratterizza la nostra società. È perciò proprio da questo che dovremmo partire per attenuare un atteggiamento indubbiamente negativo e controproducente.

In primo luogo, sarebbe consigliabile responsabilizzare maggiormente sia publisher che testate giornalistiche. Se queste entità si rendessero sempre conto che il pubblico non è un elemento da sfruttare e circuire per profitto, quanto piuttosto un cliente da rispettare e informare adeguatamente – politica senz’altro più efficace sul lungo termine – certe escalation da hype sarebbero meno frequenti. In secondo luogo, uno sforzo dovrebbe essere fatto dai videogiocatori stessi, in quanto non si può guarire da un male senza volerlo davvero. Riscoprire il “piacere della scoperta” è una tappa imprescindibile per la guarigione.

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La spinta interiore

Passando a rimedi più pratici, una reintroduzione delle demo, ovvero delle versioni di prova dei titoli, ormai passate di moda, sarebbe bene accetta. Incoraggerebbe il videogiocatore a toccare con mano, prima di rivolgersi al filtro dello Youtuber preferito. Inoltre, consiglieremmo agli sviluppatori di continuare ad includere sfide all’interno dei propri prodotti, ma di renderle progressivamente più interessanti da completare – o, perché no, adattabili in base all’utente. L’obiettivo è scoraggiare la ricerca online di una soluzione: il giocatore deve essere spinto a spendere volentieri un po’ di tempo per trovarla da sé – e questa è una delle cifre del buon Game Design.

Infine, i videogiocatori dovrebbero recuperare da un lato il proprio spirito critico, e dall’altro la sacra virtù della pazienza. Utilizzare con consapevolezza gli strumenti tecnologici a noi concessi, soprattutto i social, è a questo scopo fondamentale. Per utilizzare coscienziosamente strumenti così preziosi, richiede ulteriori strumenti concettuali alla base, che si acquisiscono, prima di tutto, con la cultura. Alla luce di tutto questo, speriamo non vi siate riconosciuti nel fenotipo del videogiocatore “curioso” in senso negativo. Se invece fosse così, vi augureremmo pronta guarigione! Potete leggere il nostro precedente editoriale a questo link. Le esperienze interattive necessitano di una classificazione più articolata? Scopritelo nell’articolo in calce.

Detroit: Become Human è davvero un videogioco? La necessità di un mercato più strutturato

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