Per anni e anni chiunque chiedesse in giro un modo divertente e leggero per imparare di più su come vengano prodotti gli anime si è visto rispondere quasi sempre allo stesso modo: “guarda Shirobako”. Pur dovendo rinunciare per ovvi motivi a certe importanti sfumature, la serie di P.A. Works è riuscita attraverso la prospettiva della diligentissima Aoi Miyamori a fornire agli interessati una certa infarinatura generale su come funzionino effettivamente le cose.
I tempi però sono cambiati, e ormai già da un paio di mesi Shirobako ha un rivale degno di essere chiamato tale. Finalmente abbiamo una serie che entra veramente nel dettaglio della produzione anime, e lo fa inoltre affiancando alla prospettiva “aziendale” già vista con Shirobako quella delle menti creative che li partoriscono.
Keep Your Hands Off Eizouken! ci narra la storia di Midori Asakusa, Sayaka Kanamori e Tsubame Mizusaki, un affiatatissimo e simpaticissimo trio di ragazze che, trovando un percorso comune nel quale far combaciare i loro interessi, formano un Club scolastico dedito alla produzione anime. Nell’accompagnarle in questa loro avventura, lo spettatore verrà inglobato in delle vicende coinvolgenti e ben ragionate, che uniranno all’approfondimento delle dinamiche produttivo-gestionali che scandiscono la nascita dei cartoni un palpabile senso di sviluppo e crescita del trio di protagoniste.
Gli avvenimenti narrati dalla storia avranno un sapore incredibilmente familiare per chi lavora in campo artistico, sia nel bene che nel male, ma soprattutto saranno in grado sin dal primo millisecondo di trasmettere con chiarezza cristallina l’enorme passione verso l’animazione e l’arte con cui l’autore Sumito Owara ha voluto impregnare l’opera. Complice chiaramente è anche il brillante adattamento di Science SARU, il cui marchio stilistico non ha potuto che dimostrarsi affine al concept originale.
Questa però non è una recensione, bensì un’opportunità per riassumere e approfondire un tantino alcune delle più importanti lezioni che la serie ci ha dato durante l’arco dei suoi 12 episodi. Prima di farlo, però, è necessaria una dovuta premessa. Quello che le nostre eroine ci hanno portato è un esempio particolare: quello dei cosiddetti “anime originali”. Come comprensibile dal nome, questi non sono definibili come “adattamenti”, in quanto non dipendono ad alcun tipo di fumetto, videogioco, o qualsiasi altro tipo di prodotto già esistente. Sono storie, appunto, originali, ovvero create appositamente per farci su un anime.
Distinguere questi due casi è importante sia dal punto di vista creativo che produttivo. Creare un anime da un qualcosa che già esiste significa andare in contro a delle limitazioni, ergo alcuni degli esempi che vengono mostrati durante la serie non saranno per davvero applicabili nella maggior parte dei contesti produttivi reali. Per chiarezza quelli presenti in questo articolo verranno opportunamente segnalati, però ciò non vuol dire che che siano falsi. Sono esempi relativi ad un caso ben specifico, però rappresentano comunque degli spunti molto interessanti per farsi un’idea di cosa vuol dire veramente lavorare agli anime.
Fatta questa doverosa premessa, tenete a mente che per proseguire è altamente incoraggiata la visione dell’anime, in quanto più sotto troverete spoiler anche pesanti sullo sviluppo della storia. Eccovi quindi 4 importanti lezioni sugli anime impartiteci da Keep Your Hands Off Eizouken!
Lavorare agli anime significa studiare e reimmaginare il mondo
Per chi non fosse particolarmente familiare con il mondo dell’arte è abbastanza comune ritenere qualsiasi tipo di “ispirazione alla (e dalla) realtà” come un imbroglio, se a metterlo in atto è un illustratore, o ad esempio un animatore. Nulla di strano, tale tipo di pensiero è parecchio diffuso anche tra artisti con poca esperienza, e di fatto rappresenta una delle prime barriere mentali che in molti si trovano a dover infrangere, specialmente quando entrano in gioco aspettative importanti da parte dei clienti, come le scadenze. Vi è questa sorta di preconcetto di fondo secondo cui l’artista è colui che per produrre un qualcosa attinge soltanto da se stesso, dunque guardarsi attorno equivale a non esserlo per davvero.
Nulla di più sbagliato, e a farcelo capire è proprio la nostra Asakusa nei primissimi istanti dopo l’inizio della serie. La piccola Midori si trova in un posto nuovo, ergo va in giro ad esplorare: volge lo sguardo verso la grigia struttura del nuovo palazzo nel quale andrà a vivere, poi si sposta e osserva invece il fiume e i dintorni che lo decorano.
Insomma, la ragazzina entra a contatto con l’ambiente in cui si trova, e da esso trae l’ispirazione che le serve per creare un qualcosa di unico e spettacolare. Sono passati pochissimi minuti, eppure il messaggio è già chiaro come il sole: Midori è una vera artista, ma non perché ha già riempito quaderni su quaderni di idee e bozze varie, o meglio anche, ma perché possiede quell’interesse e quella curiosità nei confronti del mondo senza i quali tutto sarebbe enormemente più difficile e forzato.
Inutile dire che questa dinamica sia perfettamente applicabile alla realtà. Alle volte persino una foto priva di senso può rivelarsi un’ottimo spunto, e non dovreste affatto sorprendervi nel sapere che questa è soltanto la punta dell’iceberg. Utilizzare reference durante il processo di animazione è estremamente comune, e nel farlo spesso gli animatori arrivano persino a filmare loro stessi mentre svolgono l’azione che vogliono trasporre. Gli esempi sono davvero innumerevoli, e in certi casi si arriva persino ad “estremizzare” il ruolo delle reference dando così vita alla famosa tecnica del rotoscopio, che consiste nel ricalcare frame per frame un filmato reale.
Tuttavia, questo travagliato e complesso rapporto tra creatività e osservazione del mondo rimane comunque un conflitto eternamente in atto nell’animo dell’animatore, in quanto quest’ultimo è sempre in cerca di quel bilanciamento che meglio si adatta alle proprie esigenze artistiche e al proprio ruolo. Perché si, il mondo degli animatori è tutt’altro che omogeneo. Anzi, è governato da correnti stilistiche e modi di intendere questo lavoro molto diversi, e a tratti persino opposti.
Alcuni si abbandonano al realismo, che alimentano con un meticoloso studio della realtà, mentre altri utilizzano quest’ultima soltanto come un vago appiglio visivo per poi liberare un’interpretazione del mondo slegata ai canoni estetici a cui la maggior parte del pubblico è legata. Senza parlare poi di quelli che scelgono una via di mezzo.
Nel caso degli anime originali, ma anche in quello dei manga, tale ragionamento è perfettamente applicabile anche ad altri tipi di ruoli, come ad esempio quelli relazionati alla creazione degli sfondi. Proprio recentemente esplorando insieme a Rie Takahashi le location di Kakushigoto abbiamo avuto modo di notare quanto studio ed osservazione ci sia dietro la realizzazione dei fondali, ma attenzione ad interpretare ciò come un compito che si potrebbe benissimo svolgere andando per cinque minuti su Google Maps.
Per diverse ragioni non sempre è possibile farlo, ma durante la creazione di un progetto è molto importante visitare di persona i luoghi che si vogliono inserire all’interno della propria storia. Non è soltanto una questione di ricreare l’aspetto di un determinato luogo, ma anche di catturare l’atmosfera che lo contraddistingue. E per fare ciò non basta vedere un’immagine, bisogna vivere l’esperienza.
Produrre un anime vuol dire scendere a compromessi
Siamo entrati nel vivo dell’articolo dando luce all’aspetto creativo che si cela dietro la produzione degli anime, e per bilanciare un po’ le cose è giusto approcciarsi all’argomento anche da un’altra prospettiva.
L’animazione è senza alcun dubbio un meraviglioso strumento di espressione per tantissimi artisti diversi, ma è anche vero che oggigiorno questa nasce per posizionarsi all’interno di un mercato. Per fare in modo che ciò avvenga bisogna accettare certe dinamiche che vanno indubbiamente a porre dei limiti sulla creatività di chi fa questo mestiere ma che esistono appositamente affinché il proprio lavoro finisca sotto gli occhi del pubblico.
La prospettiva “fredda e aziendale” di Kanamori, che ha di fatto permesso di concretizzare gli sforzi di Asakusa e Mizusaki, è un costante promemoria di quanto sia impossibile raggiungere certi risultati scindendo la figura di uno studio d’animazione che persegue l’arte da quella di un’azienda che mira all’utile.
Durante la creazione del loro anime, le nostre protagoniste iniziano a ragionare in termini di praticità nella produzione e impatto visivo del risultato finale. Riuscire a combinare questi due elementi significa chiaramente scendere a patti con sé stessi e magari anche dover proprio rinunciare ad un particolare modo di voler fare una cosa.
Per quanto Mizusaki si sforzi nel rimarcare l’importanza di raggiungere una certa asticella qualitativa, Kanamori ha imparato sulla sua stessa pelle che la qualità da sola non è sufficiente a garantire il successo di un prodotto, ergo il perseguimento della qualità non deve finire per danneggiare o persino rovinare il progetto. L’ambizione è una caratteristica ben più che accetta per un’artista, ma quando ci si concentra troppo sul materializzare una certa visione si rischia di perdere contatto con la realtà.
Attraverso una metafora col cibo, Kanamori parla dell’importanza di trovare un equilibrio. Per cercare il miglior punto d’incontro possibile tra praticità e qualità, quindi, la lotta che vede scontrarsi la visione fredda e “aziendale” della nostra producer e quella meramente “artistica” di Mizusaki e Asakusa non deve vedere alcuno sconfitto. Non è tanto una questione di macchiare il proprio “puro animo da artista” arrendendosi al fatto che il mondo gira attorno al denaro, o al contrario continuare a sfornare prodotti su prodotti senza alcun interesse verso l’aspetto creativo. Si tratta di capire che soddisfacente non è soltanto creare un qualcosa, ma anche mostrarlo agli altri. E se lo si vuole mostrare agli altri, allora quel qualcosa bisogna finirlo.
È quello il punto: raggiungere un compromesso.
Quello del compromesso non è soltanto un discorso che possiamo applicare esclusivamente alla figura dell’animatore, come invece avviene in Eizouken. Spesso tendiamo a giudicare un regista basandoci esclusivamente sulla visione che ha di un’opera, ma quanto questa sia sostenibile da applicare è oggetto di ben poche attenzioni. Il che è molto curioso, considerando la crescente importanza che l’abilità di saper fare tanto con poco continua ad acquisire in un’industria in cui il tempo per lavorare è sempre meno.
Proprio come i nostri adorati “studi sforna-arte” sono delle aziende, il regista non è soltanto qualcuno sulle cui spalle pesa esclusivamente il risultato finale in termini creativi, ma anche un amministratore di un progetto. È sua la responsabilità portare avanti il programma in maniera efficiente, ma se quest’ultimo si basa su una visione di fondo impraticabile, o difficilmente attuabile, in delle specifiche circostanze allora si sta perdendo in partenza.
Accorgersi di ciò è importante, perché creare un anime per come lo conosciamo non è certamente un compito che si può portare a termine da soli, e nel momento in cui la responsabilità non vira più soltanto sulle proprie spalle, il minimo che si dovrebbe fare è tentare di alleggerire quanto più possibile il carico per gli altri.
Un meraviglioso esempio di come scelte banali di setting possano far risparmiare ore e ore di lavoro ce lo fornisce proprio Eizouken. Le nostre protagoniste hanno poco tempo per lavorare, e quindi decidono di ambientare le vicende prima dell’inizio di scuola, in modo da evitare di disegnare le persone in giro.
Seppur una scelta come questa non sia sempre praticabile quando si deve far riferimento ad un materiale originale, siamo comunque davanti ad un ottimo esempio per far comprendere ai più il potere che un regista, che sia del singolo episodio o generale, detiene sull’andamento dei lavori. È in decisioni come questa ma anche in altre più tecniche che risiede l’abilità di fare tanto con poco.
Ricorrere ad inquadrature semplici ma comunque evocative; descrivere il carattere e le ansie di un personaggio attraverso gesti minuti ma significativi; stabilire una forte atmosfera soltanto attraverso la luce, i filtri fotografici o magari attraverso i colori; tutti esempi di come con creatività ed ingegno si possano tirar fuori risultati eccezionali senza dover ricorrere a chissà quale sortilegio.
Arrendersi a delle limitazioni è una scelta che non tutti gli artisti sono disposti a compiere, però non dovremmo intravederla da una luce esclusivamente negativa. Le limitazioni in fin dei conti sono anche degli ostacoli, e, se la si vede in questo modo, tentare di superarli può risultare per davvero un’avventura motivante. È così che si va avanti, che ci si evolve: tentando di superare in maniera sempre più efficiente e funzionale gli ostacoli intrinsechi nel proprio modo di fare le cose.
Il budget è importante, ma non è ciò di cui si dovrebbe parlare
Basta scorrere velocemente la sezione commenti della quasi totalità dei “momenti super fichi” degli anime per trovare innumerevoli commenti di persone che inneggiano al famoso money shot. Per chi non avesse presente, parliamo di una fetta di pubblico che giustifica il raggiungimento di un’alta qualità tecnica attraverso una disposizione mirata delle risorse economiche disponibili nel budget.
Tale affermazione esce chiaramente sconfitta da un confronto con la realtà dell’industria, in quanto riduce ad una sola variabile un contesto di produzione ben più complesso e rimane comunque difficile da verificare data la poca trasparenza che domina nel settore.
Chi si informa riguardo il processo di produzione degli anime, magari seguendo le nostre news sull’argomento, ha delle armi in più per fiutare il problema. È noto che una grande fetta delle menti creative che danno vita agli anime non percepisce neanche una quantità di denaro sufficiente a poter sopravvivere, e già solo questo dato dovrebbe essere più che indicativo di come chi si spezza la schiena per gli anime viene trattato in generale.
Tuttavia non possiamo neanche veramente affermare che il money shot non esista per davvero. Per quanto la paga sia disastrosamente bassa e per quanto il sistema di retribuzione basato sui cut sia un pericoloso disincentivo per la qualità generale delle animazioni, in quanto retribuisce allo stesso modo un cut curato e uno non curato, va anche detto che nel settore vi sono delle figure affermate che non si scomodano certo per pochi spiccioli.
Un animatore che gode di un certo prestigio e che magari ha anche accumulato una certa esperienza ha maggiore potere di negoziazione con i vari studi di produzione, ed è chiaro che per questo tenterà di spingere le cifre il più in alto possibile.
Proprio per l’esistenza di tali possibilità è chiaro che sfatare il mito del “money shot” appellandosi alla scarsità di conoscenza riguardo la struttura e il funzionamento del settore rischia di trascinare l’appassionato nell’imprecisione, ma soprattutto di non fargli assolutamente cogliere il punto. Perché il problema risiede ben più a monte della disinformazione o ignoranza (in senso buono) riguardo delle dinamiche che, ammettiamolo, non possono certo interessare né essere note a tutti.
Si, è vero che in determinati momenti una specifica scena d’impatto potrebbe essere nata dalle mani di un animatore che è stato pagato maggiormente, ma limitarsi a questo semplice fatto per giustificare il raggiungimento di un certo livello qualitativo è incredibilmente limitante e ingiusto nei confronti di chiunque l’abbia realizzata.
Dietro la creazione di un momento meraviglioso che ci emoziona vi è l’immenso lavoro e l’enorme passione di qualcuno, e se la quantità di denaro utilizzata per ingaggiarlo ha maggiore priorità rispetto a questi due elementi allora forse l’animazione non è il medium adatto a ciò che si cerca, oppure semplicemente non vi è un genuino interesse in esso.
Affinché gli anime, per come li conosciamo oggi, nascano c’è sicuramente bisogno che qualcuno ci metta i soldi, però l’arte non è un qualcosa che diventa necessariamente “migliore” man mano che si aumentano i fondi a disposizione. Vi sono ulteriori fattori, come il tempo a disposizione per lavorare, la gestione (non la quantità) del budget a disposizione, la rete di contatti che avvolge la produzione, la bravura del personale e il modo in cui questo viene viene ripartito, e tanti altri che non sono soltanto altrettanto importanti, ma anche e soprattutto più facili da osservare e studiare per chi volesse veramente provare a capirci qualcosa.
A stupire quel pubblico scettico seduto nell’auditorium non è certamente stata la quantità di soldi investita dal nostro trio di protagoniste per creare un paio di minuti di animazione. Piuttosto, è stato l’impegno e il talento che c’hanno messo; la ferrea volontà di creare un qualcosa che possa dire mille parole senza proferirne neanche una. È lì che si dovrebbe guardare.
Gli animatori sono degli attori, e noi possiamo riconoscerli
Ebbene si, quello dell’animatore è un ruolo che, alla luce dei paragoni con il live-action, potremmo benissimo paragonare a quello dell’attore. E il motivo è molto semplice: proprio come quest’ultimo, l’animatore ha l’arduo compito di immedesimarsi in un personaggio e descrivere le sue emozioni avvalendosi di tutti i suoi strumenti a disposizione. A differenza dell’attore vero, però, l’animatore riveste un ruolo che potremmo definire indiretto, in quanto, appunto, per riprodurre una certa emozione egli non si mette personalmente in gioco, ma si “nasconde” dietro delle linee.
E, cosa ancora più bella, proprio come ogni attore gli animatori hanno tutti dei modi diversi di inscenare la loro performance sul palcoscenico. Questo è un aspetto tremendamente importante, perché è esattamente la ragione per cui li chiamiamo “artisti”: in quelle informazioni che chiamiamo “linee” possiamo trovare la storia, le passioni, i modi di fare e di agire di chi le ha stese su carta. L’esempio più palese ce lo fornisce proprio Eizouken nel momento in cui i genitori di Mizusaki riescono ad identificare le sue animazioni guardando al modo in cui il Robot gigante impugna le bacchette, che è lo stesso modo particolare da lei sempre adoperato.
Questo frangente di scoperta delle mani che si celano dietro quei disegni nasconde al suo interno un universo enorme molto più che meritevole d’attenzione. Per molti sarà una grande sorpresa, ma esiste davvero una community di appassionati capace, proprio come fatto dai genitori di Mizusaki, di riconoscere un animatore semplicemente guardando una sua animazione. Per citare un’altra leggendaria introduzione alla community, “Siamo conosciuti come Sakuga fan.” Il Sakuga fan è proprio quel tipo di appassionato che, come già anticipato da Mizusaki, arriva persino a guardare le clip senza alcun tipo di suono, o, come mostrato da Kanamori, trae piacere nel condividere le proprie clip d’animazione preferite sui social.
A venire in soccorso del Sakuga fan è il celeberrimo sito Sakugabooru, il quale ha ricevuto proprio con Eizouken il suo primo omaggio in un anime! Sakugabooru è un sito dentro al quale vengono raccolti, organizzati e taggati migliaia e migliaia di spezzoni d’animazione “di alto livello”, definita appunto col termine giapponese sakuga (作画), accanto ai quali viene anche indicato l’autore, quando questo fosse noto. È una fantastica risorsa di studio per chi volesse addentrarsi nel mestiere, nonché il sito preferito di ogni appassionato d’animazione. Anche figure di grande prestigio nel settore come Mitsuo Iso, Shingo Yamashita e tanti altri ne fanno utilizzo.
La community sakuga è ben più che aperta a chi volesse addentrarsi in questo fantastico mondo, e la cosa più bella di tutte è che per farne parte vi basta soltanto avere passione e tanta curiosità.
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