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Il problema italiano della rete fissa, tra scarsa qualità e inefficienza. Serve più tempo?

Quando si parla di sviluppo tecnologico in Italia, uno dei problemi maggiori riguarda la qualità e diffusione della rete fissa. Molti comuni, o addirittura intere province, sono infatti relegati all’utilizzo della connessione ADSL mentre la fibra ottica spopola anche nei paesi limitrofi. La domanda e polemica più frequente dunque è, detta in soldoni: quando arriverà una connessione almeno decente dove vivo?

La risposta più banale, secondo dati e mappe di AGCOM, Infratel Italia e MiSE (Ministero dello Sviluppo Economico) è il biennio 2020-2021. Il Piano strategico Banda Ultra Larga nato nel 2012 ma approvato dal Governo cinque anni fa è la guida in questo percorso. L’obiettivo? Ridurre il gap infrastrutturale e di mercato esistente, garantendo accesso e sviluppo coprendo l’85% della popolazione con velocità pari o superiori a 100 Mbps, assicurando allo stesso tempo al restante 15% una velocità pari ad almeno 30 Mbps. Ma sta avendo successo o no?

Verso il 2020 e oltre…ma quando migliorerà la rete fissa?

Direttamente dalla nostra community Commodore Zone arrivano quotidianamente lamentele riguardo l’infrastruttura italiana. Chi vede il paesino accanto con la fibra misto rame mentre nel suo la connessione è continuamente instabile. Chi osserva i lavori in corso ma anche un anno dopo non ha accesso alle nuove reti a causa del mancato collaudo. O chi ancora nota un disinteresse totale da parte del comune, magari gestito da cittadini delle vecchie generazioni.

Il problema della scarsa qualità della rete fissa è noto soprattutto ai giovani e alle imprese di provincia distanti dalle grandi città come Milano e Roma, dove la fibra è installata e funzionante. Paradossalmente, se nello sviluppo della rete fissa siamo il 27° paese per velocità di trasferimento dati con 17,23 megabit al secondo di media, nel campo della rete mobile siamo dietro soltanto a Russia e Svezia, con una penetrazione del 139%.

In generale, l’Italia è al quarto posto tra i mercati europei delle telecomunicazioni secondo la ricerca R&S Mediobanca. Nel 2017 tale settore ha rappresentato l’1,9% del PIL, il 2,5% delle spese familiari e il 5,2% di investimenti. TIM poi è prima sia nel mobile che nel fisso in Italia, addirittura sedicesima al mondo per fatturato e con investimenti pari al 29,3% di quest’ultimo. Eppure, molti consumatori si lamentano delle prestazioni e della qualità delle sue reti e dei servizi Telecom Italia. Dunque, qual è il nocciolo del problema? Finanziamenti? Mancanza di personale? Strumentazione inadeguata?

roaming reti italia tim

Gap infrastrutturale e generazionale?

Questo gap infrastrutturale allora finisce per denotare anche una differenza tra le generazioni sia dei dipendenti che dei programmi usati. Nel primo caso, i neo-laureati conosceranno questo problema meglio di chiunque altro. In un mercato che cerca di ripartire, infatti, spesso le richieste delle aziende telcom sono troppo esigenti: si richiedono esperienze lavorative pregresse di un certo tipo o si offrono stipendi irrisori. Per questo i giovani tecnici e ingegneri italiani tendono a lasciare il territorio. Le capacità ci sono, il know-how pure, ma le garanzie per un futuro positivo sono poche e considerate insufficienti in confronto ad altri paesi europei.

Bisogna fare una sola cosa, non solo in questo settore: introdurre nuovi pensieri, metodi di lavoro e novità di vario genere per generare una domanda sia sul mercato del lavoro e dei beni e servizi. Piccole e medie imprese devono sopravvivere per far fare gavetta ai laureati italiani, così da trovare poi uno spazio nelle grandi aziende. Le telecomunicazioni oggi sono fondamentali per la crescita economico-tecnologica-sociale del Paese, eppure in Italia non lo si capisce. Da qui l’inefficienza delle aziende e lo spreco di investimenti, che dovrebbero andare a mutare anche le dotazioni.

In molti casi ci sono infatti dipendenti stessi di TIM o altre maggiori compagnie che si lamentano dei programmi e database usati internamente poiché obsoleti e inadatti. I rallentamenti nell’installazione della fibra, nel supporto tecnico o nell’adeguamento alle nuove norme nazionali relative alla fattura elettronica sono la manifestazione dell’arretramento tecnico-tecnologico di Telecom Italia e di altre aziende. In un Paese con età media di oltre 42 anni, questa è solo una delle gocce che trabocca dal vaso e che manifesta un grave dilemma a livello nazionale.

Quant’è europeo questo problema?

I primi obiettivi relativi all’infrastruttura delle telecomunicazioni e servizi digitali sono stati fissati dall’Unione Europea nel 2014 con un piano da concludersi entro il 2020. Il regolamento n. 283/2014, poi modificato dal regolamento 2017/1953, fissa infatti queste priorità: assicurare la tempestiva diffusione e l’interoperabilità delle infrastrutture di telecomunicazioni e servizi digitali; finanziare con fondi europei progetti a sostegno dell’accesso a una connettività wireless locale di alta qualità, senza condizioni discriminatorie, negli spazi pubblici. Tradotto for dummies, finanziare la diffusione delle reti a banda larga e permettere ai cittadini di godere di Wi-Fi gratuito tramite hotspot comunali.

Quest’ultima iniziativa in particolare si chiama WiFi4EU e offre ai comuni la possibilità di richiedere un buono per un valore di 15mila euro per installare apparecchiature Wi-Fi negli spazi pubblici come piazze, parchi, musei, biblioteche, etc. Le prossime candidature verranno aperte il 17 marzo 2020 con chiusura il 18 marzo alle 17, ma il progetto è attivo da molto più tempo. In questo caso la domanda è: quanti e quali comuni italiani sono a conoscenza di questo progetto? E quanti e quali tra questi hanno inviato la candidatura, magari ricevendo i fondi? La risposta arriva consultando Google: tra dicembre 2018 e ottobre 2019, grazie a tre bandi diversi, quasi mille comuni italiani si sono aggiudicati i fondi europei. In totale, finora, WiFi4EU ha finanziato 7.980 municipalità europee.

L’iniziativa WiFi4EU però è solo l’accompagnatrice del vero progetto completo, ovvero l’insieme di obiettivi dell’Agenda Digitale Europea fissati per il 2020. Per riuscire a raggiungere tali traguardi l’Italia si è affidata alla società in-house del MiSE Infratel Italia Spa, che nove mesi fa pubblicò il piano nazionale per la diffusione della fibra ottica o fibra misto rame. A luglio 2019 Infratel è riuscita nel finanziare oltre 4000 interventi in tutto il territorio, con 3328 realizzati, 345 pianificati e 340 in fase di realizzazione. Buona parte di questi sono merito di Open Fiber che si è aggiudicata diversi bandi Infratel durante il 2018-2020.

Open Fiber Rete Fissa Fibra Ottica

Quant’è italiano questo problema…

Ancora oggi molti di quei bandi sono in fase di realizzazione. Un esempio: dove risiedo i lavori sono iniziati in queste settimane, come previsto dai piani Infratel, e sono attualmente in corso, una via alla volta. A confermare ulteriormente lo svolgimento dell’opera ci pensa la mappa BUL, Banda Ultra Larga. Ricercando la regione e successivamente il comune è possibile osservare la percentuale di unità immobiliari raggiunte, sia dalle reti NGA (Next Generation Access, velocità di almeno 30 Mbps) che dalle reti NGA-VHCN (Very High Capacity Networks, velocità pari o maggiori a 100 Mit/s). Inoltre, scrollando fino in fondo, si possono consultare i dati relativi a stato e avvio dei lavori e scaricare i dataset del comune cercato. Altra mappa consultabile è quella dell’AGCOM per osservare la copertura attuale (e non futura) di reti in rame, fibra misto rame, e fibra ottica.

Effettivamente la situazione si sta sistemando con velocità in aumento esponenziale, ma quanto è italiano questo ritardo nell’intervento? Basta vedere quanto tempo ci ha messo il governo per i decreti relativi all’emergenza coronavirus. E proprio in questa situazione dove bisogna restare a casa per evitare ulteriori contagi si stanno mostrando i gravi problemi nell’infrastruttura italiana. Crash frequenti, lag, troppe connessioni e impossibilità di gestire l’utenza. Certo, ci troviamo in una situazione molto particolare, ma è l’occasione per notare la lacuna tecnologica italiana. A enfatizzarla sono anche tutte le difficoltà nella conversione allo smart working e alle lezioni universitarie in via telematica.

L’inadeguatezza del servizio di supporto, sviluppo e manutenzione delle reti, inoltre, è evidente ed è conseguenza del pressapochismo dell’italiano medio. O, come si diceva prima, conseguenza anche del gap generazionale e/o dei leitmotiv di alcuni esponenti politici che rifiutano o snobbano la possibilità di godere del supporto europeo. Si è visto con la TAV, si può notare anche nel campo delle reti fisse e delle infrastrutture.

…e chissà quando finirà

Le contrazioni e contraddizioni nel settore magari avranno fine nel corso di questo biennio. Meglio tardi che mai. Ma tra le guerre dei prezzi tra ISP e i dibattiti sul 5G, l’unico che ci rimette notevolmente è il consumatore e non l’azienda. Le entrate sono sicure soltanto offrendo il servizio, mentre la qualità non è sempre garantita e gli utenti lo sanno, lo fanno notare e vengono altrettanto snobbati.

Un problema tecnologico-sociale caratteristico dell’Italia che chissà quando verrà risolto. Forse è già troppo tardi.

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Francesco Santin

Francesco Santin

Studente di Scienze Internazionali e Diplomatiche, ex telecronista di Esports, giocatore semi-professionista e amministratore di diversi siti e community per i quali ho svolto anche l'attività di editor e redattore.

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