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Violet Evergarden: I sentimenti ci rendono umani

Nel corso della storia vi sono stati diversi esempi di opere aventi come tema portante la presenza di un fantoccio/macchina, che scopre la sua vera essenza attraverso il vissuto ed il confronto con altre persone e sentimenti. Impossibile non citare il famosissimo Pinocchio di Collodi con tutte le sue innumerevoli trasposizioni e rifacimenti, o passando ad opere animate Il gigante di ferro, film d’animazione statunitense snobbato dai più verso la fine degli anni 90 e rivalutato positivamente qualche anno dopo. Ciò che accomuna tutte queste opere tra loro, è sicuramente la capacità del fantoccio/macchina di riuscire a comprendere ed a fare proprie delle cose che teoricamente non dovrebbe riuscire nemmeno a concepire. Come può un burattino di legno acquisire caratteristiche umane? Come può una macchina nata per distruggere, riuscire a comprendere i sentimenti ed a divincolarsi dal suo ruolo che gli è stato affibbiato? Guardando Violet Evergarden sarà difficile non porsi certe domande, che ci siamo sicuramente posti diverse volte nel corso della storia.

Ma quindi cosa rende Violet Evergarden  una serie degna di essere vista e ricordata, e non soltanto una copia svogliata dei capolavori che ho citato precedentemente?

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Tu sei chi scegli e cerchi di essere

Questa celebre frase del capolavoro cinematografico animato di Brad Bird sintetizza in soldoni uno dei concetti più importanti di Violet Evergarden. La dubbia natura della protagonista spingerà lo spettatore a domandarsi se si trova di fronte ad un normalissimo essere umano o ad un fantoccio creato artificialmente. La totale incapacità iniziale di Violet di riuscire a comprendere qualsivoglia sentimento o emozione umana si sposa alla perfezione con quello che è lo scopo con cui è venuta al mondo. Violet difatti non è una normale ragazzina, ma un’arma vera e propria (frase ripetuta più volte all’interno della serie) il cui unico obiettivo è quello di combattere e uccidere senza provare alcun tipo di rimorso.

Cosa accadrebbe però se un personaggio incapace di comprendere le emozioni entrasse più volte in contatto con esse? La fine della guerra e l’inizio di una nuova vita per Violet, rappresentano un vero e proprio punto di svolta. Da quel momento, qualsiasi persona che incontrerà per la sua strada sarà un tassello fondamentale per la comprensione di determinati aspetti umani.

In Violet Evergarden il percorso interiore non sarebbe possibile affrontarlo senza la presenza di altri personaggi che manifestano i propri sentimenti alla protagonista e che ella cercherà di comprendere e fare suoi.

Tale è quindi a mio parere uno dei primi motivi che rendono Violet Evergarden una serie particolare, la cui struttura narrativa si dipana con echi dal vagito di un’animazione lontana appartenente a decadi ormai sepolte nel passato e che trova ben pochi sostenitori da parte del pubblico moderno. Un’animazione che difficilmente mostra questo tipo di narrazione da qualche anno a questa parte, caratterizzata da un ritmo ciclico e da un’atmosfera piuttosto seriosa (che quasi mai viene alleggerita) e da una componente drammatica costante molto accentuata. Una struttura ad episodi autoconclusivi ed un’attenzione non indifferente rivolta alle varie storie dei personaggi secondari che vengono presentati e sviscerati nel giro di poco tempo, rappresenta la scelta giusta per un’opera che si pone un obiettivo di questo tipo.

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Il linguaggio è il mezzo più forte con cui comunicare i sentimenti al prossimo

In Violet Evergarden le emozioni e i sentimenti assumono un peso enorme in quella che è a tutti gli effetti la tematica più importante dell’opera. Violet però non è pienamente in grado di comprendere determinati aspetti legati alle emozioni ed alle perplessità delle persone (per non dire che non lo è per niente), pertanto certi schemi ben rodati insiti nell’uomo, diventano veri e propri enigmi per chi invece non ha determinate capacità empatiche. Ed è qui che entra in gioco l’importanza del linguaggio come mezzo più forte di tutti, in grado di comunicare determinati stati d’animo a chi legge e non solo a chi non è in grado di comprendere determinate cose come Violet.

Far capire al prossimo determinati stati d’animo che ci portiamo dentro è una cosa che dipende sicuramente da chi questi sentimenti li recepisce, ma anche e sopratutto da chi questi sentimenti deve comunicarli. Utilizzare una parola al posto di un’altra, articolare una frase in un certo modo, avere determinate qualità a livello sintattico, non sono semplici ornamenti sfarzosi che rendono una scrittura più pomposa, ma possono fare la differenza in modo tale che il sentimento possa trasmettersi da una persona all’altra nel modo più vero possibile, senza che esso venga depauperato.

Gli stessi stati d’animo possono essere comunicati in modo del tutto differente, e se a doverlo fare è una persona come Violet la cui empatia è pressoché inesistente, è facile che essi possano non arrivare nel modo giusto. Se la cosa da un certo punto di vista può far sorridere lo spettatore medio che vede nella protagonista un personaggio inizialmente eccessivamente inetto (giustamente a mio avviso, considerando quello che è il focus della serie), porrei a quest’ultimo ed al lettore una questione di primaria importanza: viviamo davvero in un mondo così empatico in cui ci si può prendere il lusso di deridere l’eccessiva freddezza di un personaggio la cui natura umana è stata privata con la forza, oppure la società che stiamo costruendo vira sempre più verso una superficialità intrinseca che si cura sempre meno del dettaglio e bada solo all’immediatezza del risultato (non importa quanto depauperato esso sia)?

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Dal mio punto di vista, credo che purtroppo la maggior parte delle persone siano completamente incapaci non solo di comprendere i sentimenti del prossimo, ma anche di comunicare i propri in modo genuino e vero. Molte persone non riescono a comunicare i loro sentimenti perché semplicemente non sono interessate a farlo, o perché in fondo si sentono più protette nel vivere un rapporto in cui la presenza di una corazza più o meno ispessita, impedisca a loro di ferirsi e di ferire. Viviamo in un mondo in cui spesso prevale l’utile, l’immediato e l’artificio, certe cose diventano secondarie per molti, e Violet Evergarden in fondo vuole dirci anche questo. Chiunque può abbattere la propria corazza che si è costruito, basta solo volerlo. Ce lo dimostra infatti la nostra protagonista che, pur essendo (inizialmente almeno) completamente incapace di empatizzare, riesce con il tempo a comprendere alla perfezione lo stato d’animo del prossimo.

Violet Evergarden è un inno alla lentezza narrativa, all’attenzione per il dettaglio e, più in generale, alla profondità dei rapporti umani.

Tra presente e passato

Degna di nota è sicuramente l’ambientazione della serie: caratterizzata da tonalità steampunk e da uno stile vittoriano, richiamando nella mente dello spettatore una sorta di contrasto tra la tecnologia avanzata di alcune apparecchiature e i rimandi ad un periodo storico risalente a diversi secoli fa.

Violet Evergarden è una serie squisitamente moderna per alcune caratteristiche, e fortemente anacronistica per altre. Il contrasto è fortissimo e molto evidente: ci troviamo di fronte ad un’opera che propone una narrazione che poco ha da spartire con la serie moderna tipo.

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Chi conosce un minimo l’animazione giapponese anni 70 come il sottoscritto, non può non scorgere alcuni elementi caratteristici appartenenti a tale periodo storico. Se il dramma post 2000 è spesso caratterizzato da montagne russe di emozioni che spesso aggrovigliano e alternano momenti molto intensi da un punto di vista emotivo ad altri che spezzano in modo netto e deciso l’atmosfera pesante che si viene a creare (Clannad, Shigatsu wa kimi no uso, tanto per citarne un paio), quello anni 70 invece è un martellamento continuo e costante di situazioni devastanti (come accade in moltissime serie meisaku).

Violet Evergarden appartiene decisamente a quest’ultima categoria e può lasciare spiazzato non poco lo spettatore moderno tipo abituato a guardare solo animazione moderna. Non tutti sono abituati a questo tipo di pesantezza narrativa, motivo per cui la critica disomogenea mi stupisce fino ad un certo punto. D’altro canto invece sono fortemente convinto del fatto che una persona profondamente nostalgica, possa riscoprire determinati aspetti narrativi e riviverli decadi dopo in opere squisitamente particolari come Violet Evergarden. Passatemi il termine decisamente personale, ma reputerei questa serie una sorta di “meisaku moderno” in cui non mancano caratteristiche tipiche di tale stile (l’ambientazione stessa, la protagonista orfana, un contesto sociale difficile e la voglia di realizzarsi emotivamente e socialmente).

Apparato tecnico

La serie riesce a trasmettere tutto ciò che avrebbe voluto dire, esattamente come i vari sentimenti che la protagonista comunica tramite la sua scrittura e che ella stessa prenderà volta per volta come una parte di sé. Ciò è sicuramente merito anche di una veste grafica a dir poco superlativa. Siamo di fronte a pura arte: ogni componente visiva da cui è composta si interseca in modo perfetto con quelle che erano le intenzioni di quella determinata scena. La naturalezza del character acting è spaventosamente realistica, e le animazioni sono sempre costanti ed abbondantemente sopra la media. Non ricordo un singolo frame fuori posto, non ricordo una scena che tecnicamente avesse qualcosa che potesse essere svolta in modo migliore.

La regia e la fotografia poi fanno il resto; una telecamera attentissima e minuziosa nel ricercare ogni dettaglio, anche quello apparentemente insignificante, al fine di rendere quella scena più intensa possibile. Siamo di fronte ad una regia maniacale, che non si accontenta di mostrarci semplicemente come le cose accadono, ma che ne ricerca in modo ossessivo (pur non scadendo mai in virtuosismi fini a sé stessi) quel piccolissimo dettaglio atto a comunicare lo stato d’animo di quel personaggio (che può essere un’inquadratura ravvicinata verso la spilla di Violet che spesso tende a toccare con fare pensieroso e titubante). Come non citare la scena in cui Violet compie il salto nel laghetto con il parasole in mano verso la fine del settimo episodio. Un chiarissimo esempio di una delle migliori scene che abbia mai visto in un anime degli ultimi anni per potenza emotiva e attenzione registica.

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Conclusione

In definitiva reputo Violet Evergarden una delle migliori serie degli ultimi anni, che saprà sicuramente stupire in positivo uno spettatore che ricerca nell’animazione qualcosa di estremamente potente e con pochissime scene comedy. Guardare questa serie ricercando quella freschezza narrativa che la Kyoto Animation ci ha sempre proposto fino ad oggi, rappresenta il modo sbagliato con cui interfacciarsi alla visione di quest’opera e rimarrete fortemente delusi.

Impossibile inoltre non fare presente un finale che potrebbe deludere le aspettative di chi ricerca ossessivamente la chiarezza in una scelta narrativa. Un finale volutamente ambiguo che mostra una Violet cresciuta attraverso le esperienze fatte e le lettere scritte.

Innumerevoli sono state le critiche rivolte a quest’opera di persone che la hanno identificata come “forced drama”. Mi chiedo come si possa dire una cosa del genere di un’opera drammatica che ha come scopo proprio quello di emozionare lo spettatore, il cui dramma è strettamente finalizzato alla comprensione dei sentimenti, che devono essere necessariamente intensi per poter arrivare ad essere compresi dalla protagonista. Per non parlare del sempreverde “virtuosismo tecnico fine a sé stesso“, che di per sé non vuol dire davvero nulla in quanto nella quasi totalità dei casi, un apparato tecnico potente va di pari passo con quelle che sono le sensazioni che l’opera vuole trasmetterti (non sempre, ma in questo caso penso sia impossibile negare la stretta correlazione che c’è tra l’attenzione registica e la componente emotiva che ne viene veicolata).

L’apparato tecnico di Violet Evergarden comunica in modo perfetto tutte le sensazioni che vuole trasmettere, sì come una lettera pensata per trasmettere al destinatario tutto ciò che si prova e non si riesce ad esprimere in altro modo.

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Tommaso Felici

Tommaso Felici

Sono veramente euforico

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