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Death Stranding 2 On the Beach, la recensione: la forza delle connessioni

connèttere v. tr. [dal lat. connectĕre «congiungere, annodare», comp. di con– e nectĕre «intrecciare, legare»] (coniug. come annettere).  1. a. Unire insieme, collegare, mettere in relazione due o più cose b. connettersi, essere in rapporto ideale, aver relazione.

Connettersi. Un qualcosa che ormai, in un mondo totalmente digitalizzato, risulta essere estremamente scontato e addirittura – per certi versi – banale. Ma quanti di noi, nonostante la marea di nodi digitali che ci legano, possono definirsi veramente e realmente connessi con qualcosa o qualcuno? Questa domanda, che per alcuni potrà sembrare mera e superflua filosofia, in realtà rappresenta uno dei più grandi dilemmi degli anni che stiamo vivendo. L’importanza delle connessioni digitali, soprattutto a causa della pandemia dell’ormai lontano 2020, ha acquisito sempre più valore; tuttavia, come spesso accade, quando un qualcosa acquista sempre più valore all’interno di una società, diffondendosi soprattutto tra chi non ne comprende appieno l’importanza, finisce inevitabilmente per perderne.

Perché, in sostanza, è questo ciò che è accaduto. Una volta che tutti sono stati connessi, si è perso il senso della connessione stessa, divenuta non più un modo per stringere rapporti veri, autentici e sinceri, ma un mero “passatempo”, utile a riempire il vuoto lasciato proprio dall’assenza delle connessioni stesse. La questione ovviamente meriterebbe di essere affrontata da voci ben più approfondite e credibili di quella del sottoscritto, ma sarebbe superfluo negare che ad oggi le connessioni – o forse le connessioni di oggi – hanno in qualche modo fatto dimenticare all’umanità come ci si connette per davvero.

A quanto pare infatti siamo davanti ad un paradosso; l’estrema facilità della connessione ha reso la connessione stessa particolarmente difficile, lasciando l’essere umano – citando l’indimenticabile JD, protagonista di Scrubs – “solo, ma con un sacco di persone intorno“.

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Death Stranding 2 On the Beach, una recensione… particolare

Chiaramente tale riflessione rappresenta una generalizzazione, forse fin troppo estrema ed esagerata, della situazione relativa alla società odierna; resta tuttavia innegabile che la società stessa, abusando delle connessioni, ha fatto perdere loro valore, depotenziandole sotto tutti i punti di vista e rendendole un mezzo più che un fine.

Il lungo – e per certi versi ridondante – ragionamento portato avanti fino ad ora, probabilmente, è stato una parte, seppur infinitesimale, del processo creativo che ha portato Hideo Kojima ad ideare il mondo e la narrativa di Death Stranding e del suo sequel, protagonista di questa recensione. Il titolo infatti, tra simbolismi, sceneggiatura e gameplay e totalmente basato sulle connessioni, materiali e non, e sul concetto che sta dietro alle stesse.

L’enorme allegoria creata dall’autore di Metal Gear Solid infatti, non è altro che un’ode e allo stesso tempo una critica al concetto di connessione; una connessione che, in un mondo sconvolto dal fenomeno del Death Stranding, dalle DOOMS, e soprattutto dalla presenza delle CA, risulta essere l’unica salvezza per l’umanità. Una diversa concezione di connessione è quella che invece rappresenta la salvezza di Sam, il silenzioso corriere protagonista dell’opera, che riesce a trovare un senso ad una vita altrimenti inutile proprio grazie ai legami stabiliti nel corso della sua “opera di riunificazione delle UCA” eseguita per conto della Bridges, con Fragile, Die Hardman, Deadman, Heartman e soprattutto con Lou, la sua personalissima Bridge Baby. E ancora, le connessioni – o l’assenza di esse – rappresentano la chimera di Higgs, maestoso villain interpretato magistralmente da un Troy Baker in stato di grazia.

Come dicevamo tuttavia, le connessioni possono risultare anche pericolose, se concepite o sfruttate in maniera errata. La critica Kojimiana alle stesse infatti, sta tutta nel piano di Amelie, che ha compreso che l’umanità – nonostante le connessioni instaurate da Sam – deve necessariamente affrontare il cataclisma noto come Last Stranding per poter tornare ad essere fino in fondo, ci perdonerete il gioco di parole, umana.

Death Stranding dunque, come spesso accade nei giochi ideati dal maestro Kojima, rappresenta come già anticipato poc’anzi un’enorme trattato di filosofia interattivo, fondato su alcuni punti cardine che in qualche modo trascendono la narrazione stessa per diventare qualcosa di più “reale” ed in grado di far riflettere non solo sul significato profondo nascosto dietro ogni personaggio ed avvenimento, ma anche più in generale sui concetti di cui abbiamo, forse in maniera prolissa, trattato in questa introduzione.

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Should we have connected?

Tuttavia, non è un caso che questa recensione inizi concentrandosi sulle connessioni e sull’importanza delle stesse all’interno della società. Perché Death Stranding 2: On the Beach, nuovo titolo della Kojima Productions in arrivo il 26 Giugno in esclusiva PlayStation 5, nella sua campagna marketing è stato accompagnato da un sottotitolo, che – ve lo anticipiamo – rappresenta un po’ l’essenza dell’impianto narrativo dell’opera, e più in generale dell’intera opera stessa: Should we have connected?

Un interrogativo piuttosto strano, se pensiamo all’importanza che Kojima ed il suo team hanno voluto dare al concetto di connessione all’interno del primo capitolo di quest’epopea. Eppure, se le connessioni portano con loro tutte le difficoltà che abbiamo menzionato poc’anzi, è facile comprendere come la devastante domanda posta da Kojima in campagna marketing acquisisca un senso ben preciso, che verrà ovviamente approfondito e declinato in diverse sfaccettature, capaci di rendere Death Stranding 2 On the Beach un sequel che se analizzato in maniera superficiale risulterebbe essere poco più che un more of the same, ma che in realtà racchiude al suo interno una moltitudine di anime, in grado di elevare il titolo a qualcosa di più di un “semplice” videogioco, esattamente come il suo predecessore.

Ed esattamente per questo motivo questa recensione non sarà una recensione nel senso classico del termine, ammesso che ce ne sia uno; ciò in quanto sarebbe limitante rinchiudere Death Stranding 2 On the Beach nei classici stilemi videoludici, e giudicarlo un po’ a compartimenti stagni, dato che ogni elemento della nuova creatura di Kojima si interseca a doppio filo con gli altri per creare, ancora una volta, un’opera imperfetta ma allo stesso tempo unica nel suo genere, capace di parlare a chiunque abbia la pazienza di attendere ed ascoltare. Un’opera che si prende i suoi tempi, evidenziando forse qualche scollatura tra il ritmo del gameplay – sempre lento e rilassato – e quello della narrazione, mai così frenetica non tanto negli avvenimenti ma nel tentativo di donare una caratterizzazione ai nuovi comprimari nel minor tempo possibile, ma che allo stesso tempo riesce ad essere nonostante i difetti un prodotto a suo modo rivoluzionario, e non nel senso classico del termine.

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Diciamo rivoluzionario perché, esattamente come il suo predecessore, anche Death Stranding 2 On the Beach è un’esperienza in cui ogni elemento è al servizio dell’altro, ed in cui di conseguenza risulta impossibile scindere le singole componenti che fanno parte del titolo; ognuna di esse infatti funziona solo ed unicamente in quanto strettamente collegata alle altre. Tale dinamica rende la nuova opera di Kojima Production un prodotto a sé stante, molto diverso dal videogioco inteso nel senso più classico del termine, in grado di funzionare sulla base di idee estremamente solide e per certi versi particolari, in alcuni casi addirittura elementari, ma che messe insieme danno vita ad un’esperienza – ci teniamo particolarmente a rimarcare questa parola – dalla qualità elevatissima, che raggiunge in più di un’occasione picchi di eccellenza non dettati da un singolo elemento, ma, stranamente (?), dalla connessione di essi.

L’amore, in tutte le sue declinazioni

amóre s. m. [lat. amor -ōris, affine ad amare]. Sentimento di viva affezione verso una persona che si manifesta come desiderio di procurare il suo bene e di ricercarne la compagnia.

Un altro dei concetti fondamentali su cui si fonda l’intera struttura che sorregge Death Stranding 2 On the Beach è proprio questo, l’amore, nel senso più puro del termine. L’amore di Sam, il quale dopo aver riunito le UCA decide di auto-esiliarsi in Messico per recidere il suo legame con la Bridges e vivere la sua vita da genitore insieme alla piccola Louise, unica vera ragione di vita del leggendario corriere capace di unire un Paese diviso. L’amore che muove la splendida Fragile, alla continua ricerca di un modo per poter amare, in modo da rendere la sua storia e la sua vita un po’ meno amara. L’amore per la vita, l’amore per la scoperta, l’amore finito, quello appena iniziato, il dolore causato dall’amore in tutte le sue declinazioni, ed i sacrifici che si fanno per esso; tutto ciò che accade in Death Stranding 2 accade, in sostanza, per amore, e per tutte le sfaccettature – anche quelle negative – di un sentimento estremamente complicato, ma in grado di smuovere l’animo delle persone più di qualsiasi altra cosa al mondo.

Il viaggio che Sam e tutti i membri dell’equipaggio della DHV Magellan dovranno affrontare infatti, a seguito di un evento che sarebbe un delitto spoilerare, sarà mosso perlopiù da un sentimento che – lo ribadiamo – verrà declinato in ogni modo possibile, unitamente alle conseguenze che esso – o la mancanza di esso – inevitabilmente porta nell’animo e nella psiche degli esseri umani. Ma d’altronde come non ci si poteva concentrare su un sentimento come l’amore, che altro non è che la forma più pura e sincera di connessione?

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Lo avrete capito dunque, il viaggio che Sam, Fragile, Tarman, Rainy, Charlie e Tomorrow compiranno, volto a connettere l’Australia alla rete chirale è sì un viaggio “politico”, dettato più che altro da quelle che potremmo definire pacifiche mire espansionistiche delle ormai ex UCA, ma è anche e soprattutto un viaggio dettato da una moltitudine di sentimenti, che andranno, col dipanarsi della meravigliosa sceneggiatura imbastita per l’occasione da Kojima e soci, a riunirsi tutti sotto un’unica egida, quella dell’amore.

Ognuno dei personaggi, infatti, al netto di qualche mancanza dal punto di vista della caratterizzazione, che come vi abbiamo anticipato ci è sembrata in alcuni casi un po’ troppo affrettata e non in grado di prendersi i suoi tempi come invece accadeva nel primo Death Stranding, forse anche a causa di un cast leggermente più nutrito, è mosso dall’amore; sia esso amore genitoriale, amore nei confronti di una persona, amore per la scoperta, per qualcuno che non c’è più, per se stessi, per l’umanità, per il futuro, non importa. Ciò che importa è che, come spesso accade nelle sue opere, Kojima è stato in grado anche in questo caso di far muovere l’intera sua produzione attorno a pochi concetti, estremamente chiari per chi avrà la pazienza di comprenderli, tutti asserviti ad uno scopo comune.

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E poco importa se, come vi abbiamo già anticipato in precedenza, in alcune occasioni ci è sembrato che il ritmo del gameplay e quello della sceneggiatura viaggiassero su due rette parallele; ciò che conta, in un titolo come Death Stranding 2 On the Beach, nonostante una poca armoniosità rispetto a quella vista nel primo capitolo, è che quelle due rette alla fine dimenticano di essere parallele, e convergono per creare un qualcosa di esplosivo, che raggiunge il suo climax nelle ore finali dell’avventura, che non ci pentiamo di definire come semplicemente meravigliose, nonostante qualche piccola esagerazione estremamente “Kojimiana”, che tuttavia risulta comunque essere contestualizzata e gradevole.

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Ad accompagnare il viaggio di Sam, come al solito, ci sono dei meravigliosi brani scelti con estrema cura, in grado di replicare molto più che con delle semplici parole non tanto ciò che accade su schermo, quanto lo stato d’animo del corriere ed, appunto, i suoi sentimenti. Inutile poi rimarcare le prestazioni attoriali di tutto il cast, che risultano essere semplicemente incredibili, soprattutto per ciò che riguarda il “nostro” Luca Marinelli, Lea Seydoux, George Miller ed Elle Fanning. Il loro amore per il titolo, unito all’amore provato dai loro personaggi, declinato in forme tutte diverse e meravigliose, diviene palese anche grazie al loro superlativo lavoro, in grado di ammaliare chiunque e di far comprendere al pubblico che Death Stranding 2 On the Beach, così come il suo predecessore, trascende il concetto stesso di videogioco, divenendo uno dei più fulgidi esempi di crossmedialità presenti sul mercato.

Controllare i fili del destino, o controllare il giocatore

contròllo s. m. [dal fr. contrôle, ant. contrerole, propr. «registro che fa da riscontro a un altro», comp. di contre «contro» e rôle «registro di atti», che è il lat. rotŭlus «rotolo»].  Capacità di influenzare, dirigere, o limitare le azioni, le decisioni, o il comportamento di un’altra persona. Può manifestarsi in diverse forme, da un’influenza positiva e di supporto a un tentativo di dominio e manipolazione. 

Il controllo è un altro dei concetti fondamentali su cui si fonda l’intera opera della Kojima Productions. Basti pensare al controllo che inevitabilmente l’instaurazione e l’espansione della rete chirale opera sul mondo sconvolto dalla Cronopioggia e dal Death Stranding, o al controllo che le ormai ex-UCA hanno sull’intera popolazione, grazie alla rete chirale stessa. O ancora, basti pensare al controllo che un redivivo Higgs ha non solo sulle CA, ma anche e soprattutto sui fili che tengono insieme le vite di Sam, Lou e Fragile; dei fili che permettono al personaggio interpretato meravigliosamente da Troy Baker di essere il vero mattatore di questo sequel, oltre che il burattinaio in grado di influenzare i sentimenti e lo stato mentale di ognuno dei personaggi non grazie ad elaborati ed astrusi piani, ma grazie ad azioni estremamente semplici e crudeli che vanno in qualche modo a contrapporsi all’amore.

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Ma il controllo non si sostanzia solo nell’operato di Higgs o del Presidente delle “nuove” UCA, che fa da “sponsor” all’operato dell’equipaggio della DHV Magellan, ma anche, in maniera estremamente più banale, a quello che il giocatore ha su Sam. Sembrerà strano rimarcare una delle cose più scontate che esistono in un videogioco, e cioè il controllo che il videogiocatore ha sul PG protagonista; tuttavia, nell’universo di Death Stranding, tale discorso è leggermente più complicato del previsto, in quanto ognuna delle azioni compiute da chi sta davanti allo schermo è sia una parte del viaggio (basti pensare alla gestione dell’equipaggiamento e delle casse delle spedizioni, che sono una sorta di gioco nel gioco) sia un qualcosa che va inevitabilmente a modificare i meravigliosi ed impervi paesaggi dell’Australia.

Sotto questo punto di vista, la libertà che Kojima ha lasciato al giocatore è praticamente totale; ogni consegna, così come ogni missione secondaria, può essere affrontata nel modo più congeniale a chi ha il controller in mano. Non ci sono binari né percorsi predefiniti, tranne per alcune missioni leggermente più strutturate delle altre dal punto di vista della trama e della scenografia, e starà al giocatore e solo al giocatore decidere in che modo arrivare a destinazione per connettere l’intero continente. Tale libertà, ovviamente, va in netta contrapposizione con il controllo di cui parlavamo poc’anzi, in quanto spesso in Death Stranding 2 On the Beach il giocatore si ritroverà ostaggio di una qualche macchinazione superiore che andrà in un certo senso a guidare le sue scelte, soprattutto per ciò che concerne alcuni dialoghi a risposta multipla che non andremo qui di certo ad approfondire per non rovinarvi la sorpresa.

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A ben guardare, il controllo è dunque un’altro elemento cardine di Death Stranding; quello del videogiocatore è praticamente totale, ed è alimentato da poche ma sostanziose novità che riguardano sia il mondo di gioco, con fenomeni ambientali di varia natura quali tempeste di sabbia, fulmini e così via, sia la quality of life relativa alle consegne, aumentata grazie ad una più rapida acquisizione di equipaggiamento che rendono la vita più agevole. Sono state anche leggermente aumentate le fasi prettamente action, ma niente che faccia gridare al miracolo o che faccia in qualche modo segnare un notevole e netto cambio di paradigma rispetto al passato. Quello che riguarda invece il messaggio che l’autore vuole mandare è forse un concetto leggermente più intricato di controllo, ma che cerca in ogni modo di far riflettere il giocatore dipingendo un mondo che si avvicina in maniera estremamente inquietante alla realtà; gradiremmo parlare di più di questo aspetto, ma diventerebbe complicato inoltrarci ancor di più in un discorso che ci teniamo a mantenere spoiler free.

Tecnicamente superbo

Avremmo voluto chiudere questa recensione con un ultimo concetto, che rappresenta l’altro enorme elemento cardine dell’allegoria di Kojima; tuttavia ci rendiamo conto che parlarvi di quest’ultima tematica sarebbe estremamente complesso, in ragione della sua stretta connessione con alcuni degli eventi più importanti dell’opera. Per questo motivo ci limiteremo invece a tornare, solo per un paragrafo, ad un tipo di recensione più classica, illustrandovi in poche parole il lato puramente tecnico (ed artistico) di Death Stranding 2 On the Beach.

Il titolo, mosso dal Guerrilla Engine, si presenta come uno dei titoli visivamente più puliti presenti sull’attuale generazione di console, grazie ad un livello di dettaglio praticamente enorme ed in grado di far prendere vita ai meravigliosi ed impervi paesaggi australiani e non solo. Non abbiamo notato alcun bug, né alcun calo di frame rate nelle situazioni leggermente più concitate; solo in un punto, durante la nostra prova, abbiamo riscontrato dei piccoli glitch sonori che si sono tuttavia risolti con un banalissimo riavvio del gioco. Per il resto, le animazioni facciali, la direzione artistica e la colonna sonora di Death Stranding 2 On the Beach sono semplicemente meravigliose, così come l’ottimo doppiaggio italiano e soprattutto inglese, sorretto da prestazioni magistrali di cui vi abbiamo già parlato in precedenza. L’unica critica che possiamo muovere al titolo, sotto questo punto di vista, è una certa vuotezza dei paesaggi ed una non esagerata interattività degli stessi, unico vero tallone d’Achille del Guerrilla Engine già notato in Horizon Zero Dawn e Forbidden West.

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In conclusione…

Death Stranding 2 On the Beach non è un videogioco nel senso stretto del termine; è un’opera imperfetta e magnifica, sorretta da un sottotesto che in realtà rappresenta la vera essenza del titolo stesso, capace di far riflettere il giocatore e di giocare a sua volta con esso. È un’ode ai sentimenti ed allo stesso tempo un’aspra critica alla società odierna, in grado di far aprire più di un dibattito sulla necessità e sulla natura delle connessioni. Nonostante un gameplay estremamente conservativo, in cui i miglioramenti ci sono ma non sono assolutamente sostanziali e rivoluzionari, ed una narrativa abbastanza balbettante in alcuni punti dunque, Death Stranding 2 ci ha comunque saputo conquistare per tutti i motivi che vi abbiamo elencato; tuttavia, proprio come per il suo predecessore, è impossibile racchiudere il titolo in un voto, poiché lo stesso rappresenterebbe un parametro semi-oggettivo in un’opera che di oggettivo ha veramente poco, e che lascia tutto nelle mani (e nella testa) del giocatore, che alla fine dovrà solo rispondere alla domanda “Should we have connected?”.

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Carlo D'Alise

Carlo D'Alise

Videogiocatore dagli indimenticabili tempi dello SNES. Praticante avvocato nel tempo libero, appassionato in particolare di Action, Soulslike ed RPG, ma in generale del videogioco in (quasi) tutte le sue declinazioni. Sono ad un panino dall'obesità.

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