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Death Stranding, la recensione: Kojima è tornato, lunga vita a Kojima

Ecco a voi la recensione di Death Stranding! 

“Once there was an explosion, a bang that gave birth to time and space. Once there was an explosion, a bang that sent a planet spinning in that space. Once there was an explosion, a bang that gave rise to life as we know it. And then came the next explosion. An explosion that will be our last

Death Stranding comincia così, con un’esplosione. Un’esplosione pari a quella che ha portato il maestro Hideo Kojima ad allontanarsi da Konami e ad abbandonare la saga che aveva fatto le fortune sia dell’autore sia della software house giapponese per creare il suo studio di sviluppo, la Kojima Productions. Un’esplosione pari al boato dei tanti videogiocatori che, nell’ormai lontano 2016, rimasero estasiati alla vista del primo trailer di quest’opera. Un’opera controversa, misteriosa, in moltissimi casi criticata soprattutto da chi la reputa un “corriere simulator”; un’opera che, ve lo diciamo da subito, rappresenta la summa di tutto ciò che Kojima reputa videogioco, che trascende gli schematici confini dell’intrattenimento per essere allo stesso tempo un social network, un film, una serie tv ed, ovviamente, un videogioco in senso stretto. Un recipiente che contiene svariate influenze culturali, che mette in campo un cast d’eccezione, e che molto probabilmente verrà odiato da molti. Ma d’altronde, durante il percorso di avvicinamento al titolo, gli addetti ai lavori avevano più volte detto che “non eravamo pronti”. E forse avevano ragione, non siamo pronti, o almeno non lo siamo tutti. Perchè Death Stranding è, purtroppo o per fortuna, un titolo “per pochi”, adatto a tutti quelli che non giudicano un videogioco utilizzando una valutazione schematica e confinata all’interno di rigide regole soggettive e/o oggettive; è l’opera più marcatamente autoriale di Kojima, ed è allo stesso tempo un vero e proprio blockbuster videoludico, capace di abbattere le barriere create dall’utenza nei confronti dei prodotti di intrattenimento. Death Stranding è, insomma, un gran videogioco ed un meraviglioso prodotto d’intrattenimento, una vera e propria espressione d’arte, che, in quanto tale, non può essere giudicata in maniera oggettiva; per questo motivo, questa recensione avrà un taglio un po’ diverso, utile a far comprendere a voi lettori non tanto il funzionamento del gioco, di cui parleremo e che probabilmente già conoscete, ma delle sensazioni che abbiamo provato durante questo lungo viaggio. Un viaggio che, probabilmente, non dimenticheremo mai.

Il Death Stranding e la riunificazione delle UCA

Non possiamo non cominciare analizzando la colonna portante di questa meravigliosa opera, vale a dire la narrativa. Slegato da quei vincoli di continuità obbligata presenti nella Metal Gear Saga, che imponevano un ossequioso rispetto ad una lunga serie di avvenimenti raccontati durante i tanti titoli che la andavano a comporre, Kojima è riuscito a dimostrare ancora una volta come la narrativa non sia un mero pretesto utile ad imbarcarsi in un qualsivoglia viaggio, quanto piuttosto una parte integrante e fondamentale di un videogioco. La scelta di utilizzare attori in carne ed ossa per dar vita ai memorabili personaggi di Death Stranding è sintomo proprio di quanto detto in precedenza; Kojima ha infatti messo in chiaro, sin dalle prime battute di gioco, che il medium videoludico non può e non deve essere imprigionato all’interno di regole e schemi fissi, e che lo stesso possa essere al contempo un prodotto ludico e filmico. Ma andiamo con ordine. Death Stranding, come è noto ai più, è ambientato in un futuro distopico e racconta le vicende di un corriere, Sam Porter Bridges, interpretato da un Norman Reedus mai così in forma, che dovrà affrontare un lungo e faticoso viaggio per raggiungere un fine per certi versi idealistico ed altri utopistico: riconnettere gli Stati Uniti d’America. Un fine che oltre ad essere materiale ha una valenza simbolica incredibile, e che risulta essere una delle più elaborate metafore e critiche alla società mai viste sia in un videogioco, sia in un qualsiasi altro prodotto “d’intrattenimento”. Gli USA, o meglio, le UCA (United Cities of America) sono ormai una landa deserta, senza padrone, colpita da una misteriosa piaga chiamata appunto Death Stranding.

Death Stranding

Questo evento dai contorni misteriosi, che verranno chiariti solo nella parte finale dell’avventura, ha distrutto ogni forma di connessione tra le città e soprattutto tra le persone, facendo rintanare ognuno nel suo piccolo e solitario microcosmo; ma non è tutto. Il Death Stranding, letteralmente “lo spiaggiamento della morte“,  ha avuto delle ricadute molto particolari sul mondo come lo conosciamo oggi: le tante persone che hanno perso la vita durante e dopo l’evento infatti si trovano in un limbo, ove hanno perso totalmente il senno, e si sono trasformate in vere e proprie bestie chiamate CA (Creature Arenate). Le CA sono invisibili all’occhio nudo, ed hanno come unico scopo quello di portare chiunque passi nelle zone da loro infestate con sé. Per questo motivo, nell’America di Death Stranding è necessario smaltire tutti i cadaveri in apposite pozze di catrame, poiché il loro deterioramento potrebbe trasformare gli stessi in CA; se così fosse, nella zona si creerebbe un’enorme voragine che sterminerebbe qualunque cosa presente in centinaia e centinaia di metri. Ma il Death Stranding non ha fatto solo apparire le CA; sulle UCA infatti ha cominciato ad imperversare uno strano fenomeno atmosferico chiamato Cronopioggia, che accelera l’invecchiamento di tutto ciò che tocca e che sembra indissolubilmente collegato alle Creature Arenate, la cui presenza è annunciata sia dalla Cronopioggia stessa, sia dall’apparizione di un inquietante arcobaleno capovolto. Ma non è tutto. Dopo l’avvento del Death Stranding la natura ha cominciato a produrre una misteriosa e pericolosa sostanza che risulta essere tuttavia fondamentale per la sopravvivenza della razza umana: il chiralium. La continua esposizione a tale sostanza ha fatto tuttavia nascere negli esseri umani particolari fobie e paure, chiamate DOOMS, come ad esempio quella che affligge il nostro Sam, che non tollera in alcun modo il contatto umano; anche qui, Kojima è arrivato a creare una situazione al limite del parossistico, dato che l’incaricato alla riconnessione delle UCA non risulta, appunto, capace di connettersi fisicamente con nessuno.

Questo terribile evento ha dunque distrutto la “vecchia” America, ed ha spinto le varie città ormai proclamatesi autonome, a riorganizzarsi per mantenere una parvenza di assurda normalità e per sopravvivere, o provare a farlo, alle tante atrocità sparse per il mondo; tale riorganizzazione ha dato vita alle UCA menzionate in precedenza, comandate dal Presidente Bridget Strand e dal suo fido sottoposto, Die-Hardman. Sarà proprio Bridget a dare inizio all’epopea di Sam, che, consegna dopo consegna, avrà il compito di ricreare uno Stato unito dal nulla, restaurando la rete chirale che connette le varie UCA e che permette ai loro abitanti di comunicare. Per sua fortuna, Sam ha un dono molto importante, che sarà fondamentale per portare a termine il suo lunghissimo viaggio: egli infatti è un Riemerso, un’entità che non può morire se catturata dalle CA, e che ha la possibilità connettendosi ad un Bridge Baby di vedere le CA che infestano le desolate lande americane. Le CA tuttavia non sono l’unico pericolo presente in Death Stranding; oltre a loro durante il nostro lungo cammino verso i titoli di coda incontreremo dei Muli, soggetti ossessionati dai pacchi che trasportiamo di volta in volta, e dei veri e propri terroristi, comandati da Higgs, splendido personaggio interpretato magistralmente da Troy Baker. Riguardo la trama vera e propria non ci dilungheremo oltre, in quanto un minimo accenno agli eventi successivi al capitolo 2 rovinerebbe l’esperienza di chi tra di voi non ha ancora messo le sue mani sul titolo. Chiudiamo il paragrafo sulla trama, ma non quello sulla narrativa imbastita dal maestro Hideo Kojima; una narrativa di cui si potrebbe parlare per mesi, data l’assurda e meravigliosa attenzione che l’autore ha riversato nella creazione di questa sua nuova opera. Ogni singolo elemento di gameplay presente in Death Stranding è infatti contestualizzato in maniera credibile ed incredibile grazie ai tanti dialoghi, splendidamente recitati e scritti in maniera magnifica, che l’autore ha inserito all’interno del gioco. Ogni singolo personaggio ha infatti un ruolo centrale e fondamentale all’interno della storia, pari o addirittura superiore a quello ricoperto da Sam; questa sorta di sminuimento del protagonista ha inoltre, almeno per chi vi scrive, una ragione ben precisa. Il protagonista non è Sam, il protagonista è, come spesso accade nelle opere di Kojima, il giocatore stesso, che grazie al suo operato potrà finalmente riconnettere un mondo in rovina; non è casuale, almeno per il sottoscritto, il fatto che durante le nostre lunghe camminate se dovessimo premere il touchpad, Sam urlerà il suo nome ed in molti casi riceverà come risposta (da un altro giocatore) “Oh, anche il mio nome è Sam!”. Conoscendo Kojima, l’inserimento di questo dettaglio, così come l’intero gameplay del gioco, ha un fine ben preciso e strumentale alla veicolazione del reale messaggio che sta alla base dell’intera struttura narrativa di Death Stranding: la connessione. La riconnessione delle UCA è infatti solo un’espediente narrativo, una scusa utile in realtà a far connettere tra loro tutti i giocatori, per creare una nuova società virtuale che, almeno in questo titolo, risulta unita e coesa come difficilmente accade invece nella realtà.

Death Stranding

Il messaggio vero e concreto che Death Stranding vuole mandare è (anche) questo, una critica alla società odierna, una società assuefatta ai like, dove il concetto di connessione sta perdendo di significato, o meglio, ne sta acquisendo uno nuovo, privo di qualsivoglia romanticità; una società in cui l’apparenza è sostanza e la sostanza non esiste più, dove gli unici legami veri sono quelli instaurati con dei follow. Questo enorme sottotesto non è altro che un’evoluzione più chiara e fruibile di quanto raccontato dallo stesso Hideo Kojima in Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty; chissà che l’estrema cura ed immediatezza riposta nel confezionamento di questo messaggio non sia anche una critica ai tanti giocatori che, al lancio di MGS2, non compresero le reali intenzioni dell’autore, lamentandosi unicamente del fatto di non poter utilizzare Solid Snake per tutta la durata del gioco. Il messaggio lanciato da Kojima viene reso più chiaro, come già anticipato, da una mole incredibile di dialoghi e cutscenes, interpretate magistralmente dai tanti attori coinvolti: Mads Mikkelsen, Margaret Qualley, Leya Seidoux, Norman Reedus, Troy Baker e tutti gli altri membri di questo folto cast hanno dato vita a personaggi memorabili, caratterizzati egregiamente e mai risultati eccessivamente piatti o banali. Vi assicuriamo che col proseguire della storia, ognuno di loro troverà il suo posto, ed ogni dettaglio disseminato dall’autore durante l’intero corso dell’avventura acquisirà un senso ben preciso: nella narrativa di Death Stranding, passateci la battuta, tutto è realmente connesso. Impossibile poi non notare come in Death Stranding siano presenti pesantissimi riferimenti culturali, che spaziano da citazioni abbastanza massicce a Neon Genesis Evangelion fino a riferimenti teologici e filosofici; sappiamo di averlo già detto troppe volte, ma tutto ciò dimostra ancora una volta come i confini dell’intrattenimento videoludico non esistano realmente, e come quest’ultimo sia e una forma d’arte e un veicolo per diffondere l’arte stessa, in una maniera mai vista prima.

Innovare senza stupire, più di un “corriere simulator” 

Ovviamente Death Stranding non è “solo” narrativa, ma è anche e soprattutto un videogioco; un videogioco che, al contrario di quanto ci si aspettasse, ha una struttura piuttosto semplice e lineare, che a prima vista risulterebbe addirittura essere poco approfondita. Il gioco è, volendo essere banali, una lunga sequenza di fetch quest inserite in un mondo semi-open world, in cui dovremo spostare il nostro Sam dal punto A al punto B per effettuare delle consegne, utili a convincere i solitari ed isolati abitanti delle UCA ad unirsi alla rete chirale. Vi assicuriamo tuttavia che affermare che Death Stranding abbia una struttura ludica semplice è diverso dal dire che questo sia “brutto”. La differenza la fa ancora una volta l’enorme attenzione che Kojima ha riposto nella creazione del gameplay. Innanzitutto bisogna rilevare che la gestione del carico da portare, limitato ovviamente nel peso, e quella dell’equipaggiamento rappresenta una sostanziosa fetta di gioco; una corretta scelta dell’equipaggiamento ed una giusta gestione dei pacchi da trasportare potrebbe infatti fare tutta la differenza del mondo. Le enormi lande che dovremo percorrere in compagnia del nostro splendido BB nascondono infatti una serie di insidie morfologiche e non, indicate dal nostro Odradek, un braccio meccanico ispirato da un personaggio di Kafka che ci segnalerà i pericoli del terreno e la presenza di CA, che elevano la mappa di Death Stranding a molto più della solita enorme distesa di terra priva di qualsivoglia cura ed utilità. Per chi vi scrive infatti, l’intera mappa di Death Stranding è una delle espressioni più pure e meglio riuscite di level design mai viste, almeno da una decina d’anni ad oggi; ogni percorso è infatti stato studiato nei minimi particolari in modo da rendere difficile la vita al giocatore, che dovrà dunque impegnarsi nel trovare la strada più agevole che possa permettere a Sam di arrivare illeso, o quasi, a destinazione.

Ad aiutarci, oltre all’Odradek, avremo una serie di oggetti, quali scale, chiodi da arrampicata, esoscheletri, e così via, che saranno molto utili per rendere le nostre consegne molto più agevoli. Alcuni di questi oggetti, oltre che i veicoli disponibili (a nostro parere abbastanza inutili), consumeranno la loro batteria durante l’utilizzo; il loro consumo varierà a seconda della superficie su cui ci muoveremo, sulla pendenza e sulle condizioni della stessa. Una salita ripida, un fiume in piena o un paesaggio innevato non permetteranno dunque l’agevole utilizzo di queste attrezzature, che andranno costantemente ricaricate presso degli appositi generatori che potranno essere costruiti da noi o da altri giocatori connessi alla rete chirale. Quelle che in altri giochi verrebbero definite piccolezze dunque, assumono in Death Stranding tutti i connotati di vere e proprie feature di gameplay. Anche la “stamina” di Sam, qui denominata vigore, sarà sempre da tenere d’occhio. Se infatti il vigore del corriere dovesse raggiungere livelli minimi, sarà praticamente impossibile per il giocatore proseguire il suo cammino e la sua consegna; il vigore può essere recuperato o bevendo della Monster Energy, in quello che probabilmente è uno dei migliori product placement della storia dei videogiochi, o riposando presso degli appositi rifugi, ove Sam potrà giocare col BB, farsi una doccia, andare in bagno (feature queste utili a creare delle granate, non vi diciamo altro) e controllare tutta l’attrezzatura in suo possesso. Ovviamente il terreno non sarà l’unico nemico di Sam; durante gli estenuanti viaggi compiuti infatti ci imbatteremo nei pericoli più svariati, rappresentati essenzialmente dalla Cronopioggia, dalle CA e dai Muli. Gli ultimi sono la dimostrazione più pura della locuzione latina “nomen omen”: corrieri corrotti da una spasmodica ossessione per i pacchi da consegnare, i Muli saranno gli avversari meno temibili che potrete trovare in Death Stranding, e potrete affrontarli o in maniera stealth, o utilizzando l’arsenale a vostra disposizione, che si amplierà a dismisura durante l’intero corso dell’avventura. Se i Muli sono tutto tranne che temibili, lo stesso non si può dire delle CA e della Cronopioggia. Quest’ultima, così come ogni agente atmosferico nel mondo di Death Stranding, deteriorerà tutto il carico in vostro possesso, rovinando prima la cassa che lo contiene e poi il contenuto della stessa; consegnare un prodotto enormemente danneggiato decreterà il fallimento della vostra missione, di conseguenza ogni scroscio di Cronopioggia dovrà essere affrontato con la giusta cautela. Le terrorizzanti CA rappresentano invece il pericolo più grande dell’intero gioco, e sono la manifestazione più angosciante delle conseguenze del Death Stranding.

Quando ci imbatteremo in una zona infestata dalle CA infatti dovremo far attenzione a non attirare la loro attenzione, accovacciandoci e cercando di trattenere il respiro; se una di queste creature dovesse notarci, partirà immediatamente all’inseguimento e, nel caso in cui dovesse riuscire a prenderci, ci trascinerà all’interno di un limbo infestato da delle CA molto più grandi e pericolose di quelle già viste, da cui dovremo fare di tutto pur di scappare senza perdere il carico a nostra disposizione. Per fortuna, ad un certo punto del gioco, ci verranno donati degli oggetti utili a sterminare le CA disseminate su tutto il territorio, rendendoci la vita sicuramente più agevole sia contro le CA stesse, sia durante gli scontri con i boss, per la verità la parte meno riuscita dell’intera offerta. In sostanza dunque il gameplay di Death Stranding è estremamente semplice, molto giocoso ed allo stesso tempo simulativo, e rende fedelmente ciò che il titolo vuole essere: un lungo e personalissimo viaggio, ove ognuno di noi potrà provare sensazioni differenti, ma comunque incredibilmente segnanti.

It’s easy to make connections without shaking hands

All’intimità del viaggio compiuto da ognuno di noi fa sicuramente da contraltare il multiplayer asincrono ideato da Kojima, una delle incarnazioni più pure del concetto di connessione di cui abbiamo ampiamente parlato in precedenza. Durante l’intera avventura, nonostante il multigiocatore sia presente, non vi interfaccerete con nessun altro giocatore fisico ma solo con NPC e personaggi “secondari, ma, nonostante ciò, avrete comunque l’idea di far parte di una comunità e di giocare insieme ad altre persone. Death Stranding da infatti la possibilità ai giocatori di costruire delle strutture, che vanno dai box postali ai rifugi veri e propri, passando per tettoie anti-cronopioggia, ponti e lunghissime autostrade, che saranno utili non solo al costruttore ma a tutti coloro che si ritroveranno in quella porzione di mappa. Tali strutture potranno essere potenziate, costruite o riparate da ognuno di noi, donando degli specifici materiali raccolti durante le nostre consegne agli appositi macchinari; le suddette tuttavia non rimarranno a vita all’interno della mappa, poichè la Cronopioggia opererà il suo effetto deteriorante anche su di loro. Non a caso parlavamo di connessione e di comunità: in Death Stranding non costruirete per vostro tornaconto personale, ma lo farete per spianare la strada agli altri giocatori che, grazie a voi, avranno sicuramente vita più agevole sul percorso. La ricompensa che spetta a questi benefattori è ironicamente rappresentata da una serie di like, che potrete ricevere da chiunque farà uso della vostra struttura. Ma le strutture non rappresentano l’unico esempio di multiplayer presente in Death Stranding. Se infatti durante il vostro cammino perderete un carico da consegnare, un altro giocatore potrà trovare il vostro pacco e recapitarlo a destinazione; ancora, se non avete voglia di effettuare una determinata consegna, ovviamente secondaria, potrete affidare il carico di questa ad un altro giocatore che la completerà al vostro posto. In conclusione dunque troviamo il multiplayer asincrono di Death Stranding una delle idee più geniali degli ultimi anni; non una semplice feature di gameplay messa come riempitivo, quanto piuttosto un altro fulgido e spettacolare esempio di meta-narrativa, condito da una sostanziosa rottura della quarta parete.

Regia, Tecnica e soprattutto Musica!

Concludiamo questa lunghissima recensione con un’analisi riguardante il comparto tecnico ed artistico di Death Stranding. Il titolo, mosso dal Decima Engine di Guerrilla Games, è uno spettacolo anche per gli occhi. I modelli dei personaggi sono riprodotti in maniera fedelissima, e danno giustizia alle sontuose prestazioni recitative dei tanti attori coinvolti nel progetto. Anche il mondo di gioco è molto bello da vedere, grazie a delle texture dettagliatissime che tuttavia, in alcuni frangenti, soffrono di qualche piccola sbavatura. L’unica vera pecca tecnica è quella relativa alla fisica del personaggio, che ci è risultata in più di un caso piuttosto imprecisa e non particolarmente curata, scatenando sporadici episodi di frustrazione dopo un game over assolutamente non meritato. Il gioco gira, almeno su PlayStation 4 PRO a 30 FPS, e non abbiamo mai notato alcun calo di frame. Ciò che ci ha stupito più dell’ottimo utilizzo del Decima Engine, è, ovviamente, la direzione artistica ed il taglio registico che Kojima ha dato all’intero titolo. L’iconografia del gioco è pesantemente influenzata, così come la narrativa dello stesso, da varie e diverse culture di cui Kojima sembra essere esperto: riferimenti a letteratura, cinema, musica, filosofia, storia, scienza e religione si sprecano, unendosi in un melting pot che sarà difficilissimo dimenticare. Per quanto riguarda la regia vera e propria, non possiamo non ammirare la bellezza delle tante cutscene e di alcune scene in-game che sembrano letteralmente uscite da delle produzioni cinematografiche di altissimo livello, che potrebbero da sole competere per un Oscar. Meravigliosa infine la scelta della colonna sonora, che raccoglie artisti del calibro dei Bring me the Horizon, i Major Lazer, i Chvrches e i veri e propri protagonisti del gioco, i Low Roar, che accompagneranno con delle incredibili composizioni alcune sezioni dei vostri viaggi.

In conclusione..

Death Stranding è dunque, per tutte le ragioni di cui vi abbiamo parlato fino ad ora, un vero e proprio capolavoro, destinato a restare negli annali del medium. Un prodotto che trascende qualunque confine imposto sia dal mercato sia dal pubblico, per creare un qualcosa di mai visto prima e per cui, forse, gran parte del pubblico “generalista” non è pronto. Proprio per questo motivo, almeno per quanto ci riguarda, racchiudere l’essenza del titolo in una mera valutazione numerica non avrebbe alcun senso; il viaggio che ognuno di noi affronterà sarà un viaggio fatto di sensazioni e di emozioni forti, che saranno diverse in base alla nostra e vostra sensibilità. Un viaggio che parla di connessione, e che nonostante ciò risulta essere l’esperienza più intima mai creata da Kojima fino ad oggi. Tutto ciò che vi possiamo dire è questo: giocate Death Stranding, e giudicatelo in base alla vostra percezione. Secondo noi, non ve ne pentirete.

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Carlo D'Alise

Carlo D'Alise

Videogiocatore dagli indimenticabili tempi dello SNES. Praticante avvocato nel tempo libero, appassionato in particolare di Action, Soulslike ed RPG, ma in generale del videogioco in (quasi) tutte le sue declinazioni. Sono ad un panino dall'obesità.

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