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In Giappone gli animatori preferiscono andare a lavorare per la Cina

È ormai risaputo, purtroppo, che in Giappone le condizioni lavorative degli animatori non siano delle migliori. Per creare i prodotti d’intrattenimento che tanto piacciono sia ai giapponesi che a noi occidentali, gli animatori lavorano in tempi assai ristretti e con una retribuzione piuttosto bassa. Stressati, sottopagati e poco considerati: la vita di un animatore in Giappone è molto dura.

Pare, però, che qualcosa stia cambiando nel mercato del lavoro giapponese. Sempre più aziende provenienti dalla Cina, infatti, stanno subentrando nell’industria dell’animazione del paese, offrendo condizioni di lavoro di gran lunga migliori rispetto a quelle giapponesi. Ciò sta causando una vera e propria fuga di cervelli dalle aziende nipponiche.

Diversi talenti, infatti, iniziano a trovare molto più allettanti i salari e gli orari proposti dalle aziende cinesi. Tutto ciò sta mettendo sotto pressione le compagnie del paese e potrebbe portare, finalmente, al tanto agognato miglioramento dell’ambiente lavorativo.

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Il crescente successo delle aziende cinesi in Giappone potrebbe cambiare le cose

Alcune ricerche in merito al salario medio dell’industria, hanno determinato che gli animatori giapponesi ricevono un salario medio annuale di circa 1.25 milioni di yen (meno di 10 mila euro l’anno). Convertendo tale cifra in un salario orario, il guadagno sarebbe di 100 yen l’ora (0,73 centesimi).

Capiamo bene che è molto difficile sopravvivere con tale cifra. Alcuni animatori sono costretti a lavorare anche la notte o a trovarsi un secondo lavoro. Per fare un confronto con quanto offerto invece dalle aziende cinesi: Colored Pencil Animation Japan, azienda cinese d’animazione e parte del gruppo Tencent, è pronta a pagare gli animatori 175.000 yen (1272 euro) al mese. Anche se sono appena “usciti da scuola”.

L’azienda, inoltre, assume gli animatori come dipendenti. È un dettaglio importante perché, come ha fatto notare anche lo studio cinese, in Giappone la maggior parte degli animatori delle aziende giapponesi è libero professionista. Spesso, quindi, vengono sottoposti contratti che non sono soggetti nemmeno al salario minimo.

Secondo un sondaggio del 2019, condotto dagli Animatori del Giappone e l’Associazione dei Registi, solo il 14.7% degli intervistati (campione di 380 persone con 39 anni di media) era impiegato full time. Inoltre, più del 50% era un lavoratore indipendente. Il 10% degli intervistati avevano uno stipendio annuale che ammontava a meno di 1 milione di yen (circa 7270 euro).

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Le aziende cinesi stanno dunque approfittando delle pressanti e insoddisfacenti condizioni lavorative in Giappone, rilanciando le cifre e offrendo dei benefit. Secondo quanto dice Colored Pencil, ad esempio: “per creare un ambiente dove ci si concentra sulla produzione, vengono impiegati animatori full-time e gli vengono forniti indennità per i trasporti e gli alloggi“.

Oltre a ciò, i cinesi puntano anche sulla possibilità di lavorare in un ambiente più sostenibile. Colored Pencil ha, ad esempio, “un orario di lavoro basato sul sistema flessibile, con poche persone a fare gli straordinari, anche prima delle scadenze”. Lo studio cinese ha trovato quindi il modo per attirare a sé i talenti giapponesi stufi di essere sfruttati. Il messaggio che l’azienda vuole dare è: “perché lo spettatore si possa godere l’animazione, il cuore del creatore deve essere soddisfatto”.

Non è solo la Cina a voler puntare in questo modo sul mercato dell’animazione giapponese. Anche Netflix, ad esempio, ha firmato un accordo con un’azienda d’animazione di Tokyo nel 2018, alla quale spesso fornisce budget di entità tre volte maggiore rispetto alla spesa media delle altre aziende giapponesi.

In Giappone, infatti, il sistema più comune in un’azienda d’animazione è quello del “comitato di produzione”. Secondo questo sistema, i publisher, i trasmettitori e altri enti si dividono i costi di produzione. Questo comporta un budget limitato per gli animatori, alla quale viene destinata una retribuzione molto bassa, anche se il loro lavoro ha successo.

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Nonostante il Giappone sia la patria di più di 260 studi di produzione, secondo Teikoku Databank almeno il 30% degli studi produttori di anime ha operato in rosso durante il 2018. Le dure condizioni del mercato dell’animazione giapponese, quindi, mettono i bastoni tra le ruote alla stessa crescita del settore dell’animazione.

Le lamentele degli animatori sono diverse. Essendo assunti come freelancer, mancano di sicurezza sociale. Spesso hanno un eccessivo carico di lavoro in confronto alla remunerazione, e non riescono ad aggiornare la loro formazione. Molti artisti non hanno nemmeno un ufficio, ma producono i disegni a casa e un dipendente dell’azienda passa a ritirarli quando sono pronti (chi ha visto Shirobako sa bene di cosa si parla).

Fortunatamente pare che alcune aziende giapponesi, adesso, stiano iniziando a recepire il messaggio. Il grande successo di anime quali Demon Slayer e Weathering with you ha convinto alcuni che investire di più nei costi di produzione potrebbe effettivamente ripagare.

Come in molti mestieri d’arte, alcuni artisti sono stati convinti sin da giovani che un animatore deve semplicemente essere “altruista”, e che uno stipendio basso è frutto solamente di una propria mancanza di abilità. Adesso, pare che ci si sia accorti che tale mentalità non permetterà di produrre un buon lavoro e, soprattutto, potrebbe mettere in serio pericolo l’industria stessa.

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Fonte: SomosKudasai

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Camilla Flocco

Camilla Flocco

Dragon Ball, One Piece e tutto ciò che ama il web.

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