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Goodbye, Eri | Recensione del one-shot di Tatsuki Fujimoto

Da diverse settimane si è parlato più volte dell’arrivo di Goodbye Eri, un nuovo one-shot da parte di Tatsuki Fujimoto, autore rinomato soprattutto per il controverso Fire Punch e il popolarissimo Chainsaw Man. Dopo due anni dal suo inizio, quest’ultima serie ha infine raggiunto la “conclusione” del primo arco narrativo, e secondo le informazioni rilasciate dovrebbe dare inizio a un nuovo arco a partire da quest’estate.

Nel mentre, il talentuoso e celebre autore ha potuto dare sfogo alla sua dote creativa, sperimentando in diversi modi attraverso due storie brevi raccolte ognuna in un unico volume: l’anno scorso abbiamo infatti visto l’arrivo di Look Back, opera che ha ottenuto un forte apprezzamento dal pubblico e che si è distinta dal tratto più concentrato sull’azione che caratterizza l’altra creazione più nota di Fujimoto. Oltre a ciò, proprio in questi giorni è stato reso disponibile per la lettura gratuita anche Goodbye, Eri, il nuovissimo one-shot appena rilasciato su Manga Plus.

È già intuibile dal titolo, ma in Goodbye, Eri Tatsuki Fujimoto pone come prospettiva centrale una trama che verterà sulle tematiche della perdita; tuttavia, le pieghe che prenderà la storia difficilmente andranno incontro alle aspettative, mentre l’autore darà sfogo all’imprevedibilità che ha sempre riguardato le sue storie, e all’inventiva con il quale egli tende a esprimersi a seconda delle situazioni. Con la nostra recensione, andremo a parlare delle impressioni che ci ha dato questo nuovo one-shot.

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Goodbye, Eri: un’opera tanto semplice quanto complessa

Come abbiamo detto, la premessa principale di Goodbye, Eri riguarderà la perdita, o almeno questo è ciò che trasparirà all’inizio. Dopo avergli regalato uno smartphone per il suo compleanno, i genitori del giovane protagonista, Yuta, affideranno al figlio un compito importante: riprendere la madre nei suoi ultimi momenti di vita. Essa sarà infatti affetta da una qualche malattia incurabile, e nonostante si tratti di una questione alquanto infelice, Yuta finirà con l’accettarla, documentando pian piano, ore e ore, gli istanti di vita quotidiana della madre attraverso il suo telefono, tanto da dover anche comprare un PC per conservare tutti i file contenenti i numerosi ricordi.

Con il passare del tempo, egli andrà a immortalare di conseguenza anche il rapido sviluppo della malattia, fino a giungere allo stadio nella quale ormai tutto sembrerà essere sul punto di concludersi. Con la madre ricoverata in ospedale, Yuta e il padre giungeranno davanti la struttura, andando a dare il loro ultimo saluto. Ma ecco che improvvisamente, distogliendo per un momento l’attenzione dalla videocamera del suo telefono, Yuta si girerà di scatto, scappando e lasciandosi alle spalle l’ospedale, che nei frangenti successivi verrà sventrato da una poderosa esplosione.

Subito dopo, si apprende come questa storia sia stata raccontata da Yuta attraverso un lungo filmato da lui editato, raccogliendo i suoi momenti e quelli con la madre per mostrarlo alla sua scuola. Per tutta risposta, l’intero pubblico si presenterà sbalordito e scioccato da questo finale pirotecnico che, secondo Yuta, era solo frutto di un “pizzico di fantasia” che egli ha voluto aggiungere. Le reazioni scatenate saranno molte, ma tutte si concentreranno su come quell’ultima parte avrebbe devastato tutto il potenziale inizialmente costruito, facendo fioccare numerose e aspre critiche per le scelte narrative di Yuta.

Questo condurrà presto Yuta a tentare il suicidio dal tetto dell’ospedale dove venne ricoverata la madre (e di documentare il gesto) quando una ragazza si rivolgerà a lui, fermandolo dal lanciarsi. Esponendo il chiaro intento di volergli mostrare ore e ore di film, questo servirà per un solo scopo: renderlo un bravo regista per realizzare un degno seguito del lungometraggio mostrato a scuola. A questo punto, verrà naturale domandarsi però se ci saranno altri motivi dietro, ma i veri misteri di questa storia saranno ben altri.

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Una versione alterata

La formula che sorregge Goodbye Eri risulta all’apparenza abbastanza semplice: il dolore che consegue la morte di qualcuno e la volontà di ricordare si pongono come punti chiave dei fatti raccontati. Stabilite queste linee di partenza, ciò che emerge dalla penna dell’autore sarà specialmente una vera e propria esibizione del suo talento artistico, il quale cerca di sperimentare in modo più netto e marcato. Fujimoto va allora a sfruttare i metodi di narrazione che più gli appartengono, sia negli aspetti visivi che linguistici, con i quali riesce a dare una svolta repentina alla trama e alle vicende rappresentate, arrivando a cogliere pienamente in fallo il lettore.

L’opera aspira quindi a disorientare, e in funzione di ciò si serve della prospettiva in prima persona una volta che si è legata indissolubilmente alla perdita della madre: questo trauma infatti perseguita il protagonista-cameraman, il quale sembra voler continuare a mostrare la sua vita attraverso la videocamera anche dopo il tragico evento. In realtà, quello che sta accadendo davanti agli occhi dei lettori è molto di più di quello che si pensa di star vedendo.

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L’ambiguità nella narrativa non è data solo da una questione di punto di vista, ma anche in fatto di dialoghi, espressioni, gesti e atteggiamento dei personaggi. A questo punto, potrebbe non essere un’esagerazione dire che in Goodbye, Eri ci sia una sorta di rivoluzione della tecnica dello “show, don’t tell”, e similmente al caso degli spettatori che hanno assistito al film di Yuta, si potrebbe finire con il provare diversi momenti di confusione in alcune parti dell’opera, che seppur alquanto realistica non esiterà nell’inserire quei “pizzichi di fantasia” per sviare il lettore.

La realtà vista dal lettore

Se nelle opere precedenti (pensiamo ad esempio a Fire Punch) la passione per il cinema di Tatsuki Fujimoto era già esplicita, e specialmente evidente tramite dei monologhi d’adorazione e riferimenti, in Goodbye, Eri possiamo visionare una vera e propria “pellicola cartacea”. I pannelli che costituiscono le varie pagine scorrono dall’alto verso il basso, imitando chiaramente la composizione di una normale pellicola cinematografica, quella formata da diverse diapositive che vengono riprodotte in successione, per intenderci.

Si può azzardare un paragone con il paneling che il maestro Osamu Tezuka tende a utilizzare, ma chiudere la questione solo con una similitudine del genere sarebbe alquanto errato nei confronti di entrambe gli artisti. Fujimoto punta a dare un’impressione di cinematografia amatoriale, adeguata ad un novellino in quest’arte come Yuta, aggiungendo l’effetto “motion blur” e le tipiche inquadrature imprecise della telecamera, le quali in determinati momenti vogliono ricordare al lettore di star visionando la storia in questo modo.

Queste “interferenze” nella visuale narrativa influenzano a loro volta anche le impressioni di chi legge, assottigliando ulteriormente le capacità di distinguere la finzione dalla realtà. Da ciò ne scaturisce presto una grande difficoltà nell’affidarsi totalmente ai personaggi, arrivando a dubitare dei fatti che emergono dai loro stessi dialoghi. Le emozioni del lettore diventano così sempre più consapevoli di essere manipolate dalla storia in quel momento; eppure, a questo punto non si potrà evitare di considerare questo aspetto come un’ulteriore attrattiva di Goodbye, Eri.

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Dettagli non così superflui

Posando l’occhio sulla marcata rappresentazione nell’espressività dei volti e gesti dei personaggi, si può intravedere la volontà di Fujimoto nell’infondere un valore profondo anche verso ogni riposizionamento delle labbra o del corpo, probabilmente motivata dalla scelta di voler creare una sorta di film su carta.

Nella mente dell’autore, i soggetti rappresentati possiedono costantemente il ruolo di attori veri e propri, e mentre si può finire con il vedere più di una pagina contenere quattro pannelli praticamente uguali, le varie gesta e i diversi dettagli, visti attraverso l’inquadratura fissa che va a documentare il tutto, aggiungono quel tocco di realismo e familiarità tipica dei film. La situazione apparirà invece diversa agli occhi di chi legge, poiché cercherà inevitabilmente di capire quando i personaggi stiano interpretando la loro parte, e quale versione di loro sia quella vera.

Lo stesso realismo di prima viene apportato alla caratterizzazione del cast di Goodbye, Eri: si parla di un gruppo piuttosto ridotto, formato dalla famiglia di Yuta e da Eri, oltre che alcune comparse. Questo porterebbe a pensare che la storia che si sviluppa nelle 200 pagine di Goodbye, Eri (che su carta sembrano tante, ma scorrono molto bene per merito della scelta di paneling) riesca a sviluppare in modo congruo i protagonisti, e in effetti ciò corrisponde alla verità.

Ma oltre a ciò, a un certo punto Fujimoto “tira il tappeto sotto ai piedi dei lettori”, trasportando il tutto verso l’estremo opposto, e arrivando a far “disconoscere” i personaggi a tutti coloro che fino a quel momento pensavano di essere stati capaci di trarre alcune conclusioni riguardo la storia.

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Non ci è dato sapere se questo one-shot parli in qualche modo di un reale episodio di vita di Fujimoto, ma alcuni degli argomenti tirati fuori nel corso dell’opera appaiono come delle considerazioni che l’autore ha deciso di esprimere all’interno del one-shot.

Mediante Yuta è possibile vedere il modo in cui processa la mente di un creativo, e come le emozioni che lo guidano nel creare qualcosa possono influire a seconda di numerosi fattori. Eppure, ricordando come la storia manipoli di continuo la realtà narrata, non è detto che le parole date dal protagonista corrispondano a un pensiero reale o a una effettiva metacoscienza da ricollegare alla mente di Fujimoto.

Conclusioni

Discutibilmente, Goodbye, Eri potrebbe essere ritenuto l’attuale “Magnum Opus” di Tatsuki Fujimoto, in quanto si dimostra essere un concentrato ed un ulteriore perfezionamento di tutto ciò che di positivo il mangaka ha saputo regalare ai suoi lettori nell’arco della sua carriera.
Fujimoto ha voluto inserire numerosi aspetti delle sue creazioni precedenti, evitando però d’intraprendere derive più d’azione (escludendo le esplosioni) e rimanendo concentrato sul soggetto focus dell’intero one-shot: Eri. Seppur dopo la sua comparsa Yuta continua a essere il protagonista della storia, la stessa gravita in realtà attorno alla ragazza incontrata, la quale diventa il fulcro centrale di tutta la narrazione, la principale attrice.

Il tema del ricordo è fortemente espresso nel corso dell’opera, partendo già dalla necessità di comprare un computer per conservare i file, e giungendo poi a un momento cruciale nella vita di Eri. Il modo in cui vengono percepite le persone e i ricordi che si hanno di loro sono facilmente alterabili, non importa quanto si tenti d’immortalarli in modo immacolato.

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Oltretutto, i ricordi sono capaci d’influenzare anche noi stessi, e alla fine di tutto sta a noi decidere cosa farne, se rimanere travolti da essi o decidere di accettarli e andare avanti. Non è semplice voler riconoscere di possedere un’identità scomoda o poco attraente, diversa da quella delle persone nei film; tuttavia, le persone normali non sono in grado di seguire gli ideali posti dalla fantasia, e le esplosioni che vengono aggiunte nelle vicende reali che compongono il filmato possono essere interpretate come una magra consolazione di questa inespugnabile verità.

I dubbi e le insicurezze di chi è incaricato di creare e intrattenere, l’identità che andiamo a costruire pensando e imparando a conoscere qualcuno, le ferite emotive che impattano sul proprio carattere e modo di comportarsi, la distruzione degli ideali che si avevano riguardo le persone più care, i ricordi che non siamo in grado di abbandonare; questi sono tutti elementi che vanno a incorporarsi nel lungometraggio d’inchiostro di Fujimoto. Il finale a libera interpretazione potrebbe per molti avere un’unica soluzione, ma in fin dei conti nessuno conosce la realtà ufficiale, se non forse l’autore stesso.

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Marina Flocco

Marina Flocco

Fruitrice seriale di videogiochi, anime, manga, tutto ciò che è traducibile dal giapponese.

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