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BNA: Come si combattono razzismo e sessismo?

BNA, successo o delusione?

Studio Trigger è indubbiamente una delle realtà più amate e conosciute dagli appassionati di anime. In un mondo in cui ad animatori e registi non viene data chissà quale importanza, questa compagine di scappati di casa è riuscita a ritagliarsi uno spazio che diventa, di anno in anno, sempre più ampio. Prima grazie al caso Kill La Kill, forte sia in patria che qui in occidente, e in seguito con un numero sempre più alto di produzioni e una crescente presenza sul web.

BNA, per gli amici Brand New Animal (curioso come non sia il contrario), è l’ultima fatica dello studio firmata dal regista Yoh Yoshinari, uno che già ai tempi della Gainax era considerato tra i migliori animatori della scena giapponese. I due film di Little Witch Academia da lui diretti hanno convinto per qualità visiva e semplicità della storia, ma quando ha provato a farne un serial l’accoglienza è stata piuttosto tiepida.

BNA

Nella sua seconda produzione originale, distribuita su Netflix, Yoshinari si immette sulla scia di opere come Zootropolis, Blacksad o Beastars con una storia che si pone l’obiettivo di affrontare con leggerezza tematiche importanti quali razzismo, disparità sociali e ruolo della donna all’interno della società. Scopriamo insieme se c’è riuscito o se, invece, si è trattato di un ulteriore buco nell’acqua.

La Storia

In un mondo che contempla l’esistenza di animali umanoidi noti come “uomini bestia“, l’umana Michiru Kagemori si trasforma improvvisamente in un tanuki e si trova costretta, a causa di violente discriminazioni, a rifugiarsi nella sicurezza di Anima City, luogo costruito appositamente per gli “uomini bestia“. Dopo aver conosciuto il duro Shiro Ogami, inizia ad investigare sulla sua trasformazione e scopre progressivamente che sotto c’è molto di più.

Obiettivamente, l’incipit di BNA pone tutte le basi necessarie per imbastire i discorsi su cui poi gli episodi successivi costruiscono l’identità della serie.

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C’è una forte divisione tra umani e uomini bestia, evidenziata dalla creazione di una città che permetta a questi ultimi di vivere in un’apparente armonia; c’è il ruolo paternalistico di Shiro, che interviene immediatamente a salvare la “stupida ragazzina” dalle fauci dei terroristi; e, sopratutto, c’è il rifiuto della protagonista di accettare per partito preso una condizione che non ha mai richiesto e che, nella sua testa, non la rende affatto diversa dagli altri.

Michiru si è ritrovata ad assomigliare ai famosi cani procione del folklore giapponese per motivi che non comprende, ma nel profondo sente ancora di essere un’umana. La permanenza ad Anima City, infatti, la porta a comprendere sempre di più che nonostante il suo aspetto gli altri cittadini vivono in un modo completamente diverso, hanno altre priorità ed altre abitudini. Nonostante rimangano per gran parte del loro tempo in forma umana, gli uomini bestia sentono fortemente le differenze che li separano dalla “vera” umanità, ed in tanti casi ne fanno addirittura un vanto.

Tra uomo e bestia

Se al di fuori delle mura si dà spazio a vere e proprie persecuzioni, all’interno la situazione viene capovolta in favore degli uomini bestia. Perché, e ormai ne abbiamo la prova provata, da paura e rifiuto non possono nascere sicurezza e accettazione; così, la diffidenza continua a governare i rapporti tra le due “specie” poiché alimentata sia da una parte che dall’altra.

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BNA, insomma, non vuole presentare gli uomini bestia come la parte da compatire automaticamente perché costretta ad edificare un’intera città per vivere in tranquillità; piuttosto, prova senza troppe cerimonie a proporre una situazione molto simile a quella che viviamo attualmente.

E’, infatti, lo stesso concetto per cui oggi i “maschi bianchi etero” vengono identificati come un bersaglio su cui riversare decenni di risentimento e frustrazione, la stessa identica idea per cui sarebbe giusto che un doppiatore con anni di esperienza su un personaggio si scusi poiché di un’etnia differente rispetto al ruolo che ha interpretato.

Una scelta che per più di una singola persona è quella più ovvia da compiere, ma che allo stesso tempo contribuisce sempre di più ad alimentare il senso di divisione tra razze e a dare valore a quei concetti assurdi che appartengono ad una cultura ormai superata ed obsoleta.

Se un’etnia storicamente vessata da secoli di discriminazione finisce per assumere gli stessi atteggiamenti, non è certamente giustificata nel farlo. Ciò che alimenta il cerchio dell’odio è il ripercorrerlo ponendosi in maniera antagonistica e volendo cancellare del tutto quel che ci sembra inaccettabile, come se mettere un bavaglio a ciò che non ci sta bene non sia sbagliato a prescindere. Eppure, sapete, che lo scopo dello studiare la storia dell’umanità sia anche l’evitare che determinati avvenimenti si ripetano, è una delle prime cose che si imparano a scuola.

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BNA lo esplicita ponendo Michiru nel mezzo, in una posizione da cui può trarre le sue conclusioni tanto sulle violenze portate avanti dagli umani, quanto sull’ipocrisia con cui gli uomini bestia le denunciano per poi riproporre gli stessi atteggiamenti. E, per quanto questa sia una delle intuizioni più interessanti dell’intera opera, finisce anche per diventare uno dei suoi più grandi problemi.

Non esistono soluzioni

Nella consapevolezza che non si può parlare di tali tematiche come se si fosse al bar, la serie di Yoshinari cerca di alternare alla leggerezza generale svariati tentativi di approfondire le divisioni tramite discorsi e azioni che le definiscono di puntata in puntata.

Il rapporto tra Michiru e Shiro, in questo senso, è il mezzo più utilizzato per descrivere tale situazione: il lupo si pone infatti come il principale protettore di Anima City e dei suoi abitanti, ma la protagonista non gradisce affatto l’idea di dover essere “protetta.

Pur partendo da una posizione di assoluta debolezza, la sua insolita trasformazione rivela una vasta gamma di poteri che la portano man mano a divenire consapevole di una forza che le consente di divenire indipendente e di staccarsi dall’indole paternalista di Shiro, convinto invece che necessiti costantemente della sua protezione.

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Alla fine dell’episodio 2, infatti, Michiru afferma con forza di non aver più bisogno del lupo bianco e conclude il suo rabbioso intervento ribadendo l’odio che prova verso gli uomini bestia. Una frase vagamente razzista che fa storcere il naso poiché posta alla fine di una filippica chiaramente femminista, ma che si lega perfettamente all’imparzialità presentata dal world building.
Se solo avesse un seguito.

Però, e immagino lo abbiate già capito, nell’episodio successivo l’astio si trasforma in una piccola smorfia e tutto ritorna al punto di partenza, con una protagonista che si dimostra invece cordiale nei confronti di chiunque eccettuato Shiro. E parlando dell’inizio, è abbastanza significativo che un elemento tanto rilevante per la narrazione venga trattato con una leggerezza che pur facendo parte della serie diventa improvvisamente fuori luogo.

“Vabbé, ma è una serie leggera”

BNA, obiettivamente, non vuole essere una serie matura e razionale. Opera sicuramente su discorsi da non prendere sottogamba, però è comunque impostata su un tono scanzonato, intriso di quel gusto occidentale che Yoshinari aveva già dimostrato di avere con Little Witch Academia. E’ un po’ come se fosse un Bojack Horseman con molta depressione in meno, e fondamentalmente è qui che sta il problema.

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Se per 5 episodi la narrazione viene diretta verso un’idea ben precisa, svelando dettagli che devono spingere lo spettatore a pensarla in una singola maniera, fare retro front cancellando molte delle intuizioni precedenti è sbagliato. E lo rimane anche se lo si fa in un virtù della “leggerezza“, che ormai è diventata la scusa primaria per non ammettere che determinate storie non hanno il coraggio di spingere sull’acceleratore.

Eh, ma questo serviva per spezzare la tensione, non puoi essere serio per tutti gli episodi“; certo che puoi, invece. Perché obiettivamente, e questo è un segreto di pulcinella, puoi essere leggero anche mantenendo una maturità di fondo. Far finta che la rabbia di Michiru fosse solo uno sfogo e non ritornare neanche per un secondo su quelle dichiarazioni fa passare un momento emotivamente molto forte come un segmento riempitivo, un’idea che non deve trovare sviluppo perché altrimenti si rischia l’inimicizia del pubblico.

Una mancanza di coraggio che viene ribadita dal come gli episodi successivi siano avventure praticamente autoconclusive in cui Michiru viene a contatto con la diversità in maniera asettica, senza più considerare realmente quel risentimento causato dall’improvviso cambiamento della sua vita quotidiana.

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Dice di odiare gli uomini bestia, ma poi si integra senza difficoltà. E quando nella sesta puntata si ha la prima vera svolta narrativa, la storia si perde nel cercare una spiegazione al suo mutamento pur presentando personaggi come l’amica Nazuna che consentirebbero sicuramente un maggiore approfondimento dei temi iniziali.

Ma quindi…è una brutta serie?

Ecco, questo no. BNA è un titolo molto divertente, che almeno in qualche episodio affronta temi delicati senza andare incontro alle solite leccate di culo che ormai siamo abituati a vedere un po’ ovunque. Razzismo e disparità di genere sono trattati per quel che sono, senza quei classici assolutismi che trasformano femminismo ed antirazzismo in ciò che entrambi i movimenti criticano aspramente.

Per la quasi totalità della serie, però, sembra proprio che aldilà di alcune intuizioni non ci fosse realmente l’idea di arrivare ad una conclusione tematica. E anche in vigore di un finale piuttosto strano, non si può dire che sul piano narrativo sia poi così soddisfacente.

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Dal punto di vista visivo, invece, si ripresenta lo stesso problema di Little Witch Academia: Yoh Yoshinari non è adatto alle meccaniche televisive. Lui vuole che tutto sia animato nel minimo dettaglio, che si presti attenzione a come funziona il corpo umano per riprodurne fedelmente i movimenti; una cosa che, manco a dirlo, è impossibile da fare se hai dei tempi di produzione tanto ristretti. E Netflix per di più dà delle tempistiche ancora più risicate, quindi la sua visione è ancor più penalizzata.

Tuttavia, BNA rimane comunque un prodotto molto godibile sul piano dell’animazione, con sporadiche sequenze di qualità e un episodio, il 5, in cui si respirano a pieni polmoni Yoshinori Kanada e Chuck Jones.

Conclusioni

Come avrete potuto notare, oltre agli accenni iniziali in questo articolo non ci sono stati paragoni con Beastars o Zootropolis, opere che invece vengono spesso accostate a BNA. Questo perché nonostante i tanti difetti che la serie può presentare, le intuizioni che la costituiscono sono parte di un’identità ben precisa che deve essere compresa e riconosciuta. Anche in uno studio come Trigger, a cui i fan attribuiscono spesso un unico stile (fatto sbagliatissimo), l’ultima fatica di Yoshinari presenta comunque una forte personalità sia visiva che narrativa.

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Non sarà poi così valida, ma almeno sul piano del puro intrattenimento convince ed anche tanto. Basta non farsi rodere tanto il fegato per l’enorme occasione sprecata che rappresenta.

E ovviamente, ora che l’ho detto, ho iniziato a farlo io. Scusate, chiudo il sipario e vado a piangere.

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