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Kitaro dei Cimiteri – Lo Spacciamanga #1

Ué ragazzo, lo vuoi un po’ di Kitaro?

 

Uno dei maggiori problemi dell’essere un appassionato di manga in occidente è che, molto spesso, non si è capaci di percepire allo stesso modo molti dei titoli che in Giappone hanno avuto un ruolo davvero rilevante.  si pensa alla produzione di Tezuka, per esempio, si può realizzare come il lavoro di quello che universalmente viene riconosciuto come “il Dio dei manga” non abbia da noi lo stesso valore che ha ricoperto nella storia del medium.

E considerando come oggi la maggior parte dei lettori sia composta da un alto numero di adolescenti che conoscono solo le opere più famose, si può arrivare alla facile conclusione che le conoscenze riguardanti questo mondo sono purtroppo incomplete e superficiali.

Per questo, da amante del fumetto giapponese, credo sia necessario portare all’attenzione del pubblico tutta una serie di titoli che, arrivati o meno sul suolo italico, non godono della giusta considerazione. “Lo Spacciamanga” sarà dunque una rubrica dedicata a riempire tale vuoto culturale con consigli rapidi, per evitare di annoiare i neofiti con lunghe discussioni che risulterebbero poi controproducenti.

recensione kitaro dei cimiteri manga

Non parlerò necessariamente di manga strafamosi nel Paese del Sol Levante, ma piuttosto di opere che anche nel loro essere poco conosciute sono comunque riuscite a lasciare una traccia del proprio passaggio. Il punto di partenza è “Kitaro dei Cimiteri”, serie di culto pubblicata da Shigeru Mizuki dal ’59 al ’69.

Kitaro, giovane yokai

In un Giappone avvolto nel folklore, le apparenze non corrispondono mai alla verità. Kitaro si presenta infatti come un bambino, ma così come il lungo ciuffo di capelli che nasconde l’assenza dell’occhio destro, il suo comune aspetto cela una natura da “ragazzo demone”.

Gli yokai si sono sempre tenuti il più lontano possibile dalla società umana, poiché con simili fattezze sono sempre apparsi come minacce. La verità, tuttavia, è che i demoni non sono poi così diversi da noi: allo stesso modo infatti cercano solo di condurre la propria esistenza con tranquillità, muovendosi tra gli ambienti rurali giapponesi per evitare quella civiltà cresciuta con storie terrificanti su di loro.

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I genitori di Kitaro, ultimi del loro clan, vengono scoperti in una casa abbandonata da un umano, che pur vedendone l’indole inoffensiva non riesce in alcun modo ad ignorarne l’aspetto spaventoso. Anche dopo aver adottato il piccolo a seguito della loro morte non riesce ad amarlo come se fosse suo e continua piuttosto a vederlo con sospetto, come se le sue differenze gli impedissero di integrarsi ed essere percepito come un semplice bambino alla ricerca del suo posto nel mondo. Per questo, Kitaro abbandona la metropoli e si mette in viaggio assieme all’occhio di suo padre per iniziare un’avventura senza meta.

Dentro e fuori la società umana

Tramite varie vicissitudini, Mizuki descrive un Giappone in cui i valori e le tradizioni fanno rapidamente spazio all’evoluzione e alla tecnologia. Gli yokai, parti fondamentali della cultura nipponica, sono ora costretti a ritirarsi nell’isolamento di montagne e campagne mentre le città si espandono a vista d’occhio, divorando tutto ciò che incontrano. La razionalità della vita moderna condiziona anche la stessa esistenza del soprannaturale, che da terrificante e catartico diventa fuori posto e insensato. Il primo umano incontrato si adegua ad esempio per costrizione e per paura, senza provare davvero a capire la situazione in cui si è cacciato.

Elementi propri della società umana, come il denaro o l’educazione scolastica, vengono utilizzati per rimarcare come l’uomo moderno cerchi di riportare tutto su di un piano razionale anche davanti all’incomprensibile. Finché Kitaro va a scuola o paga l’affitto, tutto rientra nella normalità; quando però cerca di seguire la sua natura e va a giocare all’Inferno, la sua presenza diviene improvvisamente ingombrante. La società umana, dopotutto, non contempla che qualcuno possa vivere al suo interno seguendo regole differenti, così come non considera realmente tutto ciò che esiste al suo esterno; anche quando ne è affetta, rinuncia a trovare una soluzione e cerca piuttosto dei modi per adeguarsi e trarne un guadagno.

Kitaro comprende questa natura viscida e codarda, ma al tempo stesso decide di conviverci. Al di fuori delle grandi città, nelle aree poco toccate dalla civiltà, non c’è comunque un posto a cui “appartiene”. 

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Ragazzo Demone

Nato in un cimitero dal grembo di una madre morta, il ragazzo demone non ha mai avuto un luogo a cui appartenere. Già solo l’aspetto chiarisce come sia diviso a metà tra il regno dei vivi e quello dei morti: sembra un bambino, ma non ha l’occhio sinistro. Ed anche quando abbandona la casa in cui era stato “adottato“, ne prende un’altra in affitto e continua ad andare a scuola.  La società umana è l’unica “casa” che Kitaro, suo malgrado, può avere. A seguito dell’estinzione del suo clan, non ha più una famiglia da cui tornare – fatta eccezione per il bizzarro padre/occhio. E gli yokai che incontra, poi, non gli danno nessun motivo per sentire un qualche legame.

Nel caos della città, invece, il ragazzo demone riesce in qualche modo ad integrarsi. Cerca di farsi un’istruzione, si innamora e si dà da fare per cucirsi addosso un ruolo. Le sue avventure si concentrano quindi sempre di più sulla ricerca di unità tra i due mondi da cui è diviso; quando i demoni minacciano, lui risponde. A muoverlo non ci sono sentimenti eroici, ma una genuina necessità di sentirsi connesso ad entrambi. Kitaro vuole che il progredire della società riesca a tollerare l’esistenza di creature inquietanti ed incomprensibili, spinte alla fuga e all’isolamento. E per farlo, si prodiga a proteggere l’umanità anche quando non gliene viene riconosciuto il merito.

Ultimo giro, siamo in chiusura

Il fascino di Gegege no Kitaro è uno di quelli che si definirebbe come “immortale“. Nel raccontare le avventure del ragazzo demone, Shigeru Mizuki univa intrattenimento, folklore e satira sociale in un’opera iconica e fondamentale. Testimone ne è il successo pluridecennale coronato da tonnellate di merchandise, eventi e trasposizioni in altri media. Solo pochi mesi fa Toei ha portato a termine una nuova serie animata da 99 episodi, per esempio.
In Italia è arrivato inizialmente nel 2006 con una raccolta in 3 volumi edita da d/visual, ma anche complice la chiusura dell’editore nel 2011 è presto diventato poco reperibile.  Oggi, tuttavia, possiamo usufruire di una nuova edizione targata J-Pop che aiuta almeno un po’ a colmare il vuoto.

Lo Spacciamanga ritorna tra due settimane, puntuale per consigliarvi qualche altra roba figa da leggere. Nel frattempo, cercate Carmen Sandiego.

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