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Martin Eden, la nostra recensione del film di Pietro Marcello con Luca Marinelli

L’evoluzione di un uomo

Pietro Marcello è uno degli autori più promettenti del cinema italiano odierno. Dopo una serie di documentari indipendenti e non, sorprende la critica e il pubblico con due lungometraggi La bocca del lupo e Bella e perduta che gli sono valsi numerosi premi in Italia e all’estero. Martin Eden è sicuramente il suo progetto più ambizioso sia per l’opera da cui si è ispirato, sia perché è presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, non una vetrina qualunque.

Il film è una libera trasposizione dell’omonimo romanzo di Jack London, da cui prende i temi principali, ovvero il tradimento del proprio io, la lotta fra classi e l’individualismo per distaccarsi però dal punto di vista geografico, infatti è ambientato a Napoli e percorre un arco narrativo non specificato ma comunque collocato nel secondo dopoguerra.

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Una storia che ci riguarda da vicino

Martin Eden è un marinaio che viaggia in nave da quando ha 11 anni, non ha particolari aspirazioni nella vita, fino a quando per eventi fortuiti non incontra Elena, figlia di aristocratici, che gli farà conoscere la letteratura e lo studio. Martin si innamora sia di lei sia dei libri e da questo momento in poi vuole imparare a parlare come “loro” e pensare come “loro”. Il marinaio inizia quindi uno studio ossessivo e morboso dei grandi autori per poi scoprire la sua grande vocazione: la scrittura.

Da qui intraprenderà un percorso che lo porterà a un continuo scontro con sé stesso e con le altre persone, in primis Elena, che giudica i suoi scritti troppo crudi e tristi, e con il popolo che attraversa una fase molto delicata dove il socialismo la fa da padrona, per arrivare infine a una situazione di insoddisfazione generale tanto da emanciparsi sia dalle classi comuni che aristocratiche.

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Martin Eden è il ritratto di un uomo che da autodidatta si impone ai vertici della società per poi scoprire che la felicità non si trova nella emancipazione culturale ma forse nel mare, nell’avventura. Questa cosa lo porterà a perdere progressivamente il senso del proprio vivere e della propria arte. La metafora più grande del film è il veliero che va pian piano ad affondare proprio quando il protagonista riesce ad avere successo come scrittore.

Ma il film non è solo il ritratto di un uomo. È anche quello di una società che non ha più un’identità, dove l’aristocrazia non vuole vedere la miseria (significativo il momento in cui Martin porta Elena nei meandri bui di Napoli), e dove la classe operaia rivendica i propri diritti senza però avere una figura guida di riferimento se non in brevi frangenti rappresentata dall’intellettuale Russ Brissenden.

Un’opera intima con Luca Marinelli in stato di grazia

Pietro Marcello imprime molto la sua vena autoriale, insiste molto sui primi piani ricordando il cinema di Fulci in questa caratteristica senza però non eccedere mai in virtuosismi inutili, aiutato anche da una grande fotografia che in molti punti realizza dei veri e propri quadri. La sceneggiatura scorre via velocemente, soffrendo un po’ di lentezza verso il terzo atto, per poi esplodere in un finale stupendo. Il film del regista casertano ha però una marcia in più che è l’interprete di Martin Eden: Luca Marinelli. L’attore romano è magnetico fin dalla prima inquadratura riuscendo a cogliere ogni sfaccettatura del personaggio, molto complesso da interpretare, che passa da momenti di dolcezza a scatti di isteria e rabbia, confermando lo stato di grazia che sta vivendo il protagonista di Non essere cattivo.

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Martin Eden rappresenta il film che consacra Pietro Marcello tra i grandi registi contemporanei del nostro cinema, realizzando un’opera poetica e cupa allo stesso tempo, che racconta l’uomo e la società senza inciampare in luoghi comuni noiosi grazie anche a un attore straordinario, Marinelli.

Voto: 8/10

 

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