“Life keep forcing cruel choices”
L’essenza di Verso, uno dei protagonisti di Clair Obscur: Expedition 33, potrebbe essere tutta racchiusa qui, in questa singola frase. Una frase semplice, breve, capace tuttavia di racchiudere non solo la personalità del giovane membro della famiglia Dessendre, ma anche l’intero sottotesto dell’immaginifica opera creata da Sandfall Interactive. Un’opera in cui non esiste bianco o nero, esiste il “chiaroscuro”, una scala di grigi che muove tutte le parti in causa, per motivi ugualmente validi che rappresentano l’umanità nella sua più profonda essenza. Un’umanità imperfetta, per certi versi egoista, scevra di tutti quegli stilemi narrativi ereditati dal kalòs kai agatòs dell’epica Greca, che agisce in base ai propri interessi, o a quelli dei propri cari, e non per quel bene superiore che non è altro che una chimera impossibile da raggiungere. Un’umanità che per tutti questi motivi risulta essere vera.
E tra questo chiaroscuro, tra questo sottilissimo ed allo stesso tempo enorme confine tra bianco e nero, c’è lui, c’è Verso. C’è il suo egoismo, la sua simpatia, personalità, il suo essere senza essere davvero qualcuno. C’è la sua scelta, quella di distruggere la Tela in cui è racchiuso l’ultimo pezzo della sua anima, cancellando con essa legami, amici, vite. Una Tela che diventa una trappola generata nient’altro che dal dolore, lo stesso che tiene la sua famiglia sotto scacco, e che non gli permette di “vivere” la pace eterna. Una pace meritata, che non sarà mai tale fin quando i suoi familiari non decideranno di lasciar andare l’idea ed il ricordo che hanno di lui. Fin quando Maelle, o per meglio dire Alicia, non si libererà dai legacci creati dal proprio senso di colpa, capaci di attanagliarla fino a farle dimenticare se stessa.

La scelta di Verso potrebbe sembrare ai più una scelta egoista, dettata da un crudele egoismo nato dalla sua prematura dipartita; niente di più sbagliato. La scelta di Verso racchiude l’essenza stessa dell’intera narrativa di Clair Obscur: Expedition 33. Racchiude l’umanità che permea personaggi, o meglio, donne ed uomini, che non sono altro che un riflesso creato da una mente incapace di trovare redenzione e pace, e che continua ad autoflagellarsi nella speranza di vivere una vita che non ha più la possibilità di vivere per quello che reputa un suo errore. La scelta di Verso è una scelta d’amore, una scelta che mette da parte un io che non esiste più per fare spazio ad un noi che lui non potrà mai vivere. Il noi della propria famiglia, il noi di Alicia, che potrà finalmente tornare a vivere la propria vita vera, per quanto dolorosa essa sia, libera dal giogo dell’affetto nei confronti di quello che, evidentemente, per lei era più di un fratello.
Verso, un atto d’amore
Se dunque la Tela è vista da Verso come una trappola, in maniera assolutamente giustificata e giustificabile, la sua scelta è il più grande atto d’amore che un essere umano, che umano non è, possa mai compiere. Rinunciare a se stesso, a ciò che ha costruito, rinunciare ad esistere seppur in maniera diversa ed effimera, per regalare a Renoir, Aline, e soprattuto ad Alicia, la libertà di essere, di vivere, e di farlo per davvero, nel suo ricordo, senza essere morbosamente legati ad esso. Perchè la Tela, per Verso, oltre ad essere trappola ed essenza, è anche e soprattutto dolore. Il dolore dettato dalla mancanza, il dolore dettato dalla perdita, il dolore dettato dai ricordi; un sentimento estremamente potente, in grado di far cadere chiunque nel nero, anche chi ha sempre cercato di vivere nel bianco, anche chi vi sta scrivendo in questo momento. Verso sa che il dolore resta, sa che il suo ultimo atto gli donerà la pace, ma potrebbe far piombare altri nell’ossessione del suo ricordo; tuttavia quell’atto così distruttivo ed allo stesso tempo buono, che viaggia su quel confine di cui abbiamo parlato poc’anzi, è l’unico modo per provare ad eliminare, o quantomeno ad attenuare, quel dolore che giustifica gli atti di Aline, Renoir e soprattutto Alicia. Perchè il ricordo resta, e resterà sempre, mentre il dolore si attenuerà, prima o poi; con il tempo, o con la convivenza con esso.
Ed è forse proprio il modo sbagliato di convivere con il dolore di Alicia che muove Verso. Una convivenza impossibile, malata, dettata solo ed unicamente dal senso di colpa di una donna che non ha colpe, se non quella di voler vivere una vita insieme a suo fratello, insieme alla persona a lei più cara che il fuoco le ha portato via. Una vita che non è realtà, ma che è tutto ciò che lei desidera; un rifugio che diventa trappola, una via di fuga dal dolore che altro non è che dolore mascherato da felicità. Un dolore che consuma lentamente, che corrompe, che si insinua nei colori meravigliosi della Tela. Un dolore dettato da un’illusione che Verso vuole spezzare, per lei più che per se stesso. Perchè lui è intrappolato lì dentro, si, ma al di fuori di lì è nulla più che un corpo freddo da commemorare, mentre lei è viva, sfigurata e dilaniata da una notte impossibile da sostenere in cui tutto il mondo le è crollato addosso sotto i colpi del fuoco, ma viva, problematica e per questo vera.
La stanchezza di Verso, dunque, non è solo quella della sua anima, ormai distrutta dal continuare a dipingere. È la stanchezza di chi vede la propria famiglia autodistruggersi a causa sua, è la stanchezza di chi vede una sorella perdersi per vivere solo un altro giorno insieme a lui. È una stanchezza dettata dall’amore nella sua forma più pura, che si sostanzia in un atto crudele, terribile, ma necessario; in un atto che si tuffa nel nero più assoluto per diventare bianco, che distrugge pur di creare, che spezza le catene per riportare tutti alla realtà. Una realtà dura, crudele, ricca di sofferenza, ma vera, esattamente come l’umanità, esattamente come Verso. Perchè per quanto ci si possa rifugiare nel ricordo, l’unico modo per convivere con il dolore è affrontarlo, faccia a faccia, senza maschere. E poco importa se il dolore dovesse sfigurarci, o toglierci la voce; ciò che è stato rimarrà, sempre, anche al di fuori della Tela.

Per I.