Il 2023 resterà impresso nella memoria dell’industria dell’animazione giapponese come l’anno di un trauma inatteso. Non si trattò di ritardi nelle produzioni o di episodi trapelati online, ma di un vero e proprio attacco informatico che mise in ginocchio tre tra gli studi più influenti del settore: Toei Animation, Production I.G. e David Production. Dietro a quell’azione, che paralizzò siti e servizi e compromise dati sensibili, ci sarebbe stato un gruppo di hacker curdi, come rivelato oltre 2 anni dopo da un rapporto di NTT Security Japan OSINT.
La vicenda non fu un semplice caso di criminalità digitale. A emergere fu un intreccio complesso in cui la geopolitica incontrava l’immaginario culturale. Sui social, i presunti responsabili dichiararono che il bersaglio erano le aziende giapponesi accusate di produrre anime “anti-curdi”. Nei messaggi diffusi tra X e Telegram, i toni furono durissimi: “I giapponesi hanno creato anime anti-curdi per diffamare i combattenti e la nazione curda, bruciando apertamente la bandiera del Kurdistan e distorcendo la nostra immagine. Per questo i nostri attacchi al Giappone continueranno“.
Anche senza indicare titoli precisi, i riferimenti a Toei Animation fecero pensare a capisaldi come Dragon Ball oppure One Piece, opere diventate simbolo globale della cultura pop giapponese. Gli attacchi presero forma soprattutto attraverso DDoS massicci, che resero inaccessibili siti ufficiali e piattaforme, e attraverso fughe di dati con rischi concreti per centinaia di dipendenti. L’impatto fu immediato e segnò un punto di non ritorno per la percezione della vulnerabilità del settore.

Un caso divenuto monito per la cybersicurezza
Con il tempo, il significato di quell’episodio si è allargato oltre i confini dell’industria anime. L’azione del 2023 divenne il simbolo di quanto fragile potesse essere l’infrastruttura digitale che sostiene la produzione culturale globale. Più che proteggere file di episodi inediti o anteprime di film, si trattava di difendere un intero ecosistema che oggi vive di streaming internazionale e di una fanbase distribuita ovunque.
Il fenomeno dei leak aveva già colpito realtà importanti, dalla diffusione non autorizzata di stagioni complete, fino alle intrusioni contro Nintendo e Pokémon. Ma l’attacco curdo introdusse una dimensione nuova, sottolineando il legame diretto tra un prodotto d’intrattenimento e rivendicazioni politiche. I messaggi parlavano esplicitamente di un Giappone “servo della Turchia” e accusavano il governo nipponico di discriminazione verso i curdi. La scelta di bersagliare studi come Toei o Production I.G. apparve quindi tanto simbolica quanto strategica.
Secondo NTT Security, il gruppo responsabile avrebbe legami con hacktivisti filo-russi e già da tempo sarebbe impegnato in operazioni contro Paesi vicini come Turchia, Iran e Armenia. Che il Giappone sia entrato in questo quadro più ampio mostra come la cultura popolare possa diventare un campo di battaglia digitale, in cui opere nate per l’intrattenimento finiscono per essere percepite come strumenti di propaganda.
Per l’industria dell’animazione, quella del 2023 fu una lezione dura ma preziosa. Difendere la creatività e il lavoro di migliaia di persone non significa solo combattere la pirateria, ma prepararsi a un futuro in cui la cybersicurezza sarà inevitabilmente intrecciata con la difesa dell’identità culturale. L’attacco, al di là delle sue motivazioni, ha rivelato che il confine tra racconto immaginario e conflitto reale può essere molto più sottile di quanto si pensi.
