La campagna Stop Copia Privata è nata con l’obiettivo di sensibilizzare il pubblico riguardo agli aumenti dei compensi per la cosiddetta “copia privata”, un problema che, a dispetto dell’evoluzione tecnologica, continua a gravare sugli utenti. Questi compensi, che si applicano su dispositivi di memoria come smartphone, PC, tablet e persino sul cloud, sono ormai considerati anacronistici, specialmente nell’era dello streaming. Il Comitato Consultivo per il Diritto d’Autore, come reso noto online tramite un video su YouTube di DDay, ha infatti presentato al Ministero della Cultura una proposta per aumentare questi compensi, suscitando il malcontento di molti, inclusi i consumatori e le associazioni che li rappresentano.
L’idea di tariffe più alte sui supporti di memoria si inserisce in un contesto dove la copia privata è ormai praticamente inesistente, la musica e i film vengono fruiti tramite piattaforme di streaming, e non attraverso il download o la copia su supporti fisici. A fronte di ciò, le tariffe che dovrebbero coprire il diritto di copiare contenuti protetti da copyright sembrano ormai obsolete, se non addirittura ingiustificate. Nonostante ciò, le grandi case discografiche e gli editori non sembrano intenzionati a rivedere questa “provvidenza”, che frutta ogni anno circa 130 milioni di euro, soldi che finiscono nelle mani di privati, e non dello Stato.

La campagna Stop Copia Privata contro l’estensione delle tariffe al cloud
Nel panorama attuale, l’idea di una compensazione per la copia privata è vista da molti come una sorta di “tassa invisibile” che si applica a milioni di italiani, che si ritrovano a pagare per qualcosa che non usano. Il pagamento dei compensi per copia privata avviene ogni volta che si acquista uno smartphone, un PC o anche una semplice chiavetta USB. L’assurdità della situazione sta nel fatto che questi dispositivi non vengono più utilizzati per copiare contenuti protetti da copyright. Non si tratta più di audiocassette, CD-R o DVD-R, ma di tecnologie moderne che nulla hanno a che fare con la copia privata, specialmente in un’epoca dominata dallo streaming.
La questione, inoltre, si fa ancora più complessa con la proposta di estendere il pagamento anche ai servizi di cloud storage. Un’idea che ha sollevato più di una perplessità, dato che le copie sui cloud non comportano alcuna violazione del diritto d’autore, essendo strumenti legittimi per la gestione e conservazione dei dati, non per la distribuzione non autorizzata di contenuti. Il rischio di un aumento delle tariffe, quindi, non riguarda solo l’ingiustizia di un compenso obsoleto, ma anche l’ulteriore aggravio di costi che si andrebbero a sommare per qualcosa che i consumatori non utilizzano più.
L’auspicio di chi promuove la campagna Stop Copia Privata è che il Ministro della Cultura, Giuli, riveda la proposta e, invece di incrementare le tariffe, le riduca sensibilmente. È chiaro che la “copia privata” così come la concepiamo oggi non ha più senso, eppure le leggi continuano a restare ancorate a concetti superati. In questo senso, una revisione dei compensi sarebbe il primo passo verso un allineamento alle reali esigenze di mercato, garantendo equità per i consumatori e abbattendo un fardello che ormai non ha più alcuna giustificazione.
