Quando si parla di lanci videoludici, l’attesa può essere un’arma a doppio taglio. Ma per Dying Light: The Beast, Techland ha deciso che quattro settimane in più potrebbero fare la differenza tra un buon gioco e un’esperienza memorabile. Il titolo, inizialmente atteso per il 22 agosto, è stato infatti posticipato al 19 settembre. Una scelta comunicata con trasparenza e motivata dalla volontà di rifinire il prodotto, concentrandosi su dettagli cruciali come l’equilibrio delle meccaniche di gioco, la chiarezza dell’interfaccia, la fisica del mondo e le animazioni.
In un post pubblicato sul blog ufficiale, il team ha riconosciuto l’importanza del feedback ricevuto da tester, anteprime stampa e commenti della community. Per questo motivo l’obiettivo obbligatorio imposto è quello di presentare Dying Light: The Beast nella sua forma migliore al lancio. E se l’esperienza insegna qualcosa, è che le prime impressioni contano più che mai. Lo sottolinea anche Techland nel suo post, ammettendo che il gioco rappresenta il culmine di oltre dieci anni di lavoro sulla serie, e un mese extra di sviluppo non è un capriccio, ma un investimento nella qualità finale.

Un open world denso, non infinito: la filosofia di Techland per il nuovo Dying Light
Il primo trailer gameplay ci aveva mostrato un titolo che, almeno all’apparenza, sembrava essere piuttosto ampio in termini di ambientazione e contenuti. Eppure, nonostante il trend contemporaneo di puntare a mappe enormi e centinaia di ore di contenuti, Techland ha scelto un approccio più ponderato per Dying Light: The Beast. Tymon Smektala, franchise director, ha voluto chiarire che la storia principale durerà circa 20 ore, con 20-30 ore aggiuntive per i contenuti opzionali. Una scelta che riflette una filosofia precisa di puntare su meno quantità, e più sostanza.
In una recente intervista a GamesRadar, Smektala ha fatto un paragone interessante con Assassin’s Creed Shadows, riconoscendone il valore ma sottolineando che la loro vastità può risultare opprimente, un limite condiviso da molti open world moderni. “Se inizio a giocare ad Assassin’s Creed Shadows, so già che non lo finirò mai”, ha affermato, aggiungendo che il vero ritorno sull’investimento nei giochi troppo lunghi non sta nel completamento, ma nel godersi ciò che si riesce a vivere. Un pensiero lucido e forse controcorrente, in un panorama in cui la durata spesso sembra contare più della qualità dell’esperienza.
Secondo Smektala, Dying Light: The Beast sarà uno dei giochi open world più “densi” mai realizzati, puntando tutto su immersione e realismo. “Per gli open world, le dimensioni non sono tutto. L’immersione è ancora più importante“, ha affermato. E se ogni angolo della mappa è stato pensato per offrire significato, allora 20 ore possono davvero valere quanto 100. Il rinvio, quindi, si inserisce perfettamente in questa visione, che vuole essere un gesto di rispetto verso il pubblico e verso l’opera stessa. La volontà di non pubblicare un gioco “quasi finito”, ma di proporre qualcosa che, al lancio, sia all’altezza delle aspettative è un segnale decisamente positivo, specialmente in un’industria spesso ossessionata dai ritmi serrati e dalle date fisse.
