Nel mondo dello sport, soprattutto durante eventi internazionali come gli US Open, il gesto di un atleta che regala un oggetto ai fan è spesso carico di significato. È un modo per creare un legame con chi lo segue, un ricordo che resta inciso nella memoria di chi lo riceve. Tuttavia, non sempre queste situazioni si concludono come previsto.
Un episodio recente ha dimostrato come la brama di possesso possa trasformarsi in un boomerang mediatico. Protagonista non così involtario è stato il CEO polacco Piotr Szczerek, diventato celebre non per i suoi successi imprenditoriali, ma per aver sottratto un cappellino destinato a un bambino dalle mani del tennista Kamil Majchrzak.
Il video dell’accaduto ha fatto rapidamente il giro dei social, accumulando milioni di visualizzazioni. Le immagini mostrano chiaramente l’uomo strappare il cappello sotto gli occhi del piccolo Brock, a cui il dono era riservato. La reazione online è stata immediata, tra accuse di scorrettezza, indignazione collettiva e un’ondata di critiche rivolte al manager polacco. Il clamore non è rimasto circoscritto al mondo dello sport, ma ha avuto conseguenze dirette anche sulla sua vita professionale.

La gogna social per il gesto agli US Open e il lieto fine per il piccolo: due destini opposti
Se da un lato la reputazione di Szczerek è stata travolta, con la sua azienda Drogbruk letteralmente bombardata di recensioni negative e precipitata a una media di 1,4 stelle su GoWork, dall’altro la vicenda ha avuto una svolta positiva per il piccolo fan. Dopo aver compreso la dinamica, Kamil Majchrzak ha deciso di incontrare personalmente Brock, consegnandogli un cappellino autografato e scattando foto con lui, immortalate in una storia Instagram. Un gesto semplice ma significativo, che ha ribaltato la narrazione, trasformando una delusione in un ricordo da custodire.

La risposta del CEO, invece, non ha fatto che peggiorare la situazione. In un post poi rimosso su GoWork, Szczerek ha provato a minimizzare l’accaduto dichiarando:
Il recente incidente alla partita di tennis ha causato un clamore online sproporzionato. Tutto per via del famoso cappello, ovviamente. Sì, l’ho preso. Sì, l’ho fatto in fretta. Ma come ho sempre detto, nella vita vige la regola del “chi prima arriva, meglio alloggia.”
Capisco che a qualcuno possa non piacere, ma per favore, non trasformiamo questo cappello in uno scandalo globale. È solo un cappello. Se foste stati più veloci, lo avreste voi. Riguardo all’odio online, vi ricordo che insultare un personaggio pubblico è passibile di azioni legali. Tutti i commenti offensivi, le calunnie e le insinuazioni verranno analizzati per la possibilità di portare la questione in tribunale. In fin dei conti, a testa alta, giù il cappello, meno veleno e più sportività.
Un commento percepito come arrogante e privo di empatia, che ha ulteriormente infiammato l’opinione pubblica. Le minacce di azioni legali contro chi lo insultava sui forum non hanno fatto che alimentare la polemica, spingendolo infine a chiudere i suoi canali social.
Questa vicenda, oltre a generare un effetto immediato di “instant karma”, mette in luce quanto oggi i comportamenti pubblici, anche quelli apparentemente banali, possano avere conseguenze enormi in tempi brevissimi (ricorderete il caso di Andy Byron al concerto dei Coldplay). Il cappellino diventa così il simbolo di una lezione virale: l’avidità può trasformare un momento di gioia in uno scandalo globale, mentre un piccolo gesto di correzione può restituire speranza e fiducia.
