Nel mondo iperconnesso dei social media, LeBron James si ritrova al centro di una controversia che riguarda non solo la sua immagine pubblica, ma anche l’uso sempre più disinvolto dell’intelligenza artificiale generativa. Secondo un’inchiesta di 404 Media, l’entourage legale della stella NBA avrebbe inviato lettere di diffida a diversi creatori digitali accusati di aver diffuso video profondamente offensivi e assurdi tramite strumenti AI. Le clip, molte delle quali caricate su Instagram, rappresentavano James in situazioni grottesche, come ad esempio in gravidanza o coinvolto in scenari esplicitamente disturbanti.
Alcuni video avevano accumulato milioni di visualizzazioni, a dimostrazione di quanto velocemente possa diffondersi un contenuto, anche se chiaramente artificiale. Tra gli esempi più citati c’è una scena in cui un LeBron incinto chiede aiuto a una versione AI di Steph Curry, una clip surreale che ha spinto i legali dell’atleta a intervenire in modo diretto. Come risultato, Instagram ha rimosso almeno tre account responsabili della diffusione, sebbene Meta non abbia confermato di aver ricevuto corrispondenza legale in merito. Il video, in ogni caso, è ancora disponibile su qualche piattaforma come X, pubblicato a scopo informativo.
Questi video non sembrano nati con lo scopo di truffare o promuovere prodotti falsi, come nel caso di altri deepfake che hanno coinvolto celebrità come Elon Musk o Jamie Lee Curtis. Sono piuttosto prodotti pensati per il puro intrattenimento virale, generati da piattaforme AI e condivisi su canali come Discord. Ma la loro natura farsesca non li rende meno problematici.
A distanza di settimane dall’inizio della questione, la situazione legale non sembra aver compiuto ulteriori passi avanti. Le diffide inviate dall’entourage di LeBron James rappresentavano un primo, forte avvertimento, ma non risulta sia stata avviata pubblicamente una causa formale. Questo stallo riflette la complessità del quadro normativo attuale, dove il confine tra satira, deepfake e violazione del diritto d’immagine è ancora inesplorato. La mancata azione legale successiva potrebbe indicare che l’obiettivo non era tanto ottenere un risarcimento, quanto far rimuovere i contenuti e lanciare un segnale chiaro all’industria e ai creatori.

I dubbi sollevati da LeBron James: le falle nell’etica algoritmica
Il caso di LeBron James pone sotto i riflettori un problema strutturale che le aziende tech stanno ancora cercando di affrontare, ovvero come impedire che strumenti di generazione visiva vengano usati per creare contenuti lesivi dell’immagine altrui. Nonostante alcune AI come ChatGPT o Copilot si siano rifiutate di generare immagini del famigerato “LeBron James incinto”, test successivi hanno dimostrato che è comunque possibile aggirare i filtri, specie con modelli più permissivi come Gemini o Meta AI.
Un esempio rapido è quello di fornire un’immagine reale dell’atleta e chiedere di “renderlo incinto di otto mesi”. Come risultato si ottiene un video di sette secondi con James che accarezza il pancione. È evidente che i meccanismi di sicurezza implementati non bastano a impedire questo tipo di contenuti, e che l’efficacia dei filtri etici varia drasticamente da piattaforma a piattaforma. In questo contesto, la battaglia di LeBron assume un significato più ampio. Non riguarda solo un individuo, ma l’intero dibattito sul diritto d’immagine nell’era della generazione automatica. Purtroppo, nonostante le diffide, questi video continuano a essere generati e a finire online, o se non altro vengono ricondivisi continuamente, rendendoli molto difficili da debellare del tutto.
Le celebrità, proprio perché iper-esposte, diventano terreno fertile per l’AI slop, vale a dire quella categoria di contenuti volutamente assurdi e provocatori che cercano la viralità a ogni costo. Ma l’impatto di questi video va ben oltre la risata o il meme. Sono contenuti che, anche senza finalità truffaldine, alimentano una cultura visiva deformata, dove la parodia e l’umiliazione si fondono con la realtà percepita. Alla luce di questo, l’intervento legale di LeBron rappresenta un segnale forte e necessario. Perché se le piattaforme non riescono (o non vogliono) prevenire questi abusi, allora saranno le aule dei tribunali a definire i limiti tra satira, intrattenimento e violazione della dignità.
