Una delle sfide più persistenti dell’edilizia contemporanea è la manutenzione delle strutture in cemento, materiale diffusissimo in tutto il mondo ma soggetto a fragilità nel tempo. Crepe e microfratture, spesso invisibili a occhio nudo, aprono la strada a infiltrazioni che, con il tempo, corrodono l’armatura interna e minacciano la stabilità degli edifici. Per affrontare questo problema, la ricerca scientifica ha da tempo puntato su soluzioni bio-ispirate, ma ora un team guidato dalla dottoressa Congrui Grace Jin sembra aver compiuto un vero salto di qualità.
Prendendo spunto dalla straordinaria capacità di adattamento dei licheni, organismi che prosperano in ambienti estremi grazie alla simbiosi tra funghi e cianobatteri, i ricercatori hanno sviluppato un cemento “vivente” capace di autoripararsi in autonomia. La chiave del processo sta proprio nella collaborazione tra cianobatteri diazotrofi, che assorbono anidride carbonica e azoto dall’aria, e funghi filamentosi, che raccolgono ioni di calcio e facilitano la formazione di carbonato di calcio. Quest’ultimo, agendo come uno stucco naturale, sigilla le fessure e rallenta la degradazione strutturale.

Una simbiosi autonoma per un’edilizia con cemento sostenibile
Il vero punto di svolta di questo progetto risiede nell’autonomia del sistema che a differenza delle precedenti ricerche, che richiedevano l’integrazione di nutrienti esterni per mantenere attivi i microbi, l’approccio della dottoressa Jin si basa su un ecosistema che vive solo grazie all’aria, alla luce solare e all’umidità ambientale. I test di laboratorio hanno dimostrato non solo la sopravvivenza delle colture miste di funghi e cianobatteri, ma anche la loro efficienza nella produzione di carbonato di calcio all’interno del cemento. Risultati che aprono la strada a un’applicazione concreta e potenzialmente rivoluzionaria.
Il progetto, finanziato dal programma Young Faculty Award della DARPA, non si ferma all’aspetto tecnico, ma coinvolge anche studiosi delle scienze sociali per esplorare la percezione pubblica verso strutture “biologiche”. Integrare organismi viventi negli edifici potrebbe sembrare una forzatura oggi, ma domani potrebbe diventare la norma, soprattutto in un contesto in cui la sostenibilità è diventata una priorità globale. Se adottato su larga scala, questo cemento “bio-attivo” potrebbe ridurre drasticamente i costi di manutenzione, prolungare la vita delle infrastrutture e persino contribuire alla riduzione della CO₂ atmosferica. In altre parole, trasformare le nostre case e città in ecosistemi resilienti e intelligenti.
