Dr Commodore
LIVE

Plastica invisibile: l’inquinamento nascosto in formato “nano” che invade gli oceani

Per anni, oceanografi e ambientalisti si sono interrogati sul destino della plastica che, secondo le stime, sarebbe dovuta finire interamente negli oceani, ma di cui in realtà si è persa ogni traccia. Il cosiddetto “paradosso della plastica mancante” indicava un divario tra la quantità stimata di plastica riversata negli oceani negli ultimi decenni e quella effettivamente rinvenuta. Oggi uno studio pubblicato su Nature comincia a colmare quel vuoto, rivelando che una parte consistente di quella plastica si è trasformata in una forma ancora più insidiosa, le nanoplastiche.

Si tratta di frammenti minuscoli, inferiori a un micrometro, difficilissimi da rilevare e distinguere dagli altri inquinanti marini. A causa della loro dimensione infinitesimale, per anni sono sfuggite sia agli strumenti che all’immaginazione scientifica. Ma ora un gruppo di ricercatori del NIOZ (Istituto oceanografico dei Paesi Bassi), insieme all’Università di Utrecht e all’Helmholtz Centre tedesco, ha cambiato le carte in tavola.

Durante una spedizione nel Nord Atlantico, la squadra ha campionato l’acqua in 12 siti a tre differenti profondità, rimuovendo ogni particella superiore a un micrometro. Poi ha riscaldato il materiale rimanente per identificarne i gas emessi, rivelando l’identità chimica delle particelle di plastica nascoste. Il risultato dei test hanno evidenziato una quantità stimata di 27 milioni di tonnellate di nanoplastiche solo nei primi 200 metri dell’Atlantico settentrionale, una cifra impressionante, paragonabile, in termini di massa, alla plastica visibile che galleggia sulla superficie o che si deposita sui fondali.

plastica oceani
Plastica invisibile: l'inquinamento nascosto in formato "nano" che invade gli oceani 3

L’oceano contaminato dalla nanoplastica

Le nanoplastiche non solo sono ovunque, ma sono anche estremamente difficili da intercettare. Quelle più diffuse appartengono a materiali noti come PET (polietilene tereftalato), PVC e polistirene, impiegati comunemente in bottiglie, imballaggi, tessuti sintetici, cavi e utensili. La loro diffusione, per lo più concentrata nei primi strati oceanici, si riduce man mano che si scende in profondità, pur rimanendo comunque presente anche nei pressi del fondale.

Le particelle di plastica arrivano attraverso i fiumi, le precipitazioni atmosferiche (piogge e deposizione secca), e persino direttamente dall’aria. Si formano anche per la degradazione di plastiche più grandi sotto l’effetto della luce solare e delle correnti. Sorprendentemente, tra i polimeri più diffusi nei mari, come polietilene e polipropilene, non è stata rilevata la loro versione nanoscopica, il che suggerisce lacune ancora da colmare sulle dinamiche di trasformazione e sedimentazione in mare.

“Solo pochi anni fa, si discuteva ancora dell’esistenza stessa delle nanoplastiche”, frase del chimico Dušan Materić, a capo dello studio e riportata da Scienc Alert. Oggi sappiamo che non solo esistono, ma rappresentano una quota enorme dell’inquinamento plastico marino. E il problema principale è che, a differenza di sacchetti e bottiglie, queste particelle sono praticamente impossibili da rimuovere.

microplastica oceani fondale
Plastica invisibile: l'inquinamento nascosto in formato "nano" che invade gli oceani 4

Leggi anche: 200.000 rifiuti nucleari nell’Oceano Atlantico: la Francia guida la missione NODSSUM per recuperarli

Articoli correlati

Andrea Moffa

Andrea Moffa

Eroe numero 50 di Overwatch 2. Appassionato di notizie videoludiche. Esploro e condivido le avventure e le ultime info di questo mondo in continua espansione.

Condividi