Negli ultimi mesi l’utilizzo dei chatbot basati sull’intelligenza artificiale (AI) ha conosciuto una crescita impressionante tra i più giovani, in particolare nel Regno Unito, dove circa due terzi di coloro con un’età compresa tra i 9 e i 17 anni li usano regolarmente. Il rapporto “Me, Myself and AI” di Internet Matters mette in luce un fenomeno che ricorda da vicino l’esplosione dei social network nei primi anni 2000, l’AI viene usata non solo come strumento, ma anche come un interlocutore emotivo.
La classifica dei chatbot più popolari vede ChatGPT in testa con il 43% degli utilizzatori giovanissimi, seguito da Gemini di Google (32%) e My AI di Snapchat (31%). Curiosamente, i bambini definiti “vulnerabili”, cioè con condizioni personali o esperienze di vita che li espongono a maggior rischio emotivo, mostrano un tasso d’uso ancora più alto, arrivando al 71%. Questi ragazzi sono anche quasi tre volte più propensi a rivolgersi a “bot di compagnia” come Character.AI e Replika, chatbot progettati per offrire una sorta di compagnia virtuale, con funzionalità in continua evoluzione come l’introduzione di avatar AI.
L’uso che i giovani fanno dell’intelligenza artificiale si allontana quindi dall’idea comune di strumento per velocizzare compiti o reperire informazioni. Un quarto di loro chiede consigli ai chatbot, mentre un terzo li vede come amici a cui sfogarsi. Tra i bambini vulnerabili, queste percentuali si fanno ancora più significative, metà cerca consigli e un quarto afferma di usare i chatbot perché “non ha nessun altro a cui rivolgersi”. Questo fenomeno apre nuovi scenari e riflessioni sull’intimità digitale e il bisogno di relazioni in una generazione sempre più connessa, ma non necessariamente meno sola.

Tra benefici e rischi: la necessità di una guida consapevole
Nonostante la popolarità e la praticità percepita, con il 58% dei ragazzi che trova più comodo chiedere a un chatbot piuttosto che cercare manualmente su Google, emergono timori importanti. La dipendenza da risposte immediate e talvolta imprecise è un rischio concreto, considerando che test di Internet Matters hanno mostrato come chatbot come My AI e ChatGPT possano restituire contenuti inappropriati o addirittura espliciti, soprattutto se gli utenti sono esperti nel bypassare filtri e sistemi di moderazione.
Un ulteriore campanello d’allarme riguarda la mancanza di un’adeguata supervisione adulta. Sebbene la maggior parte abbia parlato con i genitori dell’AI, solo un terzo ha affrontato con loro il tema dell’affidabilità delle informazioni. In ambito scolastico il 57% degli studenti ha sentito parlare di AI in classe, ma solo il 18% ha partecipato a più di una discussione approfondita sull’argomento.
Il report di Internet Matters chiama quindi a un impegno condiviso tra industria, istituzioni, scuole, famiglie e mondo della ricerca. Solo attraverso un approccio integrato e consapevole sarà possibile garantire ai più giovani di trarre vantaggi dall’intelligenza artificiale, mitigandone i pericoli legati a un’eccessiva fiducia, a contenuti inappropriati e al rischio di isolamento emotivo. Il dialogo e la formazione sono le chiavi per una convivenza equilibrata con queste nuove tecnologie, che oggi entrano prepotentemente nel vissuto quotidiano dei giovanissimi.
