Il progetto “Moon-Rice” potrebbe diventare la chiave per nutrire le future colonie umane su Marte o sulla Luna, un obiettivo che non è più fantascienza ma una sfida concreta per agenzie spaziali e visionari come Elon Musk. Tra le difficoltà più grandi di queste missioni, che potrebbero durare anni o addirittura generazioni, c’è proprio garantire un’alimentazione sostenibile agli astronauti. In Italia, questa sfida trova risposta in Moon-Rice, promosso dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e realizzato in collaborazione con le università Statale di Milano, Sapienza di Roma e Federico II di Napoli.
Il progetto Moon-Rice mira a coltivare varietà di riso capaci di prosperare in condizioni spaziali, dove le risorse sono limitate e lo spazio vitale ancor di più. Le piante terrestri sono troppo ingombranti per i moduli abitativi, mentre le varietà nane finora sperimentate hanno deluso in termini di resa. Utilizzando la tecnologia CRISPR, i ricercatori stanno creando mutanti di riso alti meno di dieci centimetri, ma che promettono comunque una produttività degna di una dieta spaziale completa. L’intento è di ridurre al minimo l’ingombro fisico della pianta e aumentare al massimo il contenuto nutrizionale dei chicchi, a partire dalle proteine, assenti nella classica dieta spaziale fatta di liofilizzati e cibi sintetici.

Gli impatti promettenti del progetto Moon-Rice
Uno degli aspetti più affascinanti del progetto Moon-Rice è la sua sperimentazione a terra in condizioni simulate, rese possibili grazie alle tecnologie dell’Università Federico II. Qui le piante vengono fatte ruotare lentamente per distribuire in modo omogeneo la forza gravitazionale, mimando così la microgravità spaziale senza dover spedire ogni esperimento in orbita.
Un’idea brillante e decisamente più sostenibile per il lungo periodo. Una pianta capace di crescere in ambienti estremi e spazi ristretti potrebbe diventare preziosa anche sul nostro pianeta. Applicazioni pratiche si profilano all’orizzonte in zone aride, territori soggetti a desertificazione, o nelle fattorie verticali urbane dove ogni centimetro conta.
Coltivare, prendersi cura e raccogliere una pianta viva può diventare anche un ancoraggio mentale per astronauti isolati da tutto. Un gesto semplice ma denso di umanità, capace di rompere la monotonia della vita nello spazio e restituire un senso di quotidianità, fondamentale per il benessere mentale. Come sottolineato da Marta Del Bianco, biologa dell’ASI, queste piante minuscole sono il seme di una nuova forma di autosufficienza, ma anche un simbolo potente di adattabilità, resistenza e speranza.
