L’astronomia moderna si confronta con un paradosso affascinante, perché per decifrare i segreti dell’universo reale l’AI viene addestrata su una versione finta e dettagliatissima del cielo. Non si tratta di un’immagine simbolica ma di cieli virtuali creati all’interno di supercomputer dagli scienziati per riconoscere i fenomeni cosmici più sfuggenti.
Questo approccio nasce da una necessità concreta dovuta all’enorme quantità di dati generata dai telescopi di nuova generazione, come il Vera C. Rubin Observatory in Cile, il quale ha superato di gran lunga la capacità di analisi umana. In una sola sessione, strumenti di questo tipo producono decine di terabyte di immagini astronomiche. Con una mole simile di informazioni, neppure l’osservatore più veloce potrebbe mai tenere il passo.
È qui che entra in gioco l’AI, incaricata di scovare all’interno del flusso ininterrotto di dati le tracce di supernove, asteroidi erranti o persino indizi della materia oscura. Affidarsi a un algoritmo diventa necessario quando in gioco c’è la scoperta scientifica, e la risposta a questa esigenza risiede nella simulazione. Gli scienziati, grazie a software come PhoSim (Photon Simulator) e a studi dettagliati, costruiscono cieli artificiali realistici, tracciando il percorso di ogni singolo fotone dalla sua origine fino al sensore del telescopio. In questo modo, ogni immagine simulata diventa un banco di prova controllato, in cui ogni stella e galassia è collocata intenzionalmente.

La simulazione universale con l’AI garantisce precisione e affidabilità scientifica
L’efficacia di questa strategia va ben oltre l’addestramento dell’AI. Le simulazioni permettono infatti di identificare e correggere errori sistematici che sfuggirebbero a un’osservazione tradizionale. Grazie a queste immagini sintetiche, gli astronomi hanno ad esempio compreso come una minima variazione di temperatura su uno specchio possa introdurre astigmatismo nell’immagine, oppure come il vento in alta quota influisca sul posizionamento apparente delle stelle. Simulare l’universo consente così di avere una sorta di manuale di riferimento perfetto, dove ogni anomalia è voluta e documentata, rendendo immediatamente visibili le imprecisioni nel rilevamento reale.
Non è solo una questione di efficienza, ma di precisione e affidabilità. In un panorama scientifico dove il dato è tutto, non basta raccogliere più informazioni ma bisogna saperle interpretare correttamente. E l’unico modo per garantire che un algoritmo sappia distinguere un lampo di supernova da un difetto ottico è sottoporlo a un addestramento rigido e calibrato, su scenari noti e costruiti appositamente. Una finta galassia può allora aiutare a rivelare una vera, proprio come un cielo simulato diventa la chiave per svelare quello autentico.
