La conclusione della terza stagione di Squid Game ha sciolto molti nodi lasciati in sospeso dalla precedente, che possiamo considerare la prima parte di una stagione divisa in due. Le reazioni del pubblico sul finale non sono state idilliache, anche se molte cose hanno trovato una giustificazione concreta. Eppure, uno dei momenti più intensi e sorprendenti, legato al personaggio del Front Man, In-ho, interpretato magistralmente da Lee Byung-hun, è rimasta fino ad ora in dubbio. Attenzione agli spoiler, in quanto adesso andremo a parlare del finale di stagione di Squid Game, dunque se non avete ancora completato la serie, vi invitiamo a non proseguire.
Figura glaciale, implacabile e ambigua per tutta la serie, In-ho si è rivelato, nel finale, capace di un gesto di profonda umanità. Non stiamo parlando dell’aver onorato l’eredità di Gi-hun portando personalmente il suo montepremi alla figlia, ma bensì quello di aver salvato una neonata, figlia della deceduta partecipante Jun-hee e tecnicamente vincitrice dei giochi. Nel gioco finale, infatti, Gi-hun compie un sacrificio estremo, ovvero quello di gettarsi nel vuoto per mantenere la sua umanità e la sua promessa fatta alla madre, salvando una bambina innocente, nata nel cuore stesso di quell’inferno, in un gesto che rompe la logica disumana dei giochi.
Quel gesto, apparentemente inutile agli occhi di un sistema che si nutre di crudeltà, rompe qualcosa anche dentro il Front Man. In una situazione precaria dove l’isola è in una fase di auto-distruzione, prossima all’assalto delle forze dell’ordine, la sua reazione in cui si prende il tempo di salvare la neonata e portarla via, rivela un segno concreto di empatia da parte di un personaggio che fino ad allora sembrava completamente assuefatto alla brutalità del sistema.

Il gesto che ha scalfito la maschera del Front Man di Squid Game
Lee Byung-hun ha spiegato in un’intervista per Tudum, che nel personaggio rimane quell’ultimo frammento di umanità, da qualche parte nel profondo, ed è proprio su quel filo sottile che si gioca l’evoluzione finale del Front Man. “È questo l’accordo che io e il regista Hwang abbiamo raggiunto. È così che ho interpretato il mio personaggio. Front Man ha quell’ultimo frammento di benevolenza rimasto dentro di sé,” ha dichiarato l’attore, svelando che si tratta di un momento in cui il carnefice si scopre ancora capace di sentire, e quel sentire, forse troppo tardi, lo mette di fronte a tutto il dolore che ha perpetuato e accettato nel nome della sopravvivenza.
Nonostante questa inaspettata dimostrazione di “benevolenza”, è fondamentale chiarire che In-ho non diventa un eroe. La sua colpa rimane intatta, come anche le sue responsabilità. Ma il gesto di Gi-hun, così profondamente umano da sembrare assurdo in quel contesto, riesce a rompere la spirale del cinismo. Il Front Man non cambia lato, ma cambia prospettiva. Salva la bambina, la affida a suo fratello Jun-ho, e consegna il denaro vinto da Gi-hun alla figlia dell’uomo, garantendole un futuro, forse l’unico atto di riparazione possibile per un sistema irrimediabilmente corrotto.
Quella scelta narrativa non redime In-ho, ma lo umanizza. Per Lee Byung-hun, è stata questa sfumatura a rendere il personaggio affascinante e a spingerlo a interpretarlo fino alla fine. È una figura tragica, segnata da un passato da giocatore e da un presente da complice, ma che nel momento in cui l’umanità si manifesta davanti ai suoi occhi, non riesce più a ignorarla. Sprazzi di questo si erano già visti nel momento in cui Gi-hun, messo davanti alla scelta di vincere in anticipo i giochi uccidendo le persone dormienti, rifiuta, mentre In-ho ricorda il suo peccato nel passato, dove lui invece aveva abbracciato l’oscurità, uccidendo, vincendo e guadagnandosi il suo attuale ruolo.

In-ho ha vinto i giochi anni prima per proteggere la sua famiglia, salvo poi diventare parte integrante di quel sistema mortifero, ed è proprio quel momento nella notte, ripercorso da Gi-hun ma con un finale differente, a permettergli di rendersi conto dove è morto In-ho ed è nato il Front Man, cambiandone la persona. Nonostante ciò, si è sempre mantenuto distante dalle emozioni, proteggendosi con la maschera (simbolica e reale) del supervisore.
Sprazzi di umanità si erano intravisti nella prima stagione, quando pur essendo obbligato a sparare suo fratello Jun-ho, non lo uccide e gli affida un “supervisore” nascosto, che lo salva e gli permette di continuare a vivere. Nella sua mente quel gesto forse è irrilevante, ma segna l’inizio di una sua riflessione interna. Quando Gi-hun si sacrifica per una bambina, andando oltre logica, calcolo, convenienza e rinunciando alla sua vita, a sua figlia e alla sua idea di fermare i giochi, In-ho vede riflesso in lui ciò che ha perso. E forse proprio per questo, salvare quella bambina è l’unico modo per salvare se stesso, almeno in parte.
