La piattaforma musicale di Spotify è finita ancora una volta al centro di un acceso dibattito dopo che Daniel Ek, suo fondatore e CEO, ha guidato un investimento da 600 milioni di euro nella startup militare europea Helsing. L’azienda, fondata nel 2021 e attiva nel Regno Unito, Germania e Francia, sviluppa software basati sull’intelligenza artificiale per l’analisi in tempo reale dei dati provenienti dal campo di battaglia, oltre a produrre droni militari autonomi come il modello HX-2.
L’investimento, che ha coinvolto anche fondi noti come Lightspeed Venture Partners, Accel, Plural, General Catalyst e il colosso della difesa Saab, arriva in un contesto globale segnato da forti tensioni geopolitiche e da un boom di capitali nel settore della sicurezza e resilienza. Secondo il report del NATO Innovation Fund, nel 2024 il comparto ha raggiunto i 5,2 miliardi di dollari in investimenti VC, crescendo del 30% rispetto ai due anni precedenti, a dispetto del calo generale del mercato tecnologico.
Daniel Ek, oggi anche presidente di Helsing, ha dichiarato che l’obiettivo dell’operazione è rafforzare la “sovranità tecnologica” dell’Europa, garantendo alla regione indipendenza nello sviluppo di tecnologie critiche come l’intelligenza artificiale militare. Helsing non ha rivelato la nuova valutazione aziendale che nel 2023 era stimata attorno ai 5 miliardi di euro, ma la notizia del coinvolgimento del CEO di Spotify è bastata per accendere un nuovo focolare mediatico.

Una protesta che parte dalla musica: la ribellione degli artisti contro Spotify ed Ek
Le conseguenze di questa alleanza tra big tech e difesa non si sono fatte attendere. Molti artisti, in Italia e non solo, hanno scelto di ritirare la propria musica da Spotify o di esprimere pubblicamente la loro protesta. La decisione è motivata dal netto rifiuto di vedere i proventi della propria attività artistica contribuire, seppur indirettamente, all’industria degli armamenti.
Il cantautore italiano Auroro Borealo, ad esempio, ha comunicato tramite un post su Instagram la sua scelta di ritirare tutto il suo catalogo da Spotify, sottolineando come la questione sia diventata “eticamente insostenibile”. Il suo messaggio è chiaro: “Non mi è mai importato di guadagnare pochi millesimi di euro da ogni stream, ma quando gli introiti della mia musica vengono impiegati nel mercato delle armi, la questione diventa per me eticamente insostenibile.”
Similmente, la band statunitense Deerhoof e altri artisti indipendenti come Skee Mask e Charlie Waldren hanno compiuto passi analoghi, rimuovendo le proprie opere dalla piattaforma. Anche l’iconico rocker italiano Piero Pelù si è unito al coro dei contestatori, esprimendo la sua forte indignazione e invitando la comunità musicale a prendere una posizione chiara.
Questo movimento di protesta non si limita al ritiro della musica, ma si estende a un più ampio dibattito sulla responsabilità sociale delle piattaforme digitali e dei loro leader. Molti artisti utilizzano i propri canali social per sensibilizzare il pubblico, invitando alla riflessione e al dialogo su un tema così delicato. Il catalogo di questi artisti resterà disponibile su altre piattaforme, dove affermano di poter gestire in maniera più consapevole la distribuzione dei propri brani.
La protesta contro gli investimenti di Daniel Ek in Helsing dimostra come la comunità artistica sia sempre più attenta all’impatto etico delle scelte economiche dei giganti della tecnologia, mettendo in discussione la neutralità delle piattaforme e chiedendo una maggiore trasparenza e coerenza con i valori di pace e condivisione che la musica spesso incarna.
