L’ascesa delle AI sta ridisegnando il profilo energetico delle big tech, esponendo di conseguenza anche le contraddizioni di aziende come Google, da anni impegnata nella transizione verde ma ora frenata da una nuova emergenza: l’enorme fabbisogno energetico legato all’addestramento e all’uso di modelli di intelligenza artificiale di ultima generazione. La corsa alla potenza computazionale, sempre più essenziale per far funzionare sistemi come Gemini, ha un prezzo ambientale sempre più alto che potrebbe spingere a ripensare le possibili svolte green delle aziende.
L’Ai complica il percorso di Google verso la decarbonizzazione
Al centro del problema ci sono i data center, delle strutture mastodontiche che gestiscono l’elaborazione di miliardi di richieste giornaliere. Di recente, Google ha dichiarato un incremento del 27% nel consumo elettrico rispetto all’anno precedente, dato che stride con le ambizioni ambientali dell’azienda e che ne complica notevolmente il percorso verso la decarbonizzazione.

Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, entro il 2026 i data center da soli potrebbero richiedere tanta energia quanto un’intera nazione, e si stima che entro il 2030 l’AI consumerà fino al 4,5% dell’intera energia globale. Per far fronte a questa traiettoria allarmante, Google si muove su più fronti, esplorando sia tecnologie d’avanguardia che soluzioni intermedie, come la fusione nucleare o i Reattori Modulari Compatti (SMR), che purtroppo sono anche inapplicabili.
Nel frattempo, Google si conferma comunque uno dei maggiori acquirenti di energia pulita al mondo, e anche se non sembra, usa l’AI a fini climatici, chiedendogli ad esempio di realizzare modelli predittivi che aiutano le città a ottimizzare il traffico, mappare il potenziale solare degli edifici, o ridurre le emissioni delle catene di approvvigionamento. Il problema qua si intravede piuttosto nelle emissioni degli Scoper 3, legate ai fornitori, che nel 2024 sono aumentate del 22%.

Non mancano comunque i segnali positivi: Google è riuscita a eliminare completamente la plastica dagli imballaggi dei nuovi prodotti, con un anno di anticipo rispetto agli obiettivi fissati per il 2025. Si tratta di un piccolo ma concreto traguardo, che si spera non sia solo l’unico nel prossimo futuro.