Sono tantissime le domande che giornalmente gli utenti pongono nei confronti di ChatGPT, tra richieste personali, codici da scrivere o semplici curiosità. Eppure ci sono alcune domande che non destano lo stesso interesse negli utenti o di cui soltanto i loro creatori conoscono le risposte, per esempio: Quanto consuma a livello energetico una domanda posta a ChatGPT?
Nel suo blog personale, Sam Altman, CEO di OpenAI, ha condiviso una visione che intreccia riflessione filosofica e concretezza ingegneristica. Tra le tante tematiche trattate, colpisce per originalità quella legata al consumo, che non si limita a quello elettrico. Infatti, l’intelligenza artificiale ha anche un consumo idrico che, secondo Altman, porta a un impiego di circa 0,32 millilitri d’acqua per ogni singola richiesta a ChatGPT, il che corrisponde grosso modo a un quindicesimo di cucchiaino. È una metrica inedita, priva per ora di fonti tecniche verificabili, ma che apre un nuovo fronte nella discussione sull’impatto ambientale delle tecnologie generative.
Altman affianca a questo dato anche quello del consumo energetico, dove i dati si traducono in 0,34 wattora per query, paragonabile a una frazione di secondo di un forno elettrico o a qualche minuto di luce da una lampadina a basso consumo. La sua tesi porta inevitabilmente a riflessioni sul costo dell’intelligenza, che secondo lui si appiattirà su quello dell’elettricità. In altre parole, ciò che oggi è percepito come straordinario e dispendioso diventerà accessibile, comune e ottimizzato in termini di risorse. In questa traiettoria, i data center assumono un ruolo vitale per un sistema che punta a diventare sempre più autonomo, economico e autoespandibile.

Oltre ChatGPT: superintelligenza e squilibri nella visione di Altman
La visione include anche scenari in cui robot intelligenti costruiscono altri robot, che a loro volta edificano miniere, fabbriche e persino centri dati. Una catena produttiva potenzialmente infinita, in grado di sostenere un’intelligenza artificiale sempre più pervasiva. Il passo successivo? Sistemi in grado di progettare nuove AI, accelerando la ricerca con ritmi mai visti, stimati in dieci anni di progresso condensati in un mese.
Altman definisce questo momento storico come l’inizio di una “gentile singolarità“, dove la meraviglia iniziale cede il passo all’abitudine e l’eccezionalità diventa routine. È già possibile vedere questo cambio di paradigma, che passa da paragrafi scritti a romanzi interi, da diagnosi mediche a terapie personalizzate, mostrando come l’intelligenza artificiale si muova lungo una curva esponenziale.
Il 2025, secondo le sue previsioni, è l’anno dell’arrivo degli agenti cognitivi in grado di scrivere codice e affrontare task complessi. Il 2026 potrebbe portare con sé la capacità di generare nuove scoperte scientifiche, mentre il 2027 potrebbe segnare la comparsa di robot in grado di operare fisicamente nel mondo reale con autonomia. Un salto paragonabile, per impatto, a quello dell’elettrificazione o della nascita di internet. Ma con l’accelerazione arrivano le fratture. L’automazione rischia di rendere obsoleti interi settori lavorativi, con conseguenze significative sulla distribuzione della ricchezza e l’accesso al potere.
Per Altman, l’unica via percorribile è quella della democratizzazione, con superintelligenze economiche, distribuite e accessibili. Nessun monopolio, nessun dominio concentrato nelle mani di pochi stati o aziende. La soluzione passa anche attraverso una governance condivisa e globale, con limiti chiari ma flessibili, capaci di bilanciare sicurezza e libertà. Secondo Altman, serve un nuovo contratto sociale che metta al centro l’adattabilità umana, la partecipazione collettiva e un uso consapevole degli strumenti più potenti mai creati dall’uomo. In fondo, non è più questione di chiedersi se il mondo cambierà, ma solo quanto in fretta lo farà.
