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I migliori 10 film d’animazione giapponese: fra tradizione e innovazione

Lista quanto più possibile oggettiva di film che fareste meglio a recuperare il prima possibile

La storia del cinema d’animazione giapponese ha origini nella prima metà del Novecento e s’intreccia direttamente con quella del paese e delle tecnologie di volta in volta disponibili. La nascita di un lungometraggio ha sempre come nido d’origine molteplici fattori, come quello dell’epoca, della sensibilità e della poetica di chi lavora dietro alla realizzazione di questi prodotti.

In questa lista cercheremo di tenere le nostre opinioni personali da parte per mettere in luce quanta più oggettività possibile (coi dovuti limiti, sia chiaro). Procederemo in ordine cronologico dal meno recente al film che s’avvicina di più ai nostri giorni. Ci saranno esclusioni clamorose e titoli portavoce di un’artista in particolare, quando non sarà possibile fare altrimenti.

Se dovessimo rintracciare un elemento caratteristico per tutti i film che andremo a vedere è forse il cambiamento. Dopo la loro uscita in sala il mondo del cinema d’animazione -e più in generale del cinema- non è più stato lo stesso. Una cosa da niente insomma. Iniziamo!

Akira (1988)

Uscito nel 1988 e realizzato impiegando una forza lavoro fino a quel momento inedita (oltre 1300 animatori e 700 milioni di yen di budget) Akira ha rappresentato per molti occidentali il primo contatto con l’animazione filmica giapponese, tanto fu importante e di forte impatto la sua uscita nelle sale di tutto il mondo.

La storia di Kaneda e Tetsuo, compagni e rivali nella Neo Tokyo del 2019 è riuscita in breve tempo a diventare un vero e proprio cult. Il design accattivante dei veicoli, la caratterizzazione dei personaggi e la resa dell’ambiente ha saputo imprimersi dentro la mente di molti spettatori, finendo col tempo per venire emulata da tantissimi prodotti d’animazione e non solo, lasciando il segno a ogni visione.

La storia creata e diretta da Katsuhiro Otomo è una di quelle che riescono ad accontentare tutti. Se col tempo Akira è finito in classifiche di ogni tipo, riproposto al cinema a ogni anniversario, significa che ha saputo veicolare certi messaggi in un modo che pochi altri film riescono a fare, ritagliandosi un posto speciale nella vita di tantissime persone che ogni giorno tornano a scoprirlo.

Una tomba per le lucciole (1988)

Costretti a scappare dalla loro città natale a causa della guerra, Seita e Setsuko, fratello e sorella ancora troppo giovani per capire le ragioni di quella disperazione, iniziano un lungo viaggio verso un luogo che possa tenerli al sicuro fino al ritorno del padre. Ciononostante, gni speranza in questo film nasce già morta, come capiamo vedendo il giovane nei primi istanti del film.

Solo e denutrito, gettato a terra come uno straccio sporco, muore nella stazione di Kobe tra l’indifferenza dei passanti che l’osservano pensando tutt’altro. Come non mancherà di mostrare poi, il film è un grande racconto sull’indifferenza dei poveri, sul menefreghismo e il tenersi lontano i più sfortunati, anche quando sono due bambini che non hanno nessuna colpa di cui essere accusati.

Crudo, realistico, violento e maledettamente doloroso, questo è un film che insegna a tutti coloro che hanno il coraggio di guardarlo che l’animazione può osare. Può ambire a tutti i generi e tutti tipi di pubblico, senza porre ridicole distinzioni d’età ed essere apprezzata da chiunque, a causa soprattutto dei messaggi universali e di speranza che riesce a portare, come la luce delle lucciole nel mezzo di una notte buia.

Ghost in the Shell (1995)

Ambientato in un Tokyo futuristica dell’anno 2029, il film segue le vicende di Motoko Kusanagi (cyborg e membro della sezione 9 di polizia) nella ricerca di un hacker che minaccia la sicurezza e l’integrità della città. Sotto la patina action e fantascientifica il film nasconde però temi e filosofie che lo hanno elevato a qualcosa di più di un semplice racconto fantascientifico.

Il ruolo dell’io e delle identità artificiali in una società sempre più tecnologica è sicuramente quello centrale, e ad accompagnarlo c’è il misterioso passato della protagonista, un tempo umana, che a seguito di un incidente non meglio specificato si è ritrovata in un corpo artificiale a vivere una nuova esistenza con abilità che i normali umani non possono nemmeno sognare.

Il film diretto da Mamoru Oshii, tratto dal manga di Masamune Shirow, ha avuto un gigantesco impatto nel cinema mondiale, a causa soprattutto di una riuscitissima fusione tra estetica futuristica e temi esistenziali, ricalcando la via aperta da quel capolavoro che è Blade Runner e finendo per ispirare film del calibro di Matrix, oltre che un notevolissimo seguito animato e altri prodotti derivati nel corso degli anni.

Neon Genesis Evangelion: The End of Evangelion (1997)

Il film diretto da Hideaki Anno e Kazuya Tsurumaki venne pensato come vero finale della serie animata omonima. A causa di alcune controversie artistiche ed economiche l’autore non era difatti riuscito a terminare la serie come la immaginava, perciò vennero realizzati due lungometraggi. Questo è il secondo e ultimo.

Controverso, sperimentale, violento e assieme criptico, The End of Evangelion venne da subito riconosciuto come qualcosa che non s’era mai visto. I grandi sforzi produttivi vengono ripagati a ogni frame o trovata geniale della pellicola, che va ovviamente vista solo dopo aver terminato la visione dell’anime di cui rappresenta il vero finale.

Ormai molte scene sono diventate veri e propri momenti noti a chiunque, basti pensare alla controversa parentesi di Shinji in ospedale, o alla macabra ambientazione delle battute finali, dove il ragazzo e Asuka si fronteggiano un’ultima volta sullo sfondo tinto di rosso dove oscillano volti giganteschi già noti e ombre meccaniche con le fattezze di crocefissi.

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Perfect Blue (1997)

Scritto e diretto da Satoshi Kon, autore a tutto tondo che ci ha lasciati davvero troppo presto, il film si ispira liberamente all’omonimo romanzo di Yoshikazu Takeuchi e racconta la storia di Mima Kirigoe, una famosa idol che fa parte di un gruppo musicale. La vita della ragazza viene stravolta quando decide, a causa di una forte insoddisfazione professionale, di fare l’attrice.

Dopo aver lasciato il gruppo e deluso molti fan ossessionati dalla sua immagine inizia a recitare in una serie drammatica, finendo per ricevere misteriose minacce che la condurranno alla scoperta di un sito nel quale uno strano utente descrive ogni sua giornata nei minimi dettagli. L’esordio alla regia di Kon è un classico intramontabile che ha come cavallo di battaglia la critica al controverso mondo delle idol giapponesi.

Immersa in un thriller folle e allucinato dove realtà e sogno iniziano a farsi sempre più indistinti, Mina e lo spettatore dovranno venire a capo di un mistero che si fa sempre più fitto e frammentato, al termine del quale sarà impossibile non pensare come David Lynch non si sia ispirato alla pellicola del maestro giapponese per realizzare quel capolavoro di Mulholland Drive.

Jin-Roh – Uomini e lupi (1999)

Diretto da Hiroyuki Okiura su soggetto di Mamoru Oshii, il film è ambientato negli anni Sessanta di un Giappone alternativo. Il protagonista è Kazuki Fuse, membro dei Kerberos Panzer Cops, un gruppo di polizia addestrato al peggio e a comportarsi come se i rappresentati fossero dei veri e propri animali selvaggi. La storia ha inizio quando una bambina si fa esplodere dopo che Fuse ha esitato per colpirla, segnando così la vita del protagonista.

Messo di fronte alla crudeltà della vita e alla noncuranza delle istituzioni di cui fa parte, Fuse inizierà ad avere dei ripensamenti verso il mondo che ha scelto di servire. L’incontro con una misteriosa ragazza sulla tomba della bambina morta sarà il punto di non ritorno verso una tragedia in parte annunciata. Il ragazzo sarà in grado di scappare dal branco o finirà vittima dei suoi stessi istinti?

Attraverso il racconto delle manifestazioni e delle proteste il film critica la violenza messa in atto durante i veri anni Sessanta giapponesi, momento nel quale il paese si trovò in fermento a causa della presenza sempre più opprimente degli Stati Uniti sul suolo del Giappone, giunti di fatto a controllarlo dopo la sconfitta nella Seconda guerra mondiale.

La città incantata (2001)

Avete mai letto una lista del genere senza che venga menzionata La città incantata? Sarebbe folle, già. Oltre la sua indiscussa bellezza che ancora oggi, a oltre vent’anni dalla sua uscita, resta intatta e anzi sembra pure espandersi, c’è da considerare l’immensa risonanza che ha permesso di ottenere più in generale al cinema d’animazione giapponese.

Hayao Miyazaki non era certo un esordiente ma per buona parte del mondo in quel lontano 2001 era un semi-sconosciuto. I film d’animazione erano visti o da bambini o da appassionati del genere, era quasi impensabile che potessero diventare anche altro. Soprattutto se a produrli era il Giappone, che negli anni ci aveva abituato a “cartoni animati”, che passando per la tv generalista avevano cresciuto milioni di persone con un preciso senso estetico.

Gli adulti erano quindi portati a vederli per quello che erano, cioè cartoni animati. Con la vittoria dell’Oscar e l’immenso eco avuto dal film anche da noi e altrove era diventato possibile vedersi un film d’animazione giapponese senza sembrare “strani”. Il film è un capolavoro ancora oggi ma immagino che l’avrete visto -giustamente- tutti. Ricordate solo ogni tanto di rivederlo, per realizzare di nuovo quanto non riesca a invecchiare. Ah, prima di estrarre i coltelli: ogni altro film di Miyazaki poteva stare in questa lista, questo li raccoglie tutti, per comodità. Sennò diventava una top 10 solo su di lui.

Mind Game (2004)

Masaaki Yuasa è uno degli autori più particolari e interessanti attivi oggigiorno. Il suo esordio alla regia avviene proprio nel 2004 con Mind Game, un lungometraggio che definire “fuori controllo” sarebbe forse troppo riduttivo, come d’altronde parlare in breve della sua trama. Ispirato al manga di Robin Nishi, il film racconta la vita di un mangaka che riesce a rivivere la propria vita per poter realizzare il suo più grande desiderio.

Realizzato facendo uso di più tecniche d’animazione Mind Game potrebbe apparire come un film cervellotico e intricato, anche se alla radice racconta una semplice storia dove il protagonista tenta a tutti i costi di finire con la ragazza che ama. Solo lo fa attraverso momenti imprevedibili dove le scene esplodono di colore e trovate degne d’un veterano dell’animazione.

Yuasa ha dichiarato a tal proposito che il suo obbiettivo era raccontare una storia in modo non convenzionale, sovvertendo le regole della logica a flusso continuo e portando gli spettatori a immergersi in un mare d’eventi dove la voglia di sperimentare procede di pari passo a quella di sorprendere chi guarda.

Wolf Children – Ame e Yuki i bambini lupo (2012)

Scritto e diretto da Mamoru Hosoda il film inizia come una normale storia d’amore tra una ragazza e un ragazzo. Lui ha però un segreto: è un lupo. I due continuano a frequentarsi e dal loro rapporto nascono due bambini che possono trasformarsi come il padre. Un evento tragico costringerà la famiglia a rifugiarsi in campagna, lontano dalla città, dove Ame e Yuki potranno crescere e capire che vita vorranno condurre.

Wolf Children è una montagna russa di emozioni. La storia non sta ferma nemmeno un secondo e veniamo sballottati da una scena all’altra senza riuscire a capire cosa accadrà. Il filo conduttore è la crescita dei due fratelli e il loro capire, esperienza dopo esperienza, quale tipo di vita vorranno per il loro futuro: quella da umani o quella da lupi.

Ho cercato di rimanere molto vago perché al contrario di quello che merita questo è un film non proprio mainstream, che quindi molte persone devono scoprire sapendo il meno possibile. Se non l’avete ancora fatto fidatevi, scavalcate quella locandina oscena e l’apparente idea trash del rapporto uomo-lupo e fiondatevi a vederlo subito, potreste perdervi una delle migliori esperienze animate della vostra vita.

La storia della principessa splendente (2013)

L’ultimo film di Isao Takahata trae ispirazione dal racconto popolare della tradizione giapponese “Storia di un tagliatore di bambù“, risalente presumibilmente al X secolo e identificato come il più antico esempio di narrativa proveniente dal Sol Levante. Racconta la storia di un contadino che trova tra i bambù una piccola bambina e finisce per crescerla assieme a sua moglie, scoprendo in lei poteri e un destino al di la di ogni previsione.

Realizzato a quattordici anni di distanza dal suo precedente lungometraggio è senza tanti giri di parole un capolavoro. A renderlo così grande è prima di tutto la tecnica d’animazione con cui è stato realizzato, all’apparenza grezza e quasi abbozzata, eppure fluida e in grado di restituire l’essenza più pura dei corpi messi in scena. Bastano poche linee e nient’altro per rivelare tutto quello che c’è d’importante.

La storia raccontata e la sensibilità con cui è trattata è l’altro grande punto di forza. La parabola della giovane principessa, prima ragazza comune e poi d’alta classe, la porterà a vivere sempre più lontano da quello che s’era immaginata giocando liberamente coi suoi amici nei primi anni della sua vita. Il finale, poi, è una vera e propria corsa emotiva dove tutti i fili vengono tirati e il destino si fa sempre più buio, lasciandoci sospesi nel cielo senza nessuna via di salvezza.

Leggi anche: “I 5 MIGLIORI FILM DELLO STUDIO GHIBLI: TRA VENTO, CIELO E PRINCIPESSE

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Alessandro Diambra

Alessandro Diambra

Classe 1996. Sono uno di quelli che legge tutto e non ha cose preferite.

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