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MCU, il meglio e il peggio della Fase 4: la classifica.

Formalmente con lo Special dedicato ai Guardiani della Galassia, ma sostanzialmente con l’uscita nelle sale mondiali di “Black Panther: Wakanda Forever”, termina la quarta fase dell’universo cinematografico Marvel, che si appresta a ripartire a febbraio 2023 con il terzo capitolo dedicato ad Ant-Man, dal titolo “Ant-Man & The Wasp: Quantumania” (il primissimo film della fase 5).

Ora, però, è il momento di tirare le somme su questa breve, ma paradossalmente ricchissima, Fase 4: da gennaio 2021 fino a novembre 2022, infatti, si è registrato un chiaro e notevole aumento delle produzioni originali targate Marvel Studios, i quali, nel giro di 23 mesi, sono arrivati a totalizzare ben 17 progetti, tra film, serie tv e le c.d. “Marvel Studios Special Presentation”, recente innesto nel loro repertorio.

Peraltro Kevin Feige, il boss dei Marvel Studios, aveva un compito piuttosto difficile, vale a dire quello di mantenere vivo l’interesse del pubblico anche dopo Avengers: Endgame, il Grande Evento Marvel conclusivo di un ciclo di storie portato avanti per quasi 10 anni. E se da un lato, in termini statistici e di incassi, l’attenzione su scala mondiale verso l’MCU permane, stesso non si può dire con riferimento ai consensi da parte di critica e pubblico.

Bando ai convenevoli, cari lettori, ciò che vi apprestate a leggere è la classifica dei 17 progetti (escludendo i corti di “I am Groot”) della Fase 4 del Marvel Cinematic Universe, dal peggiore al migliore; si badi, naturalmente, che si tratta di un’opinione del tutto soggettiva, che può coincidere, in tutto o in parte, con la vostra, oppure (legittimamente) risultare diametralmente opposta.

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17/17. She-Hulk: Attorney at Law

In fondo alla classifica troviamo She-Hulk: Attorney at Law”, serie televisiva che pone fine al panorama seriale dei Marvel Studios, all’interno della Fase 4.

Alla base del progetto le premesse erano piuttosto semplici, senza grosse aspettative; dagli stessi creatori, infatti, questa serie con protagonista Tatiana Maslany nelle vesti dell’avvocato-supereroe She-Hulk, era stata descritta come una legal comedy in salsa Marvel, a trama verticale.

Di fatto “She-Hulk”, nonostante i suoi basilari presupposti, appare infinitamente superficiale, con un messaggio di fondo trattato in maniera altrettanto banale, e una struttura narrativa che fatica tanto a trovare una logica, che alla fine risulta prolissa e a tratti contraddittoria.

Mentre la scrittura vacilla e i personaggi non si evolvono, ciò che proprio non funziona di questa serie è il progressivo sviluppo della sua trama orizzontale, che finisce per rimasticare più volte le stesse vicende chiave della narrazione, senza mai darle un approfondimento, e culminando, poi, in un episodio finale non solo mal gestito, ma carico anche di un’autoironia illogica e fortemente autocompiaciuta.

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16/17. Moon Knight

A seguire, subito dopo “She-Hulk”, si piazza “Moon Knight”, la miniserie da 6 episodi interamente dedicata all’omonimo personaggio fumettistico, interpretato qui da uno straordinario Oscar Isaac, che è riuscito comunque a donare spessore ed espressività ad un personaggio vittima di una sceneggiatura carente e confusionaria.

“Moon Knight” si presenta, a tutti gli effetti, come la prima produzione sperimentale di casa Marvel, che dà spazio ad atmosfere nuove e concetti di prima mano (quali divinità egizie, “avatar” e personalità multiple), aprendo le danze con un episodio pilota davvero interessante e attentamente costruito.

Ma quando a detti elementi innovativi si affiancano dialoghi poco sensati, una regia piatta ed evidenti lacune nella parte centrale, ecco che “Moon Knight” perde, progressivamente, tutti i punti di forza snocciolati nel primo episodio, scivolando in espedienti inutili, mettendo in ballo scelte narrative disordinate e terminando, poi, con un episodio finale incredibilmente affrettato, e carente persino della formula eroe-contro-villain, necessaria, se non essenziale, in una produzione supereroistica.

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15/17. Ms.Marvel

Anch’essa dalla durata di 6 episodi, “Ms.Marvel” dà il benvenuto nell’universo Marvel al personaggio di Khamala Khan, supereroina di origini musulmane e “fangirl” di Captain Marvel.

“Ms.Marvel” è, senz’altro, la dimostrazione più lampante di un particolare problema di struttura narrativa, rinvenibile alla base di alcune delle miniserie originali della Fase 4: in effetti, ci si è spesso trovati di fronte ad un inizio di stagione coinvolgente, che confluiva in una parte centrale tirata per le lunghe, per terminare, poi, con un finale di stagione arrancante o, quanto meno, sufficiente.

La serie in questione si prende il merito di una prima parte di stagione ben congegnata, con una regia e un montaggio fresco e divertente, e con un’ottima introspezione psicologica della protagonista e delle difficoltà di un’adolescente musulmana. Presto, però, il focus si sposta verso elementi magici, inter dimensionali che, piuttosto che dare un contributo alla narrazione, stravolgono le caratterizzazioni dei personaggi comprimari e accompagnano la storia verso un finale raffazzonato e poco credibile.

Ms Marvel

14/17. What If?

Procedendo a scalare la classifica, è la volta di “What If?”, la serie televisiva animata dei Marvel Studios che esplora il Multiverso e i diversi risvolti di alcuni eventi chiave dell’intero Marvel Cinematic Universe (la nascita di Captain America, di Iron Man e via dicendo).

Da un punto di vista strettamente tecnico-artistico, la serie fa la sua discreta figura: le animazioni sono ottime e i singoli eventi osservati sono pressoché interessanti, magari qualcuno meno di altri.

Ebbene, “What If?” non si sbilancia oltre questa breve analisi, ne più ne meno; ciò che più le impedisce di brillare, a 360 gradi, è la sua forte anonimia, dovuta anche all’incertezza ai riguardi della sua canonicità o meno all’interno del grande universo Marvel.

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13/17. Thor: Love and Thunder

Reduce dallo straordinario successo ottenuto con Thor: Ragnarok, Taika Waititi torna alla regia del quarto capitolo dedicato al Dio Del Tuono, occupandosi, questa volta, anche della sceneggiatura.

Come è noto, il marchio di fabbrica del regista neozelandese è la capacità di accostare toni leggeri e dal forte stampo comico ad un preciso tipo di storie delicate ed emotive. Tuttavia, se nel terzo capitolo, era grossomodo riuscito nel suo intento, nella sua nuova pellicola, dal titolo “Thor: Love and Thunder”, Waititi porta all’ennesima potenza tutti i punti cardine del suo stile visionario.

Prescindendo da un buon lato tecnico e sonoro, e da un cast di ottimo livello, il cineasta imbastisce una trama che predilige toni esageratamente esilaranti a dispetto di una maggiore drammaticità, che scarseggia in modo evidente non già nei vari scenari della trama, ma anche nella caratterizzazione infinitamente leggera dei personaggi, che finiscono per diventare una parodia di loro stessi.

Thor copertina

12/17. The Falcon and The Winter Soldier

Come “Ms.Marvel”, anche “The Falcon and The Winter Soldier” costituisce un chiaro esempio di struttura narrativa altalenante, motivo per cui si aggiudica solamente la dodicesima posizione di questa classifica.

La miniserie in questione, però, spiccava per un nucleo alla base di maggiore interesse, rispetto ad altre produzioni seriali: il passaggio di testimone di Steve Rogers, e dell’eroica figura di Captain America, era uno degli elementi sul quale persino il polo dei fan Marvel meno progressisti poteva ancora aggrapparsi, vista anche la presenza di due protagonisti già noti al pubblico generalista e non (Sebastian Stan nei panni di Bucky Barnes ed Anthony Mackie in quelli di Sam Wilson/Falcon).

Tematiche di inclusione, concetti di eredità e di retaggio, e valori anti-nazionalistici rappresentano dei punti di partenza ideali per un’ottima storia da raccontare, ma che, purtroppo, vengono macchiati da alcuni vizi di scrittura, da uno svolgimento allungato in cui si aggiungono storyline del tutto superflue, e da un finale che, seppur con i suoi difetti, riesce a risollevarsi e ad offrire alcuni tra i più interessanti spunti sul futuro dell’universo.

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11/17. Black Widow

Tra conflitti in casa Disney, il periodo di pandemia e i vari problemi di release, “Black Widow” è stato il primo progetto ad aprire il filone cinematografico della Fase 4.

“Black Widow osserva da vicino un frangente della storia di Natasha Romanoff, la Vedova Nera degli “original six“, che affronta il suo doloroso passato mentre cerca di riallacciare i rapporti con la sua disfunzionale famiglia.

Tuttavia, il reale ostacolo che affronta la pellicola è la sua funzionalità, orientata non tanto verso una maggiore introspezione della protagonista, quanto più verso l’introduzione di nuovi personaggi, di certo fruibili nei futuri progetti dell’universo; parallelamente, si sente in modo pesante l’assenza di una figura carismatica che possa guidare e sorreggere l’intera narrazione, dall’inizio alla fine.

Al di fuori di queste sbavature, “Black Widow” vanta, di certo, un’estetica complessiva invidiabile, grazie alle sue suggestive ambientazioni; a ciò si aggiunga un tono meno spensierato, un livello di humour piacevole e non estenuante, ed infine una degna gestione di certe tematiche, anche piuttosto sensibili.

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10/17. The Guardians of the Galaxy: Holiday Special

Cronologicamente parlando, il progetto che chiude la Fase 4 dell’MCU è la seconda “Special Presentation” (medio-metraggio dalla durata di circa 50 minuti), questa volta dedicata ai Guardiani della Galassia.

Questo secondo Speciale, targato Marvel Studios, si presenta, senza alcuna pretesa di troppo, come una divertente e spensierata avventura, che vede Drax e Mantis approdare sulla Terra in cerca del regalo di natale perfetto per Quill, e chi meglio se non il suo eroe, il “leggendario” Kevin Bacon?

Tolta l’aura natalizia e di divertimento che avvolge il progetto, però, James Gunn non appare in piena forma come suo solito, e, con questo Holiday Special non offre niente di nuovo e di trascendentale né all’evoluzione dei personaggi e neppure alla trama generale della squadra.

Possibilmente, diremmo noi, data la voglia di preservare tutta l’attenzione e l’energie in vista del terzo capitolo, conclusivo della storia di questi Guardiani, in uscita a maggio 2023.

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9/17. Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli

Con “Shang-Chi”, i Marvel Studios presentano la origin story di un personaggio del tutto inedito nel loro universo; insieme al personaggio, nuovo è anche l’intero ecosistema nel quale si muove, il che apporta un’innovazione non solo a livello scenografico e di ambientazioni, ma anche di musiche, costumi e finanche di regia, quest’ultima che porta la firma di Destin Daniel Cretton.

La sua regia è, infatti, dinamica, sperimentale e perfettamente coerente con l’aspetto che connota l’intera pellicola: a prescindere da qualche sequenza rallenty di troppo, le scene d’azione sono di grande impatto visivo e coreografico.

Non inneggio al capolavoro, precisiamo, ma di sicuro il lavoro che ha portato alla realizzazione di “Shang-Chi” non è da sottovalutare; come non lo è neppure la prestazione del nuovo entrato Simu Liu, nei panni dell’omonimo protagonista, che si trova a dover fronteggiare, nel film in questione, il proprio padre, il cui carattere (ma non le motivazioni) ricorda molto l’immaginario fumettistico orientale.

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8/17. Eternals

“Eternals” è, probabilmente, il film più sperimentale mai portato sullo schermo dai Marvel Studios: si gioca, infatti, di più su una costruzione dei personaggi e delle loro dinamiche, a discapito del classico stilema marveliano.

Ciò, però, non è sempre sintomo di gradimento da parte del pubblico, che si è, pertanto, drasticamente diviso in merito al film in oggetto. Di fatto, la pellicola dispone tanto di punti di forza quanto di evidenti difetti.

“Eternals” gode di un cast in piena forma, dell’ottima regia di Chloé Zhao e, in particolare, di una fotografia mozzafiato, che rende l’opera di grande bellezza visiva. Al di fuori del lato prettamente tecnico, il film si prende troppo il suo tempo, seminando tematiche profonde e scandendo un ritmo che rimane sempre sullo stesso livello, senza ingranare mai, nemmeno (paradossalmente) durante il terzo atto.

Complice uno scheletro narrativo più funzionale all’interno di un modello televisivo, la pellicola di Chloé Zhao introduce una pletora di nuovi personaggi e nuovi concetti che faticano ad amalgamarsi. Le qualità del film sono tante, ma l’amaro in bocca, per un’occasione persa, rimane.

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7/17. Black Panther: Wakanda Forever

A chiudere il lato cinematografico della Fase 4 è “Black Panther: Wakanda Forever”, il sequel del film del 2018 che vedeva in prima linea il compianto Chadwick Boseman, protagonista del primo capitolo e personaggio chiave nei vari film corali.

La prematura dipartita di Boseman ha conseguito, naturalmente, una totale rielaborazione dei progetti riguardo il secondo capitolo: dalla creazione in sé del film, alla storia, fino alla scelta di recastare il personaggio di T’Challa. Ryan Coogler, regista e co-sceneggiatore di entrambi i film, ha optato per la migliore soluzione, che ha portato alla nascita di questo secondo capitolo.

“Wakanda Forever” è una pellicola fortemente emotiva, un commovente tributo non solo verso un personaggio carismatico, ma soprattutto verso un attore straordinario e una persona di grande cuore; sotto un punto di vista tecnico-artistico il lavoro è di alto livello, risultante dalla creazione di un nuovo popolo (Talokan), con nuovi usi e costumi. Tralasciando la durata un pelo eccessiva, dovuta alla voglia di porsi come un colossal, la pellicola raccoglie più pregi che difetti: caratterizzazioni che cambiano di continuo, sottotrame non sviluppate e motivazioni che scricchiolano non riescono, complessivamente, a prevalere su tematiche più serie e profonde, un villain (Namòr) interessante, un reparto sonoro potente e un’aria di sensibilità ed emozione che circonda la totalità dell’opera.

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6/17. Doctor Strange: in the Multiverse of Madness

A dare seguito a quanto detto con riguardo di Eternals e del suo carattere sperimentale, provvede il secondo capitolo dedicato a Doctor Strange, che vede il tanto atteso ritorno di Sam Raimi alla regia di un cinecomic.

Banalmente, la regia, e il lato tecnico in generale, fanno da padroni all’interno della pellicola. “Doctor Strange in the Multiverse of Madness” è un film in pieno stile Sam Raimi, che, per quanto alle strette di Kevin Feige, è riuscito ad elevare una storia che, altrimenti, non avrebbe di certo avuto un simile impatto: il regista americano, infatti, gioca molto sui punti imprescindibili del suo registro filmico, ma soprattutto sulla creazione di sequenze orrorifiche ed atmosfere dark, in contrasto con i principi fondamentali dell’universo Marvel.

Il lato puramente narrativo, come anticipato, non può vantare le qualità sopracitate. Personaggi chiave vengono introdotti e finali di stagione vengono riscritti, mentre la storia procede ad un ritmo troppo elevato, non permettendo alle singole vicende di costruirsi per dare fluidità alla narrazione.

Mettendo da parte le asfissianti previsioni che condizionavano il periodo antecedente alla sua uscita, “Multiverse of Madness”, in sostanza, riflette poco il suo titolo e funge più da mero sequel tanto di Doctor Strange (2016) quanto, in effetti, anche di Wandavision (2021).

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5/17. Spider-Man: No Way Home

Al netto degli evidenti difetti imputabili ad una narrazione, di fatto, piuttosto inconsistente, “Spider-Man: No Way Home” decide di mirare alla pancia, alla nostalgia, al fare di un semplice terzo film un vero e proprio evento che ha riempito (e trasformato in stadi) i cinema di tutto il mondo, in un periodo tutt’altro che semplice: è proprio questo il motivo per cui il film si piazza alla quinta posizione di questa classifica.

Le folli teorie, le enormi aspettative e la trepidazione anche per avere un piccolo assaggio della pellicola hanno dominato i social media per quasi un anno intero, e un fenomeno del genere non accadeva dai tempi di Avengers: Endgame, quando file chilometriche occupavano l’ingresso delle sale mondiali.

Anche con una scrittura poco coerente, buchi di trama ed espedienti piuttosto facili, non v’è dubbio che “No Way Home” è riuscito a pieno nel suo intento di rendere omaggio a ben tre generazioni di fan, entrando nel cuore e nell’immaginario di milioni di persone e concludendo, poi, con un finale che circoscrive alla perfezione l’essenza e la maturazione del personaggio, mettendo le basi per un futuro ricco di sorprese.

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4/17. Werewolf by Night

Se, in alcune produzioni della Fase 4, la sperimentazione non è stata sufficiente per plasmare un giudizio complessivamente positivo, “Werewolf by Night” (o Licantropus, se preferite) è stato capace di unire abilmente innovazione e coerenza narrativa.

Per la regia di un Micheal Giacchino fortemente ispirato, responsabile anche della colonna sonora, questo primo progetto sotto l’etichetta “Marvel Studios Special Presentation” differisce con grande distacco dalle più recenti produzioni, per una serie di motivi. La trama è semplice, ma avvincente e coerente con sé stessa; la regia, il make-up prostetico, le interpretazioni volutamente sopra le righe e il filtro della pellicola in bianco e nero sono tutti espliciti rimandi ad un preciso tipo di cinema (quello horror degli anni 40-50).

A fronte delle qualità appena elencate, e di un parametro di violenza quanto meno più credibile, “Werewolf by Night” inaugura in grande stile questo nuovo format televisivo dalla durata di circa 50 minuti, che, se dovesse procedere con questo andamento positivo (visti i primi due casi), non potrei far altro che esserne il primo sostenitore.

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3/17. WandaVision

Arriviamo quindi al podio di questa classifica, alla cui terza posizione troviamo “WandaVision”, la prima serie e il primo progetto in generale della nuova Fase 4.

La serie racconta il periodo post-Endgame attraverso gli occhi di Wanda Maximoff, ancora in pieno lutto per la morte di Visione; ciò che più stupisce è proprio il modo in cui questi eventi, apparentemente semplici, vengono narrati: l’episodio pilota si apre come una sitcom in bianco e nero, così come la puntata a seguire; e mentre la storia procede, la plausibilità degli scenari comincia pian piano a vacillare sia agli occhi della protagonista, che a quelli del pubblico.

Prendendo in considerazione le sole produzioni seriali, “WandaVision” è una delle poche ad essere riuscita a combinare creatività, sperimentazione e un interessante sviluppo narrativo, con l’elemento mistery a fare da sfondo ai singoli episodi.

La curiosità, le teorie e l’ottima messa in scena raccolti durante i primi episodi culminano in un finale interessante (per quanto affrettato), condizionato, in maniera particolare, dal modo in cui Waldron, lo sceneggiatore di Multiverse of Madness, ha plasmato, a suo modo di vedere, le conseguenze di questo finale di stagione.

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2/17. Loki

La medaglia d’argento va a “Loki”, il primo progetto che rivolge l’attenzione al vero concetto perno dell’intera saga, ovvero il Multiverso.

Alla stessa maniera di Wandavision, anche “Loki” intavola una trama curata, avvincente e dal forte (qui padroneggiante) connotato thriller. La serie mostra le conseguenze della “fuga” di Loki, che viene portato al cospetto dell’imponente TVA, la grande burocrazia multiversale che si occupa di mantenere stabile la corretta linea temporale.

Tom Hiddleston nei panni del Dio dell’Inganno è una consacrata garanzia, e quale migliore occasione di sfruttare a pieno le sue abilità, se non in un progetto interamente dedicato al suo personaggio? Pertanto, tra le molteplici qualità di cui gode questa serie, l’eccezionale interpretazione del suo protagonista è senza dubbio quella più incisiva; di seguito, interessanti sono anche i personaggi comprimari e le loro caratterizzazioni, che si modellano e si evolvono di puntata in puntata.

Attraverso dialoghi ben scritti e vicende ben costruite, che incarnano concetti di amore, rispetto e lealtà, “Loki” mostra un lato ancora mai esplorato del personaggio, dei suoi pensieri, della sua misteriosa personalità. Al netto delle faccende da risolvere e delle questioni lasciate aperte, la trama prende gradualmente uno sviluppo criptico, sempre più intrigante, che confluisce in uno dei migliori finali di stagione, tra rivelazioni spiazzanti e pesanti conseguenze sul futuro dell’universo.

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1/17. Hawkeye

Siamo arrivati all’epilogo di questa lunga classifica, alla cui cima si posiziona “Hawkeye”, la miniserie con protagonista Jeremy Renner nei panni del rinomato Occhio di Falco.

Che sia dovuto alla sua storia autoconclusiva, o alla sua pressoché minima attinenza con il resto dei progetti della Fase 4, “Hawkeye, a discapito delle sue simili, è senza dubbio la serie che più funziona nella sua struttura da sei episodi.

Divertimento, azione e tanto cuore plasmano un’opera tenera, fresca e soprattutto lineare, che scava nel passato guardando al futuro.

Adattando al piccolo schermo una delle run a fumetti più acclamate ed apprezzate sul personaggio, “Hawkeye” mostra da vicino un periodo difficile della vita di Clint Barton, mentre lotta tra ricordi tormentanti e la pesante lontananza dalla sua famiglia.

A questo giro, l’innesto di nuovi personaggi non crea confusione, ma anzi funziona e contribuisce, in gran parte, alla maturazione della trama; tra questi, quello di punta è il personaggio di Kate Bishop (Hailee Steinfeld), co-protagonista della serie. Il rapporto tra i due, le varie interazioni e il sottile filo che lega le loro personalità sono tutti elementi scritti in modo convincente, tutt’altro che banale, e necessari, se non essenziali, per la crescita di entrambi i protagonisti.

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Guglielmo Tamburino

Guglielmo Tamburino

Amante seriale di cinema in ogni sua forma e genere. Oltre ad una profonda devozione al Maestro Quentin Tarantino, il mio gusto è stato fortemente influenzato dal tocco di François Truffaut e dalla genialità di Sam Raimi.

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