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Chi usa i social media è più incline alla depressione

Secondo uno studio del 2022 pubblicato nel Journal of Affective Disorders Reports, l’uso dei social media è stato fortemente associato allo sviluppo della depressione.

La depressione ai tempi dei social media

Like, condividi, pubblica, commenta, segnala, repeat. Per chi mastica il mondo dei social network tutti i giorni, queste operazioni non sono che una normale routine di interazioni; un po’ come lavarsi il viso al mattino. I social sono ormai parte integrante della nostra quotidianità: ci informano, ci consentono di condividere la nostra vita e di comunicare con gli altri, ci intrattengono. E ci deprimono.

Proprio così. Tra un like alla recensione del nuovo e attesissimo titolo per console in uscita, l’impostazione della perfetta formazione del fantacalcio, la visione di una spassosissima live del nostro streamer preferito e la creazione un immancabile reel per mostrare a tutti le nostre mirabolanti avventure quotidiane, troviamo pure il tempo di deprimerci. E a dirlo è uno studio.

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L’impatto del COVID sul benessere psicologico della popolazione

Parlare di depressione nel 2022 sembra più che lecito. In fondo abbiamo trascorso gli ultimi anni chiusi in casa, no? Indubbiamente, il lockdown non ha fatto che peggiorare un disagio già molto diffuso tra la popolazione, ossia quello dell’ansia e della depressione.

Durante le restrizioni dovute alla pandemia, molti di noi si sono rifugiati sui social per sfuggire all’idea di essere bloccati tra le strette pareti di casa, senza lievito per improvvisarci panettieri e disinfettante per scongiurare il contagio galoppante trasmesso dalla busta della spesa. Ma senza che ce ne accorgessimo, quell’ambiente confortevole e pronto all’uso offerto dallo schermo dei nostri dispositivi ci ha fatto precipitare ancora di più in nella solitudine e nell’isolamento.

Non a caso, i giovani sono risultati la categoria più colpita dall’aumento dei disturbi depressivi. La combinazione di isolamento e privazione di momenti di socialità come la scuola e l’università, sostituiti da un maggiore uso dei social media, sono tra le cause del forte aumento di questi disturbi mentali. Sì, il termine corretto per definirli è “disturbi mentali”. Perché la salute mentale è un’altra cosa.

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La salute mentale: un trend più che un concetto

Ormai il termine “salute mentale” è ovunque. È quella parola magica che ci spinge a prenderci del tempo libero in più per coccolarci, a sorridere quando preferiremmo stare da cani e a fare delle scelte che prima non avremmo mai fatto per autoconvincerci di prenderci cura di noi stessi.

Ma parlare sempre di salute mentale è fuorviante e non a caso. La tendenza degli ultimi anni è infatti quella di utilizzare il termine in maniera generica principalmente allo scopo di evitare la stigmatizzazione delle malattie mentali e descriverle come un fenomeno relativamente comune.

Certo, ciò ci ha insegnato ad avere maggiore empatia e consapevolezza su determinate tematiche come la depressione (e specifico, “maggiore”, perché di pastasciutta ne dobbiamo mangiare ancora tanta, come direbbe Chiellini). Tuttavia, questa tendenza ci ha spinto a credere che la depressione e l’ansia siano fenomeni transitori, comuni, causati dai normali avvenimenti della vita quotidiana.

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Come afferma lo psicologo clinico statunitense Huw Green, è fondamentale comprendere che la salute mentale è un modo tra gli altri di guardare alle nostre vite. Il termine non deve quindi essere usato come un pretesto, ma come un obiettivo da raggiungere compiendo delle azioni, guardando dentro noi stessi e impegnandoci in modo razionale, etico e personale.

Quando la salute mentale diventa la motivazione principale delle nostre scelte, stiamo dando priorità alle nostre esperienze. Di conseguenza, il nostro comportamento lascia meno spazio a considerazioni morali o etiche, e meno spazio a motivazioni che hanno a che fare con impegni sociali, comunitari o familiari, o al fare qualcosa per sé stessi.

Ok, ma tutta questa pappardella cosa c’entra? Semplice: prima di parlare concretamente di depressione, è fondamentale comprendere che si tratta di un disturbo, di una malattia vera e da non sottovalutare, soprattutto quando la causa è qualcosa di apparentemente “innocuo” come una piattaforma di social network.

La correlazione tra depressione e social media

E allora che rapporto c’è tra disturbo depressivo e social media? Secondo molti studi, le piattaforme social funzionano come una sorta di droga che dà forte dipendenza a chi ne abusa, proprio come accade con l’alcolismo e la tossicodipendenza.

I social favoriscono una cultura del confronto che ci investe con violenza, tempestandoci di situazioni idilliache, feedback non richiesti e vite meravigliose che nella maggior parte dei casi sono fittizie e costruite. Non che la vita reale sia sempre una passeggiata, per carità, ma sui social il rischio di provare i sentimenti comunemente associati alla depressione è molto più elevato.

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I social media e la sensazione di isolamento

Nonostante non rappresenti una panoramica completa sulla popolazione, lo studio pubblicato nel Journal of Affective Disorders Reports può aiutare gli esperti e noi utenti a comprendere meglio quali siano le dinamiche che caratterizzano i social media.

Una prima dinamica problematica è quella relativa alla solitudine. Trascorrere molte ore sui social sostituisce la normale interazione umana e contribuisce alla percezione dell’isolamento sociale. È una sorta di circolo vizioso quasi impercettibile: siamo soli, ci annoiamo, apriamo un social network. Dopo qualche ora a scorrere video, post, reel e via dicendo, la solitudine ci attanaglia. E ci rituffiamo nei social network in un loop infinito.

Un ulteriore problema è quello rappresentato dalla FOMO (fear of missing out), ossia l’ansia sociale/paura di essere esclusi da eventi, esperienze e attività. In determinati individui, l’esposizione continua alla già citata cultura del confronto aumenta la sensazione di disconnessione dal mondo e fa credere loro di “non fare abbastanza” per vivere al meglio.

Il ruolo esercitato dalla personalità

È però doveroso fare alcune precisazioni. Nel loro studio, Merrill, Cao e Primack chiariscono che alcuni tratti di personalità corrono un rischio maggiore di sviluppare un disturbo depressivo. Se leggendo le righe in alto vi siete detti “balle, io guardo sei ore di live IRL al giorno e sto ‘na crema”, è probabile che il vostro tratto di personalità sia meno influenzato dall’uso dei social.

Lo studio rivela infatti che le persone più a rischio sono quelle caratterizzate da elevato nevroticismo o da bassa amicalità. Ma che significa? Significa che gli utenti con questi tratti di personalità corrono un rischio maggiore di provare instabilità emotiva e sentimenti di ansia o stress.

In soldoni, a parità di uso dei social, questo tipo di personalità soffrirà maggiormente in risposta agli stimoli e alle dinamiche presenti sui social. Al contrario, le persone caratterizzate da elevata amicalità o basso nevroticismo (e quindi di natura più empatica e altruista) tendono a essere più predisposte alle interazioni sociali.

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Insomma, ci sono utenti che si godono le dinamiche dei social e utenti che le soffrono. Quindi c’è chi può e chi non può? Non esattamente. Secondo lo studio, i social media non fanno alcuna distinzione: chiunque li usi è più incline alla depressione rispetto a chi ne fa a meno.

Lo studio di Merrill, Cao e Primack è la prova concreta che un abuso dei social media può sfociare in un disturbo depressivo. Come qualsiasi altra malattia, la depressione non si sconfigge a parole e con la stigmatizzazione, ma rivolgendosi a specialisti in grado di offrire un aiuto concreto.

Vale davvero la pena compromettere la nostra salute mentale per un po’ di content in più?

LEGGI ANCHE: Digital Wellbeing su Android Pie 9.0 per la nostra “salute digitale”

FONTI: Journal of Affective Disorders Reports

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Sebastiano Inama

Sebastiano Inama

L'invincibile principe guerriero forgiato dal fuoco di mille battaglie, nonché localizzatore di videogiochi e copywriter.

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