The Fly è sicuramente un capolavoro, un cult senza tempo non solo nell’ambito horror ma in generale all’interno del medium, dati i temi trattati nel lungometraggio facenti parti della natura umana, della sua evoluzione, della sua ambizione, che spesso troppo grande può condurre a delle conseguenze disastrose sia per noi, sia per chi ci ama o ci sta intorno.
Le pellicola del 1986 arriva in una fase matura del regista, di consapevolezza, successivamente ad “esperimenti formativi” come Scanners, Videodrome e la Zona Morta dove la fantascienza intesa come “gradino superiore” della razza umana e il rapporto carne/metallo sono al centro della scena; concetti espressi ovviamente anche in questo film di cui andremo a discutere oggi.
Cronenberg nonostante abbia mantenuto un “volto”, un’identità all’interno della sua carriera, ogni film racconta, monta un tassello diverso del suo pensiero, della sua filosofia volta al concetto di evoluzione, di “nuova carne” discusso ampiamente anche nel suo ultimo film Crimes of the Future, dove noi prontamente ne abbiamo pubblicato una recensione.
The Fly si ispira fortemente al racconto di Franz Kafka “La metamorfosi” e ne ricalca non solo la storia ma anche il concetto in se, esplorando non solo quanto detto e trasmesso dallo scrittore nelle sue parole, ma rispecchia, elabora e analizza il suo inconscio, e amplia la visione “attuale del futuro” che a oggi, così come 100 anni fa rispecchia una decadenza umana fisica e simbolica tracciata sulla pelle e nella psiche di Gregor Samsa che in The Fly assume le sembianza di un Jeff Goldblum in stato di grazia.
The Fly (La Mosca): la disgustosa decadenza umana secondo David Cronenberg
L’eterno ritorno della perfezione conduce sempre allo stesso punto, ovvero “il disgusto” ed è questo il cerchio tracciato da Cronenberg all’interno di questa pellicola, che tocca non solo temi di fantascienza/horror ma tange corde umane al tempo inesplorate o meglio accennate da altri registi, nonostante la freddezza che da sempre caratterizza le opere del regista canadese.
Seth Brundle (Jeff Goldblum) è una mente geniale, uno scienziato solitario intento a creare la macchina del teletrasporto, un sogno ambito ancora oggi da tutte le grandi menti o dai semplici appassionati di fantascienza. Un tassello che ancora manca alla razza umana, un passo al momento impossibile da attuare, data l’enorme complessità che risiede nella sua realizzazione effettiva ed efficace.
La nostra vita dipende da noi, o spesso non abbiamo il pieno controllo su di essa?
Anche qui inconsapevolmente il personaggio si ritrova a combattere con la mutazione del corpo, con la trasformazione della sua mente, inebriata da un soddisfacente e rivoluzionario risultato che senza manco a dirlo sarà la sua rovina, la sua disgustosa decadenza e infine la sua morte; concetto anch’esso esplorato sia in The Fly sia da Cronenberg in generale.
La linea tra vita e morte è sottile come ben sappiamo, e in questo film il “sentore” è presente più che mai. La disposizione di Seth e la sua dedizione al cambiamento, alla rivoluzione, distruggono letteralmente il suo copro e la sua anima e la sua (de)compsizione avviene appunto in uno stato di grazia, quando tutto sembra perfetto, in continuo mutamento positivo, successivamente a un risultato che in un primo momento sembrava l’apice, la perfezione.
Cronenberg ci ricorda l’assenza della perfezione nella vita, ci ricorda la “bellezza della corsa per raggiungerla” e lo fa in maniera distaccata, quasi cattiva, senza scrupoli, denudandola per farla nostra, mostrandola al suo pubblico dall’interno tramite la putrefazione della carne, ricordandoci quello che siamo realmente senza filtri.
L’ambizione non è assolutamente sbagliata ma basta poco per raggiungere un punto di non ritorno anche se non lo vogliamo, anche se indirettamente non lo cerchiamo. Prendete Gregor Samsa de “La Metamorfosi” lui non fa praticamente nulla di sbagliato, ma la vita gli riserva comunque un destino crudele, inevitabile, che in questo caso lo conduce a una mutazione genetica immediata in un enorme insetto, conducendolo a una fine orribile.
Seth, il protagonista de “La Mosca” in un certo senso è la sua versione opposta, anche se in questo caso è la sua dedizione, la sua ossessione e la sua mania di essere superiore agli altri a farlo decadere, anche se alla fine la sua trasformazione e la sua decadenza sono dovuti a un incidente, una piccola “falla” nel progetto che nessuno poteva prevedere, neanche una mente geniale come lui, specie se offuscata dall’ossessione.
Questo racconta Cronenberg, racconta dell’ambizione, del talento, della solitudine, della decadenza e infine dell’imprevedibilità della vita, e di come essa abbia sempre il controllo della vita umana nonostante tutto; qualunque cosa faremo potrà essere grande, ambiziosa, ma anche ridicola, inutile, questo non importa, tanto alla fine la vita ha già scelto per noi, e poco dopo la nostra nascita siamo consapevoli della nostra fine; quindi la morte anche qui, viene discussa e posta come “punto di partenza” per la nostra esistenza, visto che “conoscendo il finale” possiamo costruire le basi da un input ben preciso: come accennato però, non dipende mai tutto da noi, mai.
The Fly racconta quindi la decadenza umana non solo dal lato psicologico ma soprattutto da quello fisico, tramite la “disgustosa” mutazione del protagonista che in questo caso rappresenta tutte le sue azioni, la sua ambizione, il suo egoismo e la sua fame di essere grande, superiore agli altri.
Cronenberg punta a farci odiare questo creatura, ma allo stesso tempo riesce a farci empatizzare, nonostante la “fredda impostazione” del film. Seth cade pezzo dopo pezzo di fronte alla sua amata Veronica, anch’essa vittima dell’esperimento andato male per via di una sola colpa, quella di amare un uomo che voleva cambiare, voleva mutare, ignara della sua “perfezione” agli occhi di una persona, la sua donna, che ora ha perso per sempre insieme alla sua vita.