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Facebook consegna alla polizia le chat di una teenager in fase di aborto

Di recente una ragazza diciassettenne del Nebraska, Celeste Burgess, e sua madre Jessica sono state accusate di una serie di reati legati ad un apparente aborto che la ragazza avrebbe compiuto a casa sua. Tutto il caso si basa inoltre sulla chat e sui dati personali della ragazza fornitagli da Facebook su ordine della corte.

Secondo questi dati Celeste e Jessica avrebbero comprato online un farmaco chiamato Pregnot, ossia un kit contenente i farmaci mifepristone e misoprostolo, che solitamente vengono usato per abortire in modo sicuro entro i primi tre mesi di gravidanza. Celeste era però incinta da almeno 28 settimane (ossia di 7 mesi), ossia fuori dal periodo in cui i due farmaci sono consigliati e oltre il periodo stabilito dal post-fertilization abortion ban, legge del Nebraska che consente l’aborto entro le prime 20 settimane di gravidanze e concede delle indennità se una persona incinta rischia di morire o se rischia di subire cambiamenti gravissimi al proprio corpo, come perdere una delle funzioni corporee importanti.

Dopo l’aborto, le due avrebbero poi seppellito il feto del piccolo con l’aiuto di un ragazzo ventiduenne, Tanner Barnhill, con il quale si sarebbero accordate tramite Facebook. Celeste e Jessica sono state arrestate, ma sono già state rilasciate.

Jessica sarà processata ad ottobre come adulta per cinque crimini, tra cui aver tentato l’aborto oltre il limite temporale considerato legale in Nebraska, l’aver abortito con un dottore senza licenza e l’aver abbandonato o nascosto un cadavere umano.

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Il coinvolgimento di Facebook

L’indagine è stata seguita dal detective Ben McBride, e con l’autopsia effettuata sul piccolo non è stata determinata una causa i morte certa: La famiglia ha dichiarato al detective che lei aveva partorito un feto già morto e che ha chiesto l’aiuto della madre per seppellirlo, anche se poi le due avevano intenzione di bruciarlo. La posizione del feto dentro un sacchetto di plastica ha però fatto venire il sospetto che il realtà il piccolo sia morto per asfissia.

Ed è proprio per provare la vera causa della morte che la polizia aveva bisogno delle informazioni personali contenute proprio sul social di Meta. A giugno lo stato ha quindi sottoposto una perquisizione, e Facebook gli ha consegnato i dati personali di Celeste e Jessica.

La chat privata tra madre e figlia, nella quale la seconda menziona pure di bruciare tutte le prove dell’aborto, sono stati poi usati dalla polizia come base principale per una seconda perquisizione, durante la quale hanno requisito i computer e i cellulari delle due, dai quali sono stati estratti ben 24 gigabyte di dati riguardanti il caso (tra messaggi, immagini, eccetera). Il detective ha commentato dicendo che sa per esperienza che le persone coinvolte in attività criminali ne parlano spesso sui social e che rappresentano una prova anche per questo caso.

Questo caso nel Nebraska dimostra come Facebook soddisfare gli ordini dei tribunali degli stati in cui l’aborto è considerato un crimine. Sul caso di Jessica è però intervenuto un rappresentante di Meta, che ha dichiarato quanto segue al sito Motherboard:

“L’aborto non era menzionato in nessuno dei mandati che avevamo ricevuto dalle forze dell’ordine locali a giugno, prima della decisione della Corte Suprema. I mandati riguardavano delle indagini e i documenti della corte indicavano che la polizia a quel tempo stava investigando il caso di un feto nato morto che era stato seppellito e poi bruciato, e non stavano investigando un possibile aborto.

Entrambi i mandati erano accompagnati da degli ordini di non divulgazione, che ci ha impedito di condividere qualsiasi informazione a riguardo. Essi però sono stati revocati”.

Una dichiarazione simile è stata pubblicata su Twitter da un altro rappresentante della compagnia di Marc Zuckenberg, Andy Stone.

Fonte. Motherboard.

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Yoel Carlos Schincaglia

Yoel Carlos Schincaglia

Nato il 14 febbraio 1997 a Bentivoglio, in provincia di Bologna. Grande appassionato principalmente di anime, poi anche di videogiochi e manga. Credo nella canzone che ho nel cuore!

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