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Essere Eddie Munson: dall’emarginazione all’identificazione

Grazie all’uscita dei suoi ultimi due episodi, la quarta stagione di Stranger Things è la serie in lingua più popolare di Netflix e la seconda serie più popolare in generale, seconda solo a Squid Game. Un successo ottenuto anche grazie all’esordio di Eddie Munson.

Difficilmente negli ultimi anni c’è stato un personaggio capace con la sua sola presenza di catalizzare l’attenzione su di sé rubandola di netto alla serie in generale. Stranger Things in questa stagione ci presenta questo nuovo personaggio nella maniera più canonica possibile: un classico soggetto dalle caratteristiche apparentemente mediocri.

Eddie è un ripetente, dall’aria intimidatoria, che condiziona il suo gruppo scolastico fatto non di amici ma di ragazzi molto più piccoli di lui. Non pare aver pregi, anzi, nell’episodio di pilota della stagione, dopo averci quantomeno destabilizzato con il suo discorso in mensa, ci distrae al club con la partita a D&D dove la piccola ma sagace Erica viene dapprima esclusa per poi essere iniziata al gioco nel gruppo. E dopo questa scena gli sceneggiatori ci riportano di nuovo a confonderci nel momento in cui cerca di vendere la droga a Chrissy.

Eddie Munson

Who is Eddie Munson?

Chi è quindi Eddie Munson? È la rappresentazione totale di quello che è il margine della società, un confine lontano per molti che viene visto con il pregiudizio borderline atto ad escludere e bollare ogni persona disallineata. Eppure Eddie in mensa si è mostrato quasi sgradevole agli occhi conformisti, mentre nel dialogo con Chrissy appare pacato e lucido, nel suo nudo aspetto.

Ed ecco che un soggetto su cui puntare il dito del pregiudizio diventa – al terzo occhio dello spettatore – una personalità simile e quantomeno familiare. Ma cosa potrà mai accadere di peggio ad un ragazzo emarginato che vive sotto lo stigma di una società di provincia bigotta e conservatrice? Il personaggio di Eddie è in parte ispirato da Damien Echols, un membro dei West Memphis Three che è stato accusato di omicidio e ha trascorso anni nel braccio della morte prima di essere rilasciato nel 2011.

Può succedere ciò che può succedere a chiunque, quello di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Assiste alla morte di Chrissy. Ed ecco che il giudizio di massa nei confronti di un emarginato, diventa un pregiudizio tale da risultare aggravante sino a prova contraria. Eddie è un anti-conformista, è un nerd, non è un vincente in nessun ambito della società, nemmeno a scuola, essendo un ripetente. Veste in modo strano, ascolta musica strana, è amorale sotto tutti i principi. Quindi è lui l’assassino, per chiunque. Per tutti. Tranne per chi – come noi spettatori – conosce la verità e tranne per chi, nella storia, conosce Eddie oltre i suoi atteggiamenti ed i suoi voti a scuola.

E come per magia scopriamo che Eddie Munson siamo sempre stati noi. No, non quelli che ce l’hanno fatta, quelli a cui riesce bene tutto, non quelli che vivono bene e si sentono bene nel mondo in cui stanno. Ma noi, quelli che non sono accettati per l’aspetto fisico, per l’aspetto caratteriale, per l’aspetto mentale e quello morale.

Quelli che la mattina non si svegliano bene, che non hanno voglia, che non vanno e non danno il massimo perché non si sentono obbligati, perché il mondo è fatto anche di persone che vivono vite anonime al di fuori ma che dentro hanno il significato più profondo e non è sempre necessario doverlo impacchettare per far sì che sia accettato da tutti. Solo alcuni ci arrivano, scavando.

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Identificarsi in Eddie Munson

Eddie Munson è il perfetto identikit del soggetto da evitare, di conseguenza resterà sempre ai margini di una società che non è per nulla aderente a sé stesso. Ed ecco che qui entra in “gioco” D&D, un gioco di ruolo il cui elemento principale è l’identità e lo sviluppo totalmente nelle mani del giocatore, il quale si trova a essere non solo protagonista della storia, ma anche suo stesso creatore, in un micro-mondo fantasy modellato a propria immagine e somiglianza, dove vengono di fatto escluse tutte le storture della società reale, un mondo parallelo dove riversarsi ed essere se stessi. Un modello embrionale di quello che da lì a poco sarebbero stati i videogames.

Per tutti questi motivi Eddie è un personaggio che raccoglie consenso da parte di più generazioni (dai millennials alla generazione y e a quella z) che si identificano in una sottocultura ben precisa, che vivono da decenni relegati ed emarginati (per questo o quell’altro motivo) dalla società dalle esistenze impossibili e lontani da una visione privilegiata del mondo. Generazioni che intravedono nel suo modo di essere freak una simbologia chiara e riconoscibile a contrasto della società omologatrice.

Così come noi, Eddie Munson non si sente realizzato, anzi, si sente inutile come persona tanto da ritenersi inadeguato al cospetto degli altri coetanei o delle comitive in generale. Ed è così che concentra la sua attenzione su chi lo considera diversamente (vedi Dustin o suo zio). Ma, nonostante questo, risulta sempre diverso anche solo per età ed esperienze. Questo fa sì che il suo arco narrativo non si limiti alla semplice accettazione di sé stesso ma anche ad un fondamentale cambiamento interiore.

Identificando generazioni di giovani e meno giovani, utilizza quella marginalità non come confine su cui alzare un muro a delimitare e marcare le differenza, ma come una posizione da cui proiettarsi verso la possibilità di migliorarsi, restando però se stessi. Un veloce processo di maturazione che ha fatto affezionare milioni di telespettatori che hanno evidentemente visto in lui una trasposizione di sé (di noi) con tutti i propri limiti e le proprie piccole speranze di vedersi riconosciuti da chi ci ha sempre ignorati o quantomeno ostracizzati.

Tutto questo passando dal tavolo di gioco alla vita vera, in un sottosopra che diventa un dungeon in cui diventare eroi, nella maniera più sognante possibile, il cui apice risiede nell’ormai memorabile scena cult in cui Eddie affronta i demobats esibendosi sulle note di Master of Puppets dei Metallica, dedicata proprio a Chrissy, che solo per un attimo è stata nel suo mondo, che solo per un attimo ha abbattuto tutte quelle barriere poste dalla società, larghe quanto la distanza di quel tavolo a cui erano seduti l’uno di fronte all’altro poco prima che morisse, in uno dei momenti forse più intrisi di vita di tutta la stagione.

Quell’esibizione è un crescendo di sfrenato ed originale edonismo che è figlio di un immaginario collettivo sognante che chiunque di noi, almeno una volta nella vita, ha ricreato nella propria mente. Perché in fondo ognuno di noi è sempre stato Eddie Munson, in un mondo che oggi sogna di essere, almeno per un momento, Eddie Munson. Ironico.

Stranger Things

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Alan Tommaso

Alan Tommaso

Blogger, scrittore, perditempo.

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