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Un ex dipendente fa causa a Facebook per sfruttamento in Kenya

Altri guai in arrivo per Meta, in particolare per quanto riguarda Facebook e le condizioni di lavoro in alcuni stati del continente africano, in particolare in Kenya. A citare la nota società fondata da Mark Zuckerberg e il suo subappaltatore Sama, un’azienda di San Francisco che si occupa di data e algoritmi per le intelligenze artificiali, è stato Daniel Motaung, un ex dipendente della sede di Nairobi. L’uomo ha citato Facebook accusandolo di traffico di esseri umani e di non fornire adeguate condizioni di sicurezza ai propri lavoratori, in particolare per quanto riguarda la loro salute fisica e mentale.

La prima accusa si basa sul modus operandi di Sama che si concentra su persone provenienti da famiglie e ambienti poveri (in alcuni stati in particolare come Uganda, Sud Africa, Somalia, Kenya e non solo) a cui vengono presentate offerte di lavoro ingannevoli, in quanto non rivelano quale sia la vera attività che queste persone dovranno svolgere, ovvero la moderazione dei contenuti per conto di Facebook. Ciò, come rivelato dalla causa presentata lo scorso martedì, può essere equiparato al traffico di esseri umani, in quanto queste persone abbandonano il proprio paese per svolgere lavori per cui non hanno in realtà firmato.

Ma le accuse di Motaung non si fermano qui e oltre a rivelare che il compenso si è rivelato inferiore a quanto inizialmente promesso (40.000 scellini kenioti, circa 350 dollari), il focus è anche sulle condizioni di lavoro a cui ha dovuto sottostare, come mostrato anche da un rapporto del Time. Lo studio legale Nzili e Sumbi Advocates, che si è occupato del caso, ha definito l’ambiente lavorativo creatosi come tossico, richiedendo un risarcimento economico per tutti i dipendenti sfruttati.

Facebook

L’ex lavoratore, licenziato dopo 6 mesi a causa del suo tentativo di migliorare le condizioni rivolgendosi a un sindacato, ha rivelato di essere rimasto traumatizzato da quanto visto durante i suoi mesi di lavoro, affermando che il primo video che ha visionato mostrava un uomo mentre veniva decapitato. Molti come lui hanno subito gli stessi traumi e nessuno si è preoccupato di fornire adeguato supporto psicologico o anche solo la copertura delle spese mediche necessarie.

Motaung ha dichiarato:

C’era del potenziale. Quando mi sono trasferito in Kenya, l’ho fatto per cambiare la mia vita e quella della mia famiglia. Ora ne sono uscito come una persona diversa, una persona che è stata distrutta.

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La risposta di Facebook

L’ufficio di Meta presente a Nairobi ha dichiarato al The Post che richiede ai suoi partner adeguati standard di retribuzione e supporto ai propri dipendenti aggiungendo che:

“Incoraggiamo inoltre i revisori dei contenuti a sollevare problemi quando ne vengono a conoscenza e conduciamo regolarmente controlli indipendenti per garantire che i nostri partner soddisfino gli standard elevati che ci aspettiamo da loro”.

Non è la prima volta che Facebook si ritrova a che fare con cause simili. Già nel 2020 è stata costretta a risarcire oltre 10.000 moderatori di contenuti che hanno accusato la società di aver subito gravi traumi psichici dopo alcuni mesi di lavoro.

Meta Facebook Crittografia 2023

Fonte: Washington Post

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Matteo Pignagnoli

Matteo Pignagnoli

23 anni, laureato in scienze della comunicazione con l'obiettivo di diventare giornalista. Appassionato sin da piccolo di gaming e sport, mi interesso anche di anime, manga e musica.

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