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Dietro le quinte di Belle (e non solo) | Intervista a Mamoru Hosoda

Nella giornata di oggi arriva nei nostri cinema l’ultimo lungometraggio del celebre regista Mamoru Hosoda, Belle (qui il trailer). Il film approda in Italia con Anime Factory, etichetta di Koch Media, in collaborazione con Wonder Pictures.

Per l’occasione il regista ha partecipato alla sedicesima edizione del festival Alice nella Città, che si è tenuto lo scorso ottobre a Roma, e in quegli stessi frangenti si è prestato ad alcuni eventi promozionali durante i quali ha accettato di rispondere ad alcune domande.

Il caporedattore della nostra sezione Anime&Manga Matteo Mellino ha partecipato all’evento, e di seguito vi proponiamo l’intervista completa fatta al regista. Vi avvisiamo che l’intervista è stata editata per ottimizzare la comprensione e la coerenza del testo.

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Come già annuncia il titolo, l’ispirazione principale di Belle è La Bella e la Bestia, una favola europea che affonda le sue radici nel settecento. Ma c’è anche un’altra ispirazione, la storia giapponese del poeta che si trasforma in tigre, di Nakajima. In che modo queste due favole di tradizioni tanto diverse sono entrate in contatto, dando così vita ad un qualcosa di nuovo?

La Bella e la Bestia è una favola con cui voi occidentali siete molto familiari. Come lei ha sottolineato, il mio film si ispira anche all’opera Monti e Luna di Atsushi Nakajima, scritta durante l’era Meiji e che ha origine da un racconto di circa 1300 anni fa che si svolge nella Cina dell’epoca. In questo racconto il poeta non riesce a divenire tale, ma si trasforma in una tigre. In Belle non c’è una contrapposizione tra la Bestia e la Bella; la Bestia non è altro che la parte «orientaleggiante» di questo film, e prende spunto proprio dall’opera di Nakajima, in cui l’animale è in realtà un’altra sfaccettatura dell’essere umano. È per questo che è importante non inquadrare la bestia come un qualcosa che va allontanato, ma come una parte di noi stessi.

Ho letto che l’idea di raccontare il mondo dei social media nelle sue luci e nelle sue ombre è nato dal fatto che lei si preoccupava per il futuro di sua figlia. È vero che c’è anche questo dato personale nella voglia di scrivere questo film?

Io credo che per gli adolescenti di oggi vivere nel mondo di internet e dei social network sia veramente molto difficile. Si ha la sensazione di essere costretti a doversi registrare e partecipare a questi fenomeni perché è «trendy», perché altrimenti si finisce isolati, e le relazioni sociali tra i ragazzi finiscono sotto gli occhi di tutti perché diventa tutto più visibile. Addirittura si parla di caste all’interno delle scuole, proprio perché queste relazioni sociali diventano talmente evidenti che si inizia a notare e ignorare chi non vi partecipa. Avendo una figlia di 5 anni noto come il suo comportamento cambi tra casa e scuola: da noi fa come le pare, mentre a scuola è molto timida. Vedendo ciò, e osservando questo mondo pervaso da internet e dai social network, mi domando se mia figlia sarà in grado di sopravvivere al suo interno una volta divenuta adolescente. È per questo che ho voluto mandare un messaggio di speranza attraverso questo film.

Lei stesso non è presente sui social network, giusto? L’ho trovata soltanto su Twitter.

Si, non li uso per diverse ragioni. Da una parte io stesso sono stato vittima di avvenimenti poco simpatici. D’altra parte credo che un’artista debba esprimere i propri sentimenti attraverso la sua arte, non a piccole dosi mediante i social network. Credo che bisogni caricare tutta la voglia di creare per poi esplodere ed esprimersi attraverso le proprie opere.

Quest’anno [2021] è il 50esimo anniversario di Lupin III. Io so che il film che l’ha maggiormente ispirata è Il Castello di Cagliostro di Hayao Miyazaki. Se le offrissero di realizzare un lungometraggio su Lupin accetterebbe? Oppure c’è un altro personaggio della sua infanzia su cui vorrebbe lavorare?

Ci sono tante persone che hanno rievocato Lupin III. Non ci ho mai pensato, mi basta riguardare il Lupin che mi ha cresciuto.

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In molti dei suoi film c’è sempre un altro mondo che, in un qualche modo, aiuta i personaggi a trovare loro stessi. Visto che anche il cinema consiste nell’entrare in un altro mondo, vorrei sapere se ci sono stati film che l’hanno aiutato a trovare se stesso o che l’hanno ispirata.

Il mondo di U è una realtà virtuale attraverso cui non c’è soltanto l’invio del proprio ego nell’altra realtà, ma attraverso quell’alter ego ci si realizza anche nella realtà effettiva. Proprio come dice lei, ciò vale anche per i film, i quali ci danno l’opportunità di entrare in un altro mondo e tornare arricchiti nel nostro. Personalmente sono un cinefilo, sono tante le opere che mi hanno ispirato, e altrettanti i registi. Se devo proprio individuare un artista importante a cui mi sono ispirato quello sarebbe Victor Erice, con il suo Lo spirito dell’alveare.

Quello della famiglia è un tema ricorrente nelle sue opere. Come le interessa rappresentarlo, e cos’è per lei questo concetto?

La mia infanzia non è stata particolarmente piena di ricordi fantastici con i miei parenti. Anzi, forse non mi ha fornito molti ricordi particolarmente memorabili. Essendo figlio unico, cosa che al tempo era abbastanza rara, sono anche stato soggetto a fenomeni di bullismo. Oggi, da adulto, sento molto la mancanza del mio contesto familiare, e la presenza di questa tematica nei miei film la considero quasi come una sorta di legge del contrappasso. Attraverso le mie opere, forse, cerco anche di ringraziare i miei genitori per avermi cresciuto, nonostante tutto.

Pensando a grandi autori del novecento come Yasujiro Ozu e Mikio Naruse, mi chiedevo se lei si sia ispirato anche a questi grandi autori dal punto di vista registico oltre che da quello contenutistico, e di conseguenza quale fosse il rapporto tra cinema dal vivo e cinema d’animazione, secondo lei.

Fino agli anni ’70 e ’80 le categorie e i generi erano molto marcati, per cui si parla di “B-Movie” piuttosto che di film di Kung-Fu, e allo stesso modo i cartoni erano catalogati come serie per bambini. Io credo che l’animazione in realtà sia solamente una modalità di espressione, non un genere; un mezzo attraverso il quale creare un’opera, proprio come il live-action. Le categorie e i generi, ma in generale tutti i confini, stanno diventando più labili. Ne abbiamo una riprova pensando a Cannes, dove fino a poco tempo fa la presenza di un film era una chiara espressione di una specifica categoria e genere. Adesso le cose stanno cambiando. Io ad esempio non sono stato invitato in quanto regista d’animazione, ma per le tematiche presenti nel mio film. Quando parlo con [Ryusuke] Hamaguchi o [Hirokazu] Kore’eda, miei coetanei, non sentiamo alcun divario tra di noi a causa del mezzo che utilizziamo per fare cinema. Per noi adesso è più importante cosa vogliamo esprimere e rappresentare, e in questo ci troviamo molto d’accordo.

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Siamo in un momento di grandissima esplosione di anime in occidente attraverso le piattaforme streaming, e la richiesta è aumentata in maniera considerevole. Secondo lei qual è l’attuale fotografia dell’industria degli anime in Giappone?

Anche nel campo dell’animazione credo che adesso, grazie all’utilizzo massiccio di queste piattaforme, le persone abbiano iniziato a scoprire il lato divertente dell’animazione. Anche grazie alla pandemia molti siamo rimasti chiusi in casa e hanno vuto modo di “assaggiare” anche altri nuovi generi finora a loro sconosciuti. Ci tengo a precisare che Belle è stato realizzato per il grande schermo, quindi da una parte mi dispiacerebbe se venisse visto tramite un computer o dei piccoli device. D’altro canto se parliamo di Netflix nello specifico, i diritti non rimangono più a coloro che creano l’opera. Noi diventiamo dei meri fornitori, e io credo che questo possa diventare un problema in futuro.

Tornando su una delle sue risposte precedenti. Spesso sulle piattaforme si stanno riproponendo titoli storici in formato live-action, tra cui mi viene in mente One Piece e Death Note. Cosa ne pensa lei di questo “abuso” di riproposizioni?

È molto difficile dare un’opinione, nel senso che questo è un campo in cui rientrano sia i gusti personali che l’effetto nostalgia. Posso dire, in quanto professionista, che alcune opere sono state realizzate in maniera carina ed altre no, ma sempre a titolo personale. Ad esempio io che sono stato colpito da La Bella e la Bestia della Disney ritengo che non ci fosse il bisogno di realizzarne un live-action.

La musica è uno dei punti cardini di Belle. È tramite questa che Suzu ritorna a credere in se stessa e a riavvicinarsi alla sua famiglia e a chi la circonda. Volevo chiederle se poteva parlarci della collaborazione con “The Millennium Parade” e del casting call globale per il “Lalala” che ha poi utilizzato in quella che è, forse, una delle scene più potenti dell’intero film.

Il canto è sicuramente un tema importante in Belle, ma non è l’unico. In fin dei conti è solamente un mezzo. Belle è innanzitutto la storia di Suzu, la quale trova se stessa e riesce a crescere proprio attraverso il canto. Questo punto è importante perché volevamo far sentire che attraverso il canto i nostri ragazzi possono sentire qualcosa riecheggiare in loro. Tutti, a causa della pandemia, abbiamo un po’ sofferto e ci siamo rifugiati nella realtà virtuale. Mi piacerebbe che attraverso Belle e attraverso il canto i ragazzi che si sentano oppressi da questa situazione possano liberarsi. Attraverso la collaborazione abbiamo chiesto di registrare questo pezzettino, che racchiude al suo interno tutti questi concetti e sentimenti che ci connettono tutti.


Belle è disponibile nelle sale italiane a partire dal 17 marzo. A questo link trovate l’elenco delle sale in cui sarà proiettato.

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Matteo Mellino

Matteo Mellino

Matteo Mellino, sul web Mr. Gozaemon. Tormenta continuamente amici e familiari parlando dell'argomento che più lo affascina e al quale dedica tutto il suo tempo libero: l'animazione giapponese. Più pigro di Spike, testardo quanto Naruto ma sempre positivo come Goku.

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