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Yara, la recensione del nuovo film Netflix

Dal 5 novembre è approdato su Netflix Yara, il nuovo film di Marco Tullio Giordana, prodotto da Taodue e distribuito dalla nota piattaforma streaming. Il lungometraggio ripercorre un noto caso di cronaca nera accaduto in Italia dieci anni fa: l’omicidio di Yara Gambirasio.

Seppure fino a questo momento erano stati dedicati diversi documentari all’accaduto, è la prima volta che se ne trae un vero e proprio film.

Yara

Com’era prevedibile, il titolo si è subito piazzato al primo posto nella classifica dei film più visti della piattaforma in Italia. Questo, ad ogni modo, non denota la qualità del prodotto, ma piuttosto conferma come, a distanza di ormai un decennio, la terribile vicenda scuota ancora gli animi di tutta Italia.

Chi è Marco Tullio Giordana?

Nato a Milano nel 1950, Marco Tullio Giordana è un regista e sceneggiatore italiano, vincitore di ben 4 David di Donatello: migliore sceneggiatura, miglior regia, miglior film ed un David Scuola.

Tra i suoi film più premiati ricordiamo:

  • I cento passi, 2000
  • La meglio gioventù, 2003
  • Romanzo di una strage, 2012

Yara Gambirasio: la tragedia che dieci anni fa divenne caso mediatico

Il 26 novembre 2010, a Brembate di Sopra, scompariva Yara Gambirasio, una ragazzina di tredici anni del bergamasco, ritrovata tre mesi dopo, morta in un campo di Chignolo d’Isola.

Il caso ricevette sin da subito una popolarità mediatica, non solo a causa della crudeltà dell’accaduto, ma anche per le dispendiose e lunghe indagini che vennero fatte per identificare l’assassino, Massimo Giuseppe Bossetti, mediante un lavoro di ricerca del DNA, che portò al campionamento di quasi tutti gli abitanti della zona.

L’impostazione del film

Il regista ha voluto concentrare l’attenzione su Letizia Ruggeri, la pubblico ministero che ha seguito le indagini, rendendola la vera protagonista di tutta la vicenda e dedicando uno spazio marginale alla piccola Yara.

L’idea di partenza, molto probabilmente, era quella di mostrare una donna forte, ma al contempo umana, fragile, con la paura di non rendere giustizia alla bambina e alla sua famiglia.

Questo, però, non è di certo un pregio per la pellicola, che evita costantemente un confronto diretto con la storia della vittima, ma preferisce girarci intorno.

A tal proposito, infatti, la sceneggiatura riguardante la pm Letizia Ruggeri sfocia in alcuni ed inutili cliché, come ad esempio l’inopportuno scambio di battute sui pregiudizi professionali legati al suo essere donna o, ancora, la lettura delle pagine del diario della vittima.

Isabella Ragonese nei panni di Letizia Ruggeri

Anche la recitazione di Isabella Ragonese, già dalle prime scene, non convince, così come poco convincente è anche l’adattamento del personaggio che deve interpretare, il quale, alla fine dei conti, risulta essere totalmente piatto e poco approfondito.

Una narrazione didascalica e superficiale

Il film inizia nel momento in cui viene ritrovato il cadavere di Yara, per poi fare un passo indietro di tre mesi e proseguire in maniera lineare, ripercorrendo la vicenda in ordine cronologico: la sparizione, le indagini, l’identificazione del DNA, l’arresto di Massimo Giuseppe Bossetti e, infine, il processo.

Yara Gambirasio in una scena del film

La pellicola non si dimostra all’altezza della cronaca nera che racconta, né sul piano registico né su quello recitativo, più adatti ad un target televisivo che cinematografico.

Tutta quella che è stata una complessa vicenda, ancora oggi piena di incongruenze e di ombre, viene narrata in modo superficiale e senza sentimento.

Il film, infatti, non rivisita né rielabora in alcun modo gli eventi, risultando, alla fine, quasi un vero e proprio riassunto degli stessi. Inoltre, nel racconto, vengono tralasciati alcuni importanti dettagli che resero il caso molto più macchinoso di quanto viene mostrato.

A rendere popolare la tragedia, nella realtà, oltre alla morbosità dei giornalisti, furono anche gli errori e le contraddizioni commesse dalla magistratura che, al contrario, qui appare quasi del tutto inattaccabile e colpevole solo di un primo arresto sbagliato ai danni di Mohamed Fikri.

La narrazione degli avvenimenti prosegue piatta, didascalica e scolastica: Giordana commette il grave errore di non riuscire a trasmettere emotività e drammaticità all’accaduto.

Genitori di Yara Gambirasio in una scena del film

In realtà un tentativo di voler entrare più nel profondo c’è: in alcune scene, il regista cerca di rappresentare una drammatica quotidianità della famiglia Gambirasio, dalla scomparsa della figlia, all’appello televisivo quando si credeva che questa fosse ancora viva, fino al ritrovamento del corpo. La scelta, purtroppo, finisce per risultare fuori luogo, lasciando lo spettatore più interdetto che effettivamente coinvolto. La causa, forse, è riconducibile alla scelta del cast, che nella maggior parte delle scene appare poco coinvolto e quasi estraneo alla tragedia.

Conclusione

Il film risulta, nel complesso, essere più un documentario mal recitato che un vero e proprio film, provocando una totale indifferenza nello spettatore, specialmente in quello che ricorda bene la vicenda seguita attraverso i telegiornali dieci anni fa.

Probabilmente tra qualche settimana, quando il prodotto scomparirà dalla Top 10 di Netflix, pian piano inizierà a dissolversi anche nella mente di coloro che lo hanno visto.

Sicuramente le aspettative erano ben più alte per un regista pluripremiato come Marco Tullio Giordana.

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Sara Maestri

Sara Maestri

Ciao, sono Sara! Laureata in Beni culturali e specializzanda in Cinema, televisione e produzione multimediale. Sono nata in Puglia, cresciuta nelle Marche e attualmente studio a Bologna. Dall'età di 4 anni, passo la maggior parte del mio tempo nelle sale cinematografiche.

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