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In One Punch Man non muore mai nessuno, e questo è un problema.

One Punch Man e il rovescio della medaglia

One Punch Man, nato come webcomic da One e poi riproposto con i disegni di Yusuke Murata, è sicuramente uno dei manga e degli anime più influenti dello scorso decennio. Proprio grazie alla riproposizione di Murata, One Punch Man ha trovato il grande successo che senza dubbio merita, rientrando di diritto tra i manga che hanno avuto più impatto nello scorso decennio.

One Punch Man si propone fin da subito come un’opera goliardica, che si prende gioco di tutti gli stereotipi e cliché presenti negli altri manga e dei loro protagonisti. In tutte le altre opere infatti la storia verte solitamente su un protagonista con un obiettivo ben preciso, pronto a tutto pur di raggiungerlo. Seguiremo il percorso del nostro eroe, solitamente nel suo viaggio che lo porterà a scoprire tutti i suoi poteri, la sua forza, a superare tutti gli ostacoli. Un viaggio di crescita, che ci farà empatizzare col protagonista e fare il tifo per lui.

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In One Punch Man non esiste nulla di tutto ciò. Il nostro protagonista Saitama infatti è l’opposto di quanto detto prima. Lui ha già fatto quel percorso e raggiunto il suo obiettivo: è ormai così forte da stendere tutti con un pugno. O una raffica di pugni semplici, se le cose vanno proprio male. E anziché seguire il percorso di crescita di Saitama, che appunto ha già tagliato il traguardo, osserveremo quello di tutti gli altri eroi e di tutti gli altri personaggi, che talvolta si paleseranno con storie addirittura più strambe di quella di Saitama (come King) o molto più coinvolgenti (per tanti è ormai Garou il vero fulcro della storia).

E la forza di One Punch Man è proprio questa, metterci al cospetto di tanti protagonisti e vederli crescere, a dispetto di una trama trita e ritrita (ammazza i mostri che sono sempre più forti). Ma per quanto l’opera sia tanto semplice quanto geniale,  manca di una cosa: nessun protagonista è mai morto. E questo è un grosso problema.

La morte come fattore sorpresa

In tanti anime, così come in tanti altri media, tra cui videogiochi, film e serie tv, vedere personaggi morire è una cosa ormai all’ordine del giorno. Questo perché, tendenzialmente, la morte è un fattore sorpresa, soprattutto se è congegnata bene. Basti pensare ad una serie come Game of Thrones, che ha fatto di questo la sua caratteristica principale. Rimanendo in ambito manga e anime, non possiamo non pensare a L’attacco dei giganti, che ci catapulta fin da subito in uno scenario dove è la morte a fare da padrona. E, sì, queste sono delle opere più impegnate, se così vogliamo dire, ma ci sono anche altri casi in cui questo tema è presente. Possiamo pensare a Full Metal Alchemist Brotherhood, in cui il viaggio di Edward e Alphonse Elric nascerà proprio da una morte, così come anche a Hunter x Hunter o One Piece. Forse non riguarderà personaggi principali, ma qualche compagno di viaggio che ci lascia c’è. 

Insomma, il tema della morte è ormai presentissimo, per non dire inflazionato e a volte usato anche a sproposito giusto perché fa figo. Questo però non vale per One Punch Man. Ma perché allora è così importante che ci sia un tema così cupo all’interno di un manga che è fatto appositamente per essere ironico e per prendersi gioco degli altri? 

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La morte come elemento di pericolo

Oltre al fattore sorpresa infatti, inserire alcuni personaggi che muoiono serve anche a dare un altro elemento molto importante all’opera, ovvero la sensazione di pericolo. Quando Eren, Mikasa e Armin combattono i giganti, abbiamo paura che possano rimanerci secchi, perché abbiamo visto altri loro compagni morire. Quando i fratelli Elric incontrano un nemico forte, rimaniamo col fiato sospeso perché la possibilità che non riescano a cavarsela è concreta.

Quando in One Punch Man vediamo un nuovo nemico e il nostro Saitama non c’è, ormai sappiamo che al massimo i nostri eroi torneranno a casa giusto con qualche livido e qualche benda dopo un paio d’ore all’ospedale. Prendiamo ad esempio Spatent Rider, che non ha alcun potere ed è un normale umano: dopo uno scontro con anche il più scarso dei mostri, dovremmo andare a fargli visita al cimitero. O Genos, che dovrebbe essere un cumulo di ingranaggi ormai. E invece no.

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In questo modo lo spettatore non prova alcuna sensazione di ansia, né di empatia, perché sa già in partenza che i suoi personaggi preferiti, in un modo o nell’altro, troveranno un modo per scamparla al periodo più grosso. Il fatto che ci mostrino talvolta civili e intere città spazzate via, non sempre basta, perché ci vengono presentate come “uno tra tanti”. Giri pagina e tu, lettore, hai già dimenticato tutto.

Tutto questo è forse anche aggravato dal fatto che il protagonista, Saitama, è praticamente invincibile. Pur trovandosi chissà dove, agli altri eroi basterà aspettare, prendere tempo e al massimo andare KO per un po’ per vedere sconfitto il pericolo tanto temuto. E se qualcosa del genere va bene per alcuni personaggi come King, che è basato proprio sul fatto di trovarsi al posto giusto al momento giusto, per tutti gli altri invece alla lunga porta a un certo disinteresse.

Probabilmente, per non dire sicuramente, tutto questa situazione è una cosa più che voluta proprio perché, come detto all’inizio, One Punch Man si fa beffa della serietà e della supponenza degli altri titoli. Ma ciò non toglie che un ritmo così scanzonato potrebbe, alla lunga, portare ad una lettura approssimativa e senza pathos dato che il lettore saprà già dall’inizio come andrà a finire uno scontro. Perché anche in un’opera del genere, o forse soprattutto in un’opera così, il senso di ansia e di preoccupazione per i propri personaggi favoriti, potrebbe essere l’incognita rimasta per elevarla a vero e proprio capolavoro. 

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Lorenzo De Padova

Lorenzo De Padova

Laureato in economia aziendale, appassionato di manga, anime, videogames e pop music e in generale di ciò che non è mai scontato e banale.

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