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Mafia, analisi del periodo e storia dei boss

Mafia, ovvero il collante tra la storia malavitosa e i videogames

Un uomo considerato “D’onore” n’è spesso privo completamente. Vivere nei sobborghi di una città ricca di opportunità comporta parte della propria crescita e di quello che ha in mente per il futuro.
Come mostrato nella storia e in parte dei film che raccontano una cornice malavitosa all’apparenza normale, quello su cui dobbiamo focalizzarci sono le conseguenze che spingono un uomo verso le braccia della criminalità organizzata, soprattutto in un periodo difficoltoso nell’America degli anni ’30.
Dal crollo della borsa di Wall Street, che comportò grosse problematiche al sistema manifatturiero americano (e non solo) alla conseguente fine della Seconda Guerra Mondiale e al ritorno di alcuni ragazzi dai due fronti caldi che videro il mondo dare il peggio di se stesso.
Le storie raccontate in Mafia di 2K e Hangar 13, dal primo titolo di vent’anni fa di cui è stato da poco annunciato il remake in uscita il 28 Agosto, si interfacciano completamente in quest’ottica e propongono un lato umano in conflitto con se stesso a causa della povertà e della privazione, dell’arroganza e del desiderio di potere che scaturisce come rivalsa personale.
In particolare l’ultimo è quello più ricercato da chi inizia a svolgere dei lavori umanamente inqualificabili per una famiglia e cerca di aprirsi la strada attraverso delle azioni assolutamente disumane. Non si tratta solo del pizzo, che è richiesta quando un uomo disperato cerca protezione da altri malavitosi perché non perda la propria attività o per continuare a lavorare senza intoppi.

Iniziò ad essere una soluzione di guadagno come il contrabbando di alcool e armi, la vendita di sostanze stupefacenti e la partecipazione aggressiva ad appalti per accaparrarsi quartieri e pezzi di una città. A tal proposito, i metodi utilizzati in larga parte furono la corruzione e le minacce, i ricatti e gli omicidi. Capirete dunque che non c’è nulla di onorevole in questo mondo di mezzo, celato da ombre e morti che sono sepolti perché sanno troppo, o perché si sono redenti.

Prima di procedere con l’approfondimento, è fondamentale fare una precisazione: degli emigrati italiani che giunsero negli Stati Uniti in pochi scelsero di seguire questa strada conosciuta già in patria. Chi la scelse lo fece per disperazione, ma non è una giustificazione per quello che n’è conseguito, la disgregazione di vite umane e dell’intera società americana, prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Vito Scaletta, protagonista di Mafia II, venne arrestato per aver rubato dell’oro da una gioielleria della fittizia Empire Bay. Costretto poi ad arruolarsi nell’esercito americano per combattere i nazifascisti, è scelto come interprete per parlare con gli italiani subito dopo lo sbarco in Sicilia.
Il fatto che sia stato costretto a rubare spiega il dramma delle conseguenze degli anni ’30 negli Stati Uniti a causa del crollo della Borsa di Wall Street. A essere, poi, concentrato largamente in lui e nella sua caratterizzazione, è il ritorno in Sicilia e le parole di un boss che disarmano i fascisti più delle armi statunitensi.
Molti dei boss e dei loro lacchè approfittarono di questo momento per incastrarsi in giochi di potere, appalti e conseguentemente crebbero a tal punto da divenire degli statisti della criminalità organizzata. Subito dopo il ’46, con l’avvento di nuovi boss della famiglia Genovese, cambiò Cosa Nostra negli Stati Uniti.

Mafia trilogy

Vito Scaletta ricorda Lucky Luciano…

Se Vito Scaletta giunge negli Stati Uniti nel ’32, poco dopo il crollo della borsa di Wall Street, Lucky Luciano, personaggio realmente esistito e boss della famiglia Genovese ancora in attività, è agli albori della sua attività nella criminalità organizzata che opera a New York e diventa il boss della famiglia Genovese.
Cresce ai limiti del quartiere ebraico, dove, a scuola, minaccia e ricatta i suoi compagni di scuola assicurandosi un penny al giorno per dare loro protezione con alcuni amici che poi entreranno a fare parte della criminalità organizzata e in differenti famiglie dell’epoca ancora in auge.
Riuscendo poi a scampare al primo conflitto mondiale, subito dopo la guerra, riesce ad approfittare del Proibizionismo assicurandosi una larga somma di denaro entrando nelle grazie della famiglia Genovese, all’epoca sotto il controllo del boss mafioso Giuseppe “Joe” Masseria. Assicurandosi con difficoltà la stima del boss siciliano a causa dei mezzi disonorevoli che utilizza come la tratta della prostituzione, riesce a farsi largo anche nel traffico di eroina di cui è consumatore e spacciatore.
Prendendo parte, a seguito della sua astuzia per il traffico di droga e di alcolici, partecipò all’assassinio di Umberto Valenti, che preparava nel frattempo un attentato ai danni di Joe Masseria.

Nel ’29 diventa braccio destra di Joe e si siede, come riconosciuto dai giornalisti del New York Times, al piano per lo spaccio di droga e alcolici e a forgiare un vero e proprio sindacato del crimine con le organizzazioni bielorusse ed ebraiche che si stavano allargando in ogni parte della città, soprattutto nei palazzi della politica. Sempre nel ’29, a causa di qualche offesa, viene rapito da alcuni uomini non identificati incaricati di ucciderlo, ma riesce a farcela.
Da quel momento in avanti, Charles Luciano viene chiamato “Lucky”, nonostante la gola squarciata e una parte del volto completamente sfregiata. Avrebbe potuto denunciare i suoi aggressori e farli arrestare, ma si rifiutò: decise di non tradire il patto di omertà.
Riprendendosi dall’aggressione, scoppia la guerra castallamarese tra la famiglia Genovese e quella Maranzano. Oltre a danneggiare enormemente gli affari illeciti delle due famiglie, secondo Lucky era una perdita di tempo che portava morte sulle strade cittadine e dava fin troppo nell’occhio. Decise, per evitare la guerra, di uccidere Joe Masseria. Aiutato da Vito Genovese, detto Vitone, lo fecero “Dormire coi pesci” aggredendolo mentre era al gabinetto.

Ora che Joe Masseria venne tolto di mezzo, Lucky e Vitone cercarono la pace con Maranzano, il quale gliela concesse in cambio di essere riconosciuto come il “Capo dei capi” da Cosa Nostra. Maranzano però, sentendosi minacciato, provò ad assassinare entrambi poco tempo dopo, ma riuscirono ad evitarlo e a ucciderlo diventando la prima famiglia di New York.
Secondo alcuni storici, seppure non sia effettivamente documentato, Lucky Luciano fece assassinare da una parte all’altra degli Stati Uniti: un tema alquanto dibattuto negli Stati Uniti, siccome le famiglie miravano a colpire alla testa di un’organizzazione più che ai componenti che potevano poi considerarsi alleati preziosi.

In concomitanza, Lucky Luciano scelse di collaborare con altrettante famiglie e rinunciò al titolo di “Capo dei Capi” per non rischiare una guerra che avrebbe perso con Al Capone, che dominava su Miami. Scelse di allearsi con lui e continuare a preservare la famiglia e i suoi interessi, dando anche valore e autorità a famiglie ebree, calabresi e napoletane per riuscire a coesistere nel sistema e nel “Sindacato del crimine”.

La sua caduta, che lo vide fuggire da una parte all’altra e a cambiare numerose volte luoghi come qualsiasi altro boss, lo portarono in poco tempo a scappare dopo un’accusa di omicidio. In quel periodo, a capo della famiglia arrivò Frank Costello, amico di Luciano e suo collaboratore, considerato “Ministro della malavita” dai giornalisti del New York Times.

Vito Scaletta

Lo sbarco degli Alleati…

A unire Vito Scaletta e Lucky Luciano a questo preludio storico sono le loro origini e le ambizioni che rincorrono in ogni modo. Entrambi, come altri mafiosi, sono nati in Italia e sono poi emigrati negli Stati Uniti vivendo da reietti in una società che li considerava di “Troppo”, non bianchi e inutili.
Nessun italiano giunto negli Stati Uniti riusciva ad avere un posto di lavoro migliore e lontano dalla fatica, se non in rare eccezioni per coloro che entravano nell’esercito statunitense.

Il padre di Vito fu uno scaricatore di porto, uno che prendeva pochi spiccioli e portava a fatica soldi a casa. Fu lo stesso per Lucky Luciano, Vito Genovese (il nome “Genovese” della famiglia Genovese lo si deve a lui) e tanti altri come Al Capone e Frank Costello, i quali vissero nella povertà per poi arrivare a fare soldi col Proibizionismo e l’epoca di tumulto subito dopo il crollo della Borsa di Wall Street.

Lucky Luciano ebbe, poco tempo dopo, un’offerta che “Non poteva rifiutare dall’esercito statunitense” che si preparava a sbarcare in Sicilia con gli Alleati. Sebbene da molti sia considerato un mito, si racconta che Lucky Luciano entrò a far parte dell’esercito degli Stati Uniti per mettersi in contatto con alcuni boss locali e figure di spicco della criminalità organizzata siciliana per aiutare lo sbarco degli Alleati in Sicilia e liberare il Sud Italia.
Grazie alla collaborazione con la Marina degli Stati Uniti, a Lucky Luciano, secondo Vito Genovese, venne permesso di stabilirsi in Italia in cui ebbe visite illustri da alcuni boss locali.

A Vito Scaletta, che torna in Sicilia come soldato dell’esercito degli Stati Uniti a causa del furto in una gioielleria, si presenta una scena che non dimenticherà mai: un boss che disarma i fascisti con le parole a bordo di uno Sherman dopo averne fatte fuori una moltitudine con un Garand M1 e la mitragliatrice Thompson.

Sembra quasi una storia incredibile, ma è il prologo di Mafia II ed è ciò che cambierà completamente Vito durante il Dopoguerra e quello che compirà, facendo tesoro di quanto ha vissuto in guerra, dell’addestramento e dell’arguzia che imparerà durante la sua scalata al potere.
Non per niente, Empire Bay unisce tre filosofie di città realmente esistenti: Miami e Detroid proponendo vicoli che ricordano New York. Miami è corrotta, Detroid è la città dei motori e della Ford e New York è dove i grattacieli celano completamente le ambizioni di ogni uomo. Insomma, Empire Bay unisce gameplay, dinamiche di guida e narrazione in Mafia II come suo unico prodotto che racconta gli albori della criminalità organizzata subito dopo la Seconda Guerra Mondiale.

ambientazione Mafia

Mafia e il suo remake tanto atteso…

Nel primo Mafia uscito nel 2002 si impersona la figura di Tommy Angelo nella città fittizia di Lost Heaven, ispirata a New York e Chicago. Un normalissimo tassista che si ritrova in mezzo a una sparatoria tra due famiglie e che racconterà il suo vissuto e la sua crescita al detective Norman nel 1938. Salvando la vita a Salieri, diventa in automatico un uomo utile alla famiglia e il suo cammino nella criminalità organizzata non sarà che un successo fino al suo naturale declino.

Dando uno sguardo al teaser del remake atteso per il prossimo 28 Agosto, quel che ha catturato è la cura particellare nella grafica del titolo per raccontare una nuova storia che i più affezionati ricordano con piacere e che si approccerà anche ai videogiocatori che non hanno mai avuto l’occasione di provare il primo capitolo della serie. Di sicuro, attendiamo fiduciosi per provarlo non appena ne avremo l’occasione e darvi il nostro parere a riguardo.
Tornare a vestire i panni di Tommy Angelo, che nel teaser è mostrato con un lungo cappotto nero in attesa di entrare in una macchina tipica degli anni ’30, racconta esattamente quale sarà l’espressione narrativa che troveremo una volta all’interno del titolo.

Mafia Remake

Mafia 3 e la sua occasione sprecata…

La mafia non appartiene a un popolo, a un’etnia o a chi è privato di tutto. Chi decide di entrare in una famiglia, come raccontato in Mafia II, è vittima di una società che lo vede come una minaccia all’ordine pubblico.

Lincoln, nato da padre italiano e da madre haitiana, è ciò che la società odia per antonomasia nonostante il suo sacrificio durante la guerra del Vietnam e per aver perso anni preziosi della sua esistenza. Cresciuto in un orfanotrofio, il ragazzo vive un conflitto interno e ricerca la sicurezza laddove altri come Vito Scaletta l’hanno trovata per risollevarsi dalla povertà.

La narrazione, in Mafia III, è similare a quella di Mafia II soprattutto in quella del personaggio. Oltre a un gameplay poco ispirato e già visto in altre produzioni videoludiche, il problema è nel comparto di scrittura che, nei precedenti capitoli, fu funzionale alla narrazione. Raccontare la Mafia Nera, i suoi drammi e la sua motivazione sarebbe potuta essere meglio sfruttata per raccontare il dilemma di un’intera generazione e dei pregiudizi dei bianchi nei confronti dei neri.

Quel che lega ogni personaggio alla realtà è la storia, dal Proibizionismo a ciò che accadde subito dopo la Guerra del Vietnam. Quel che lega i boss realmente esistiti come Al Capone o Lucky Luciano a Vito Scaletta è la privazione, lo smarrimento, il disinteressamento di una società che colpisce ingiustificata, sebbene il comportamento della malavita sia da condannare aspramente.

L’insegnamento che possiamo trarre da un videogioco simile si lega alla cinematografia e alle notizie, agli arresti e al racconto dello spaccato di un mondo che anche qui, in Italia, ha mietuto vittime. Non si tratta di una morale estrema, ma di una giustizia sociale e di credibilità umana che denuncia l’affarismo dettato dalla privazione nei confronti della libertà.
Se in produzioni cinematografiche come Scarface o Il Padrino vediamo il racconto di Cosa Nostra negli Stati Uniti, in “La Mafia uccide solo d’estate” di Pif notiamo quanto, ancora oggi, sia radicata all’interno della nostra società, ancora non sconfitta, ancora non totalmente distrutta.
In tal senso, “La Mafia uccide solo d’estate” ricorda il periodo storico che vide le stragi di mafia, a Palermo, divenire la normalità contro coloro che denunciavano i soprusi e le privazioni.

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