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Alan Wake compie 10 anni, ecco il nostro omaggio a Remedy Entertainment

Remedy è pronta a festeggiare Alan Wake e noi siamo pronti a festeggiare Remedy

In occasione del decimo anniversario dall’uscita di Alan Wake, Remedy proporrà una settimana di livestreams dedicati allo scrittore tormentato più iconico della storia dei videogiochi. Noi di Dr Commodore abbiamo deciso di omaggiare la software-house finlandese con un excursus dalle origini all’attualità, ora che rappresenta un punto di riferimento nell’ambito dello storytelling videoludico.

Remedy Entertainment venne fondata da alcuni membri di Future Crew, collettivo impegnato nella produzione di demo grafiche per PC, il 18 Agosto del 1995. Come tutte le storie di grandi aziende del settore tecnologico, anche questa ha inizio – in barba ai cliché – all’interno di un garage.  Nello specifico, in quello dei genitori di Samuli Syvähuoko, tuttora importante imprenditore del settore videoludico finlandese.

Per aggiungere stereotipi alla faccenda, va detto che il primo esperimento sviluppato da quel manico di ragazzotti di belle speranze è, come spesso accade ai giovani team di sviluppo, un racing game denominato nelle prime fasi “Hispeed”; già in questo momento si segnala la prima chiave di volta nelle vicende che ruotano attorno a Remedy, il primo colpo di scena che segnerà la storia della software house in maniera positiva: il progetto viene prodotto da Scott Miller e dalla sua Apologee Software, la stessa azienda che sarebbe stata riconosciuta in futuro come 3D Realms.

Miller è illuminante per la neonata compagnia sullo sviluppo del proprio titolo d’esordio, il quale uscirà nei negozi nel 1996 sotto il nome di Death Rally. Il progetto più importante dei primi anni di vita della software house arriverà di lì a poco, sempre grazie alle preziose consulenze fornite dal produttore nato in Florida.

Il concept originale si riferisce ad uno shooter isometrico conosciuto come “Dark Justice”. Miller, deciso a finanziare il titolo, pone tre condizioni essenziali affinché ciò avvenga: che la vicenda ruoti attorno alla figura di un protagonista carismatico come il suo Duke Nukem, che giri in grafica in 3D con visuale in terza persona e, soprattutto, che cambi necessariamente nome.

Mantenere “Dark Justice” avrebbe dato connotati troppo maturi all’esperienza per la comune percezione degli utenti, allora mediamente molto giovani, mentre il punto su cui insisteva Miller tendeva alla ricerca di un titolo immediato, riferibile direttamente al protagonista e che ne rispecchiasse i connotati “badass” alla base della personalità. Il tutto si risolse nel nome più coatto che potesse elaborare mente umana: Max Payne.

Si tratta di un grande paradosso se pensiamo a quanto quest’ultimo risultasse fuorviante. Il gioco si rivelò uno dei prodotti più eleganti, ricercati e dirompenti della scena videoludica dell’epoca: in primo luogo, per il sodalizio venutosi a creare con Sam Lake, il quale curò la sceneggiatura di tutti i titoli Remedy d’alto profilo da allora in poi – cedendo anche il proprio volto al glaciale protagonista. L’autore riuscì a congegnare un’ottima storia di vendetta che veniva raccontata tramite cutscenes a mo’ di fumetto. La gelida New York innevata ed i monologhi taglienti del protagonista lo rendevano il noir videoludico perfetto.

Ciò che però rende tutt’ora Max Payne tanto speciale è una particolare meccanica del suo gameplay. Il Lead Game Designer Petri Järvilehto voleva sviluppare combattimenti con armi da fuoco spettacolari, con manovre da stunt al ralenti, come a richiamare i marchi di fabbrica della cinematografia Crime di matrice orientale. Il risultato fu qualcosa che condizionò l’intera produzione futura nell’ambito dei TPS: il Bullet Time.

Max Payne

Per questi motivi Max Payne, edito nel 2001, diventa un cult, un enorme successo di critica e pubblico, riuscendo a piazzare più di 7 milioni di copie sul mercato PC. Per la conversione su console, Apologee si affida a Rockstar Game che ne rimane talmente impressionata da convincere la casa madre Take-Two Interactive a sborsare 10 milioni di dollari per l’acquisto della proprietà intellettuale sul brand, riuscendo a strappare nei termini dell’accordo anche la produzione di un seguito ad opera di Remedy. Con alle spalle uno script di 600 pagine di Sam Lake, Max Payne 2: The Fall of Max Payne esce nell’ottobre del 2003 e si rivela il più classico e vincente dei “more of the same”.

Dopo diversi anni di sviluppo sulla serie, Remedy sperimenta le possibili strade per il futuro, ed è in tale ottica che la compagnia e Sam Lake restano affascinati dall’universo orrorifico ed onirico delle produzioni transmediali di Stephen King e David Lynch, facendone la base per il titolo successivo.

Il contratto di esclusività con Microsoft dà vita al festeggiato di turno. Il 14 maggio 2010 viene infatti pubblicato su Xbox 360 Alan Wake, per poi essere portato su PC due anni dopo. Il titolo riceve recensioni per lo più positive al lancio, rivelando come tallone d’Achille la ripetitività di fondo dell’esperienza ed un gameplay abbastanza legnoso. Anche tra i giocatori l’accoglienza registrata resta tiepida, con meno di 3,5 milioni di copie vendute.

Eppure Alan Wake riesce ad affascinare tutti i giocatori che ne entrino in contatto per un motivo, la sua impeccabile ed originale narrativa. La trama di base del titolo risulta piuttosto lineare – nonostante la sua esplicabilità sfuggente in alcuni aspetti, volutamente montata per essere gettata in pasto a speculazioni e teorie degli utenti – ciò che la eleva ed impreziosisce è il modo in cui essa viene a dispiegarsi agli occhi dei videogiocatori: un manoscritto che funge anche da collezionabile ci racconta in ordine sparso quello che succederà nel corso dell’avventura. Un lavoro sapiente che senza lo studio, l’accortezza e la sensibilità necessari sarebbe potuto facilmente scadere in qualcosa di poco interessante o di addirittura nocivo per la produzione. Lo stile di scrittura, invece, rende la ricerca di queste “profezie” del futuro prossimo del protagonista un motivo per proseguire la storia, essendo decontestualizzate al punto giusto da generare una genuina curiosità e degli spunti di gameplay interessanti, mai anticlimatiche.

Viste le vendite esigue, Remedy non riesce mai a proporre un sequel degno di questo nome per il titolo, visto che Microsoft considera il primo capitolo un fallimento commerciale. Ciò che riesce ad andare più vicino a quella definizione è American Nightmare, un’espansione standalone che racconta una sorta di spin-off ambientato nella serie fittizia di Night Springs. Si tratta di un’operazione prettamente commerciale che purtroppo fatica a cogliere nel segno, trasformando un’avventura dinamica in un vero e proprio TPS.

Un’altra delle iconiche caratteristiche del brand è la capacità di fondere, specie attraverso la succitata Night Springs, video con attori reali e fasi in-game. Affascinata dalla commistione e fiduciosa nel talento di Remedy, Microsoft pose le basi per lo sviluppo di una nuova IP che si fondasse proprio su queste premesse. Si trattava dell’alba di Quantum Break.

Il gioco, pubblicato nel 2016 su Xbox One e PC, godeva di uno spettacolare nuovo engine proprietario, il Northlight, e vantava la collaborazione con attori del calibro di Shawn Ashmore, Dominic Monaghan, Aidan Gillen e Courtney Hope; tuttavia, nonostante l’enorme successo commerciale del titolo, esso presentava limiti piuttosto evidenti legati soprattutto alla sperimentazione. Per sua struttura, Quantum Break proponeva due fasi ben distinte: una riservata al gameplay ed una relativa ad una serie TV “interattiva”, il cui corso mutava a seconda delle scelte prese dal giocatore durante le fasi “pad alla mano”.

Sì, parliamo di fasi in cui si utilizzava il gamepad proprio perché la serie, per sua definizione un tipo d’intrattenimento passivo, costringeva gli utenti a fasi di 25-30 minuti di sola osservazione. Se a ciò aggiungiamo che la qualità della serie in sé fosse altalenante, che si focalizzasse più sui personaggi di contorno che sul protagonista Jack Joyce, e che la durata dell’avventura – serie esclusa – si attestasse su di una manciata di ore, ecco spiegata la delusione di molti fan della casa di sviluppo finlandese nei confronti della produzione.

Il rilancio di Remedy passa dalla separazione da Microsoft alla fine dei lavori su Quantum Break. Il nuovo progetto, nome in codice P7, prometteva un ritorno ai vecchi fasti ed una maggiore libertà creativa da parte del team di sviluppo. Il cast selezionato da Sam Lake, diventato nel frattempo Creative Director del team, doveva essere una sorta di Remedy All-Stars, vantando la partecipazione della succitata Courtney Hope – Beth Wilder in Quantum Break – Mattew Porretta – voce di Alan Wake – e James McCaffrey – voce di Max Payne.

Il risultato finale ha portato su PlayStation 4, Xbox One e Pc Control, nell’agosto del 2019. L’avventura di Jessie Faden all’interno della Oldest House, sede del Federal Bureau of Control, è una delle più brillanti ed ispirate della corrente generazione. Dal gunplay vario e divertente grazie all’utilizzo dei poteri telecinetici ad una distruttibilità ambientale invidiabile; dal level design intricato e verticale a sezioni memorabili come quella del Labirinto del Posacenere; dall’estetica basata sui contrasti, sul bianco, sul nero e sul rosso penetrante a dialoghi onirici e surrealisti. Control è una visione, ma senza aver assunto sostanze nocive, un viaggio nella mente dei suoi autori.

Il ciclo vitale dell’ultima fatica di Remedy non è ancora arrivato al termine e, nel bel mezzo dell’estate, arriverà il dlc AWE Altered World Event citato insistentemente da mesi come la possibilità di riportare su schermo, al di là delle mere citazioni, proprio il personaggio di Alan Wake, i cui diritti di pubblicazione sono stati riacquisiti nel corso del 2019.

È di poche settimane fa, infine, la notizia dell’accordo tra Remedy ed Epic Games che porterà alla pubblicazione di due titoli di uno stesso, imprecisato, franchise. Uno dei quali dovrebbe riguardare persino un Game As A Service, il quale sarà sviluppato da un gruppo interno all’azienda finlandese denominato Vanguard. Che possa trattarsi della spinta finale verso la creazione di un Remedy Extended Universe, un contenitore in cui poter interagire con tutti i personaggi creati da Sam Lake e soci? Si tratta di un’eventualità vagliata dal team ma di difficile realizzazione: i diritti di pubblicazione relativi a Max Payne sono rimasti nelle mani di Rockstar che, sotto la supervisione di Sam Lake, ne ha anche sviluppato l’ultima iterazione, il terzo capitolo del 2012; come pure quelli di Quantum Break restano detenuti da Microsoft.  Non ci resta che aspettare ed attendere la prossima storia in cui i ragazzi finlandesi saranno capaci di trasportarci, sia essa ambientata in una New York gelida come un freezer, nell’oscurità nero pece, ai margini del tempo stesso, in dimensioni alternative o in qualsiasi altra parte del loro brillante universo creativo.

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Angelo Basilicata

Angelo Basilicata

Gamer dall'età di 12 anni, cultore (o meglio "cultista") di Hidetaka Miyazaki dal 2009. vive la passione per i Vg da completista ed è un ragazzo semplice: mangia, gioca, ama

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