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Shonen per Adulti – Lo Spacciamanga #2

Ma gli shonen sono solo per ragazzi?

Shonen. Una parola apparentemente innocua, che tuttavia in Occidente ha assunto dei connotati quasi divini. Nel suo paese di provenienza, il Giappone, viene utilizzata nel suo significato originale (quello di ragazzo) e per indicare un determinato target di fumetti indirizzato principalmente ai maschi adolescenti. Aldilà dei suoi confini d’appartenenza, però, si è trasformata in un’etichetta affibbiata ad opere poco mature e dalle tematiche semplici.
Per questo One-Punch Man, pubblicato su una rivista web seinen, viene piuttosto definito come shonen, e un manga della rivista per ragazzi per eccellenza come Death Note è invece preso per un seinen. Le tematiche non sono però il metro di giudizio con cui determinare un target; piuttosto, bisogna considerare come vengono trattate.

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One-Punch Man per esempio è un fumetto di combattimento apparentemente molto basilare, ma nasconde nei suoi personaggi l’intento di ragionare sul genere d’appartenenza. La serie di ONE gioca col battle, ne ridicolizza certi aspetti e pone i riflettori anche su determinati ruoli, come quello del personaggio super secondario. Per quanto sia fruibile anche per gli adolescenti, è l’adulto che ha già letto tonnellate di battle manga a percepirne maggiormente l’intento.

Death Note, invece, usa delle battaglie psicologiche per riferirsi ai ragazzi, e le riflessioni che porta avanti non scendono poi così tanto in profondità. Sono al livello giusto per essere apprezzate anche da un adulto, ma si percepisce come non siano state pensate per quel pubblico.

Lo shonen non è solo azione e combattimenti: può essere romanzo di formazione, commedia romantica, fantascienza, sportivo, può persino parlare di vita e di morte.
Ovviamente, nella maggior parte dei casi sono opere dirette ad un pubblico adolescenziale, ma questo non esclude che ce ne siano tanti altri in cui invece un adulto può godere di una storia matura e stimolante anche per lui. Credete che tutti i seinen presentino tematiche adulte e toni profondi? E K-on che è?

Di seguito, consiglierò tre shonen che sono ampiamente apprezzabili anche per chi ha superato da anni la pubertà.

La Saga della Sirena

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Rumiko Takahashi ha scritto il suo nome nella storia dei manga a colpi di lunghe serializzazioni per ragazzi, tra cui Inuyasha, Ranma ½ e Lamù. Serie più corte, come Maison Ikkoku, hanno però dimostrato come l’autrice sia capace di realizzare anche storie più profonde. La Saga delle Sirene, divisa in tre volumi, mette al centro della narrazione un’antica leggenda secondo la quale mangiando carne di sirena si potrebbe ottenere la vita eterna.

Tutte le vicende raccontate girano quindi attorno a Yuta, un pescatore divenuto immortale che tuttavia vorrebbe poter invecchiare e morire come ogni altra persona. I tre tankobon spaziano tra i cinquecento anni della sua vita, descrivendo con una forte malinconia come ogni essere vivente senta il bisogno di sopravvivere. Usando la dualità che ha sempre caratterizzato la figura mitica della sirena, la Takahashi abbatte i confini tra bene e male e mostra la realtà delle cose: così come questi esseri metà donna metà pesce sopravvivono nutrendosi di umani, anche noi sfruttiamo altre specie per lo stesso motivo. Compiamo delle scelte che per noi sono positive, ma è solo un punto di vista.

In un manga disegnato da un maiale, difficilmente l’umanità potrà ricoprire un ruolo diverso da quello del cattivo; è una questione di prospettiva, di capire e accettare quelle cose che spesso siamo tenuti a fare per rimanere in vita.
La saga della Sirena riflette sulla fragilità dell’uomo, su quegli elementi che lo compongono e lo rendono tale, e in questo senso sfrutta le caratteristiche del fantastico per definire uno Yuta che si sposta nel tempo, stringe legami e prosegue il suo cammino.

Be Blues – Ao ni nare

Qui diciamo che faccio un piccolo imbroglio. Nel paese del Sol Levante, ogni disciplina sportiva viene filtrata attraverso una particolare visione che gli attribuisce forti valori morali. Tutti i concetti di base, come il lavoro di squadra o il superamento dei limiti, vengono enfatizzati per arrivare dritti al cuore del lettore e rievocare in lui le stesse situazioni. Un buon numero di spokon può parlare anche agli adulti, e in questo caso mi sembra di vincere un po’ facile. Nonostante i 36 volumi all’attivo, però, Be Blues non è così conosciuto al di fuori del Giappone. Ed è un peccato perché, assieme a Giant Killing, è uno dei manga calcistici (forse) più interessanti  di sempre.

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Ryo Ichijou sogna di giocare nella nazionale di calcio Giapponese e le sue abilità, a detta di tutti, potrebbero diventare abbastanza elevate da permetterglielo. Un terribile incidente, però, lo costringe a due anni di riabilitazione e a mettere in discussione le sue ambizioni.
E immagino che dopo aver pensato “ecco, l’ennesimo Captain Tsubasa” avete piuttosto esclamato “ma che cazzo?“, sentendovi anche un po’ in colpa. In verità, Be Blues non è il primo fumetto calcistico a sfruttare un incipit del genere. Area no Kishi, per esempio, partiva in maniera simile. La differenza sta nel fatto che la serie di Motoyuki Tanaka usa l’elemento drammatico per imbastire una storia di crescita matura e basata sulla particolare forza narrativa della rivalsa sportiva.

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L’autore comincia a raccontarci la storia di Ryo sin dalla sua infanzia, ci mostra le speranze mentre vengono distrutte e ci lancia nell’abisso assieme al protagonista. La vita reale è piena di queste storie; tante non vanno a finire bene, per cui raccontarne una che invece vuole essere positiva è un’operazione delicata. E’ difficile non mandare a quell’indirizzo la sospensione dell’incredulità se, come nell’altro titolo citato poco fa, il protagonista diventa bravissimo a calcio perché ha il cuore del fratello fuoriclasse deceduto.

Per questo Ryo passa attraverso una riabilitazione straziante tanto per lui quanto per le persone che ha attorno. Per questo il suo sogno gli sembra davvero andato via per sempre. E per questo andare avanti rimane sempre difficile. Ritorna a giocare, ma le sue capacità non sono più le stesse. Non riesce a fare i movimenti che faceva alle elementari, non ha bene il controllo della palla, e così via.
Rimane difficile. Se però non può più segnare tutti i gol che faceva prima, magari può fare da torre per i suoi compagni. Magari può utilizzare altre tattiche, giocare in modo diverso. Perché ok, rimane difficile, ma è il suo sogno. E’ quella cosa che ogni giorno, al risveglio, gli faceva pensare di essere felice.

E insomma, mostrare questa cosa in uno shonen, senza scendere nella banalità del “tutti possono farcela” ma con tutto il dolore e le lacrime che ne derivano, serve come il pane. Sono in primis gli adolescenti ad aver bisogno di capire l’importanza dell’impegno e di comprendere come uscire da soli da una situazione negativa.

Aku no Hana

Chiudere con quello che è il simbolo di questo discorso mi sembra quantomeno adeguato.
Aku no Hana si presenta come la storia di formazione di Takao Kasuga, il classico studente delle medie che si sente superiore agli altri perché legge Baudelaire senza capirlo. La sua routine, fatta di citazioni e timide occhiate alla bellissima Saeki, viene però interrotta quando gli ormoni lo spingono a rubare il costume della sua musa e viene beccato dalla compagna di classe più strana, Sawa Nakamura. I due intrecciano rapidamente un rapporto morboso, nella convinzione di essere legati da una diversità che non appartiene a nessun altro abitante del paesino in cui vivono.

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Su questo discorso la serie decide di articolare un un percorso travagliato, in cui la repulsione per tutto ciò che è normale ed ordinario si trasforma in fuga da sé stessi e dalle proprie responsabilità.
Takao cerca di darsi un tono con le sue letture e prova un’attrazione naturale per le stranezze di Sawa, ma il loro modo di vedere il mondo non è lo stesso. Il ragazzo è animato dalla paura di finire a condurre un’esistenza vuota e ripetitiva, mentre Nakamura ha problemi ben più profondi.

Tutti passiamo un periodo in cui ci sentiamo diversi o incompresi da chi ci sta attorno. E’ la naturale progressione dell’adolescenza, che ci porta gradualmente a crescere e ad accettare le imperfezioni della società. Spesso, però, il contrasto tra l’innocenza dell’infanzia e le prime verità della crescita si rivela troppo forte per determinati individui. Takao difatti pensa già di sapere tutto, di essere avanti rispetto ai suoi compagni di classe, ma in verità è proprio il più ingenuo. Cerca di diversificarsi perché in fondo vuole avere anche lui un ruolo all’interno della società.

Diversamente da Sawa, che anche volendo non potrebbe mai integrarsi, Kasuga appartiene per davvero al mondo. Scappa da sé stesso per non ammetterlo, per non vedersi nello stesso modo in cui vede gli altri, ma la verità è che vorrebbe solo sentirsi capito.  La felicità, tuttavia, dipende da noi. Dalle scelte che facciamo, dalle persone a cui diamo importanza.
E anche questo, in uno shonen, è un concetto da tenere stretto.

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