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Evangelion su Netflix, il nuovo adattamento italiano è un’occasione sprecata

Ci abbiamo dormito sopra.

Dopo una sfiancante maratona di oltre 12 ore su Netflix di Neon Genesis Evangelion (serie TV di 26 episodi + 2 film cinematografici, Death(true)² e The End of Evangelion) ci abbiamo dormito su, e al risveglio ci siamo fatti due caffé, forti.

Eravamo pronti all’ineluttabile Evapocalypse successiva a Evaflix, della portata di un Impact, già da quando a novembre per primi abbiamo ipotizzato che sarebbe stato Gualtiero Cannarsi ad adattare questa storica e imprescindibile serie mecha che vira verso l’introspezione psicologica.

Ieri i nostri timori sono stati confermati: Cannarsi ha curato i dialoghi italiani di Evangelion, apponendo la sua riconoscibilissima cifra stilistica rintracciabile in tutti i film Ghibli usciti per Lucky Red e che si poteva notare già dal primo storico adattamento di Eva da lui curato, sebbene all’epoca non avesse derive così estreme. Il risultato, a mio avviso discutibilissimo, è un tripudio di frasi sintatticamente sconnesse, di “E infatti” a inizio frase e di “Eh” a fine battuta, di “Angeli” che diventano “apostoli” in barba alla logica, e così via…

Tutto questo in nome di una supposta fedeltà all’originale il cui esito consiste nella semplificazione, banalizzazione, decontestualizzazione e distorsione dell’opera. Rispetto enormemente la passione e la conoscenza dell’animazione da parte di Cannarsi, non stimo il suo “metodo” di adattamento che contraddice secoli di scienza della traduzione.

Facciamo alcuni esempi?

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Gli Evangelion Unità-01, 00 e 02 diventano l’Unita Prima, l’Unità Zero e l’Unità Due, ricalcando gli originali Shogoki, Zerogoki e Nigoki. Fino a qui tutto abbastanza bene.
Il Progetto per il Perfezionamento dell’Uomo diventa il Progetto per il Completamento dell’Umanità, anche se personalmente avrei preferito l’uso del termine “Complementazione”. Fino a qui tutto abbastanza bene, ancora.

In questo adattamento i cognomi vengono messi prima dei nomi rispettando l’ordine giapponese, peccato che molti giapponesi pretendano di essere chiamati, in Occidente, secondo l’ordine occidentale nome-cognome, e a questo ordine siamo abituati. Va un po’ meno bene.
Vengono inseriti gli onorifici, ovvero i suffissi -chan, -san, -kun e via dicendo: in italiano la cosa non si può rendere letteralmente per ovvi motivi, dunque il suffisso dovrebbe essere reso con il tono della frase. Va un po’ meno bene. Lo stesso trattamento viene riservato all’abusato e inopportuno termine “senpai” pronunciato da Maya, quando basterebbe un “Dottoressa Akagi” per esprimere il tono di deferenza.
Nelle anticipazioni degli episodi successivi appare un misterioso “Omaggi, omaggi”, tentativo di resa in italiano di “Service, service”. È vero che nel 2019 la subcultura otaku è diffusa in Italia, ma non tutti sanno con precisione in che cosa consista il fanservice. Male.

 

Gli Angeli diventano apostoli, sebbene nell’anime abbiamo nomi di Angeli. È vero che per Anno i due termini sono sovrapponibili e intercambiabili e che nel pubblico giapponese il termine “shito” probabilmente non scatena nessun collegamento mentale, ma per il pubblico occidentale la cui cultura è fondata anche sul cristianesimo gli apostoli sono i discepoli di Gesù, umani, scelti da Cristo, non entità celesti di natura divina, misteriosa e “altra” rispetto all’uomo. Molto male.
Misato Katsuragi continua a ripetere “un pochitto”, una distorsione della locuzione italiana “un pochetto”. È un calco di un modo di dire giapponese? Un tentativo di riprendere il gergo di Misato? Probabilmente sì, ma per lo spettatore italiano ha un effetto straniante. Male.
La rabbia incontrollata in cui sovente versa l’Eva-01, precedentemente definita con il perfettamente calzante termine “berserk” nelle edizioni occidentali, viene reso con un inspiegabile “stato di furia” che suona davvero male all’orecchio. Male male male.

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Ora passiamo alle inutili e moleste complicazioni linguistiche con due esempi, uno all’inizio e uno alla fine dell’opera: nell’episodio 1 Gendo constata la volontà di Shinji di non pilotare l’Eva e decide di fare ricorso a Rei, rivolgendosi a Fuyutsuki nel seguente modo: “Fammi svegliare Rei”. Peccato che tale frase, in italiano, significhi che Gendo sta chiedendo a Fuyutsuki di dargli l’autorizzazione per svegliare Rei. “Sveglia Rei”, con un piglio secco e di comando, è la soluzione migliore e più fedele per rendere il tono imperativo di Gendo. Non ci siamo proprio.
In The End of Evangelion Asuka sta affrontando un momento critico per la propria vita (non vogliamo fare spoiler) e ripete ossessivamente “Di morire non mi va”. La scena è davvero drammatica ma questa battuta in italiano semplicemente non rende e distrae. “Non voglio morire” comunicherebbe perfettamente la disperazione del momento. Non ci siamo davvero.

E questi sono solo alcuni esempi: in più occasioni a un periodo semplice viene preferita una frase complessa con anticipazione della subordinata rispetto alla principale, e lo stesso vale per l’ordine snaturato di complementi, predicati e soggetti.

Passando alle altre novità, per quanto riguarda il doppiaggio la situazione è buona: al timone c’è l’esperto Fabrizio Mazzotta, direttore di doppiaggio che con perizia ha portato in salvo la nave e il suo equipaggio nonostante il mare in tempesta e che ha contribuito a individuare voci talentuose e calzanti ai personaggi; gli attori-doppiatori sono stati eroici perché, con poco tempo a disposizione e lavorando sui copioni di questo discusso adattamento, si sono comportati con professionalità su un’opera oggettivamente complessa, dovendo anche confrontarsi con lo storico amatissimo doppiaggio italiano.

Sugli scudi Stefano Broccoletti, davvero un eccellente Shinji Ikari, Sara Labidi (Asuka Soryu Langley) dal timbro molto giovanile accompagnato da un’ottima espressività, Roberto Draghetti (Gendo Ikari) che ci ha fatto viaggiare indietro nel tempo di 20 anni almeno e Lucrezia Marricchi (Rei Ayanami) che ha fornito una splendida interpretazione nel monologo dell’episodio 14.
Riprende il ruolo di Kozo Fuyutsuki il veterano Oliviero Dinelli e tornano a lavorare su Evangelion due voci conosciute dal pubblico italiano di Eva: Domitilla D’Amico (Misato Katsuragi) e Barbara De Bortoli (Ritsuko Akagi), promosse in questo caso a personaggi di rilievo (nel doppiaggio storico interpretavano rispettivamente Asuka da bambina e Maya Ibuki).

Il secondo giro di caffè, fortissimo, è ormai freddo: è giunto il momento di tirare le fila e confermiamo il giudizio espresso nel titolo. Il nuovo adattamento italiano di Evangelion su Netflix è un’occasione sprecata: questa sarebbe stata la volta buona per risolvere alcune imprecisioni, dovute all’inesperienza, del precedente adattamento ma così non è stato.

È emersa solo la cifra stilistica dell’adattatore, quando questo dovrebbe non apparire mai né essere riconoscibile per esaltare invece di volta in volta lo stile dell’autore dell’opera; un cast di talenti del doppiaggio e un anime seminale quale è Evangelion hanno ricevuto dei dialoghi non all’altezza, con un adattatore che indulge costantemente nel porre se stesso prima e davanti all’opera.

D’altronde Shinji Ikari persevera nella ripetizione dei propri errori…

Restate sintonizzati perché Distopia Evangelion continuerà a parlare di Evangelion assieme a DR COMMODORE, Anime & Manga [ITA] e all’Associazione Culturale EVA IMPACT.

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Filippo Petrucci

Filippo Petrucci

Mi dedico a un certo tipo di intrattenimento pop. Admin di Distopia Evangelion, storico sito italiano online dal 2003 dedicato a Eva, nel 2016 partecipa alla fondazione dell'Associazione Culturale EVA IMPACT.

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