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Il mio vicino Totoro | Se Miyazaki incontra Lewis Carroll

Il gioco dell’essere piccoli

Nel verde di una campagna indefinita che somiglia a tante, un uomo sorridente guida una camionetta che borbotta senza lamentarsi; nel retro destinato a un carico assolutamente ingombrante, due bambine si sono ricavate il loro posto in mezzo a una pila di libri.

Totoro

Ci affacciamo con loro dal finestrino per lasciarci sorprendere dalla meravigliosa normalità della periferia mentre il vento ci accarezza il viso.
Il paesaggio è rurale, le strade non sono asfaltate e la città sembra lontana.

“Mi chiamo Kusakabe ci stiamo trasferendo qui!”

Un padre con due bimbe si sta trasferendo a Tokorozawa, a circa 30 km da Tokyo.
Il motivo capiremo dopo essere una lunga degenza della madre, la quale è costretta a rimanere in un ospedale vicino.

Ad accoglierli c’è una casa impreparata, costruita vicino ad un bosco con un gigantesco albero di canfora.
Da qui inizia un nuovo viaggio di scoperta nel quale ci faremo guidare dalla fervida immaginazione delle due piccole protagoniste di 4 e 11 anni, perdendoci a volte tra fantasia e realtà.

La scoperta

“Diroccata” “Diroccata” “Cade a pezzi”

Così asseriranno le bambine una volta arrivate alla loro nuova casa.
I piedi che non riescono a stare fermi, le mani che tremano e gli occhi che iniziano a passare attenti in rassegna tutto quello che si trovano davanti; inizia il gioco del trasloco, che le porta a esplorare ogni angolo della nuova e suggestiva casa e a fare il loro primo incontro fantastico.

Satsuki e Mei impegnate attentamente nell’attività di esplorazione della nuova casa si troveranno per la prima volta da sole ad aprire una stanza.
La troveranno ricolma di strani “cosetti neri”, dei quali riusciranno solo a vedere il movimento non appena spalancata la porta.

“Non erano scarafaggi e neppure topi”

Così li descriveranno spaventate e eccitate allo stesso tempo al padre, il quale controllerà minuziosamente la stanza da bagno dove le bambine hanno fatto lo strano avvistamento, come quando un genitore si assicura che sotto il letto o nell’armadio non ci sia nessun mostro.

“Nerini del buio!”

Sentenzierà, dando così un nome alle bambine grazie al quale riusciranno quindi immaginare una forma nelle loro teste.
Ad aiutarle sarà anche al ricordo dei loro libri illustrati.
Cantano e li invocano allora, divertite li cercano.
La scala per la soffitta si trova dietro una porta che sembra quasi nascosta, una volta aperta il buio e l’ignoto le invitano a salire.
La sfida e la curiosità le chiamano al piano di sopra, si fanno coraggio e insieme salgono.
Urlano appena entrate nella stanza, come se ad aspettarle ci sia qualcosa o qualcuno. Questo è il modo che hanno di esorcizzare la paura, insieme alle risate che scacciano gli spauracchi. Satsuki corre nell’oscurità e veloce apre la finestra per far entrare la luce e scacciare l’oscurità, mentre qualcosa sembra muoversi nel buio.

“Mi sa che sono apparsi i corrifuliggine. […] Si trovano nelle vecchie case dove non c’è nessuno e lì cospargono tutto quanto di fuliggine e polvere…”

A darci una spiegazione più dettagliata è “la nonnina dei vicini”, li chiama corrifuliggine invece di nerini del buio.
Come spesso accade agli esserini legati alla nostra infanzia, cambiano nome da paese a paese, di città in città e a volte da famiglia a famiglia, ma si somigliano tutti.

“…quando ero piccola capitava anche a me di vederli. Ma certo ora li avrete potuti vedere anche voi. […] Se si mantiene il sorriso non fanno niente di male.”

Il patto è proprio questo, alcune cose le possono vedere solo i bambini poiché crescendo si perde questa capacità, proprio come accade alla nonnina.

I due maggio

La protagonista femminile dell’opera inizialmente doveva essere una sola.
Miyazaki deciderà poco prima dell’inizio ai lavori di sdoppiare il personaggio, il che si rivelerà assolutamente funzionale per rimarcare il confuso confine tra l’età dell’infanzia e quella adulta.

Mei (il quale suono ricorda la parola inglese may, ossia maggio) rappresenta l’innocenza, la fantasia, i capricci dell’infanzia.
Satsuki (termine usato in giapponese per indicare il quinto mese dell’anno, ossia maggio) invece si sta pian piano allontanando da quell’età, un po’ perché sta crescendo e un po’ perché obbligata dall’assenza della madre, alla quale cerca di sostituirsi come le è possibile nel quotidiano.

“I capelli di Mei li hai acconciati tu Satzuki? Proprio ben fatto.”

Satsuki cerca di colmare il vuoto lasciato dalla madre e allo stesso tempo mette da parte le sue preoccupazioni tenendosi occupata.
Si assume la responsabilità di preparare il pranzo per alleggerire il carico al padre, il quale oltre a lavorare cerca di seguire la casa come meglio può e assecondare i giochi delle bambine.

Totoro

Coscienziosa, la definirà la mamma.
Mei d’altro canto è una bambina e come bambina si comporta, seppure provi a imitare la sorella e dare una mano.
Non appena Satsuki proverà a ritagliarsi un suo spazio, che è quello della scuola, la piccola dovrà fare i conti nuovamente con il distacco, e come spesso accade ai più piccoli rifiuterà in tutti i modi la compagnia di un “estraneo”, la nonnina alla quale è stata affidata.
Con il volto rigato dalle lacrime pretenderà di raggiungere “la sorellona” a scuola
Satsuki vince l’imbarazzo, con permesso lascia la lezione e si dirige verso la sorella.
La rabbia non fa in tempo a trovarla e mossa da tenerezza proverà a ragionare con lei.
Mei è realmente triste, forse impaurita. Il suo è un pianto irrazionale, è il pianto di una bambina che non vuole stare da sola, una bambina che ha paura di essere abbandonata.
Mei si stringe forte alla gonna di sua sorella, che fa richiesta di tenerla con sé durante la lezione, non può fare altrimenti se desidera rimanere a scuola.

Totoro

Satsuki è come la mamma di Mei, e come mamma deve fare rinunce.
La sentiremo poco dopo congedarsi dai compagni appena conosciuti con il sorriso, chiedendo di avvertire che non andrà alle attività del club.

Satsuki però ha solo 11 anni ed è anche lei una bambina, una bambina che riesce a comportarsi da tale solo dopo aver chiesto il permesso a suo padre o in presenza della mamma, ad esempio quando rivendicherà il suo turno per ricevere un po’ di affetto e lasciarsi spazzolare i capelli dalla madre, forse l’unico modo che le è rimasto di prendersi cura delle sue figlie.

Totoro

Vedremo Satsuki più volte tentata dal credere alle meravigliose storie di Mei, domandare al padre quanto queste possano essere effettivamente plausibili, e solo dopo aver ricevuto una risposta positiva, proverà a lasciarsi andare al gioco della fantasia.

“Papà Mei dice di aver visto un Totoro! […] Era davvero qui? Dice che il buco è sparito. Lo vedremo ancora? Voglio vederlo anche io.”

Nella tana del Bianconiglio

La piccola Mei è una bambina che non va a scuola, che ha come unica compagna di giochi la sorella e il padre quando non è occupato con il lavoro.
L’impossibilità da parte di Satsuki e del padre di passare il tempo a giocare con la bambina è ovviamente legata agli impegni dell’età adulta.
Vediamo il primo giorno di scuola di Satsuki il padre lavorare mentre la piccola Mei cerca di richiamarne l’attenzione.
Chiede teneramente se sia già ora di pranzo, che per lei va a coincidere con l’ora del ritorno della sorella e alla risposta negativa prova a coinvolgerlo in uno dei suoi giochi.

“Papà tu sei il fioraio.”

Dice teneramente affacciandosi alla sua scrivania porgendogli dei fiori.
Miyazaki ci riporta ai giochi di fantasia dove qualsiasi cosa riuscivamo ad immaginare diventava reale.
Mei non trova risposta dal padre e mentre raccoglie una ghianda dopo l’altra vede due piccole orecchie bianche spuntare dall’erba.
Inizialmente sono solo orecchie, poi un piccolo e goffo esserino, che sembra non accorgersi di lei e prosegue per la sua strada, come se vivesse in un mondo dove lei non può entrare e dove lui non può essere visto.

Totoro

Pian piano questo assume un colore più nitido e la stessa Mei, che ne riesce a definire i contorni inizia a inseguirlo, obbligandolo ad accelerare il passo.
Prima lo spia da una fessura più realistica che si trova sotto la casa, dove riesce a scorgerne un altro; poi li inseguirà entrambi in un passaggio con il quale inizialmente si scontra e dove poi riesce ad entrare lasciandosi dietro il cappello, che la aiutava nel gioco di fare la grande e somigliare alla sorella, e infine riesce ad arrivare nella vera e propria tana dei due, la tana di Totoro.

Totoro

“…si era infilata dietro di lui, senza minimamente riflettere su come avrebbe poi fatto ad uscire. Per un po’ la tana si prolungava come una galleria, ma a un certo punto sprofondava all’improvviso, tanto all’improvviso che Alice non ebbe neanche un momento per pensare a fermarsi; e si trovò a precipitare giù per quello che pareva un pozzo assai profondo.”

(nda. Sono andata a rileggere la descrizione di Alice che fa il suo ingresso nella tana del Bianconiglio solamente dopo aver descritto il percorso i Mei.)

Vediamo Mei non solo addentrarsi nella tana, ma pian piano allontanarsi dal reale con la fessura prima, il bosco dopo, fino alla tana. Il suo è un percorso graduale con il quale si allontana dalla realtà e che, con le dovute differenze, assomiglia incredibilmente a quello di Alice, seppur questo sia sicuramente più rapido.

“E tu chi sei? […] Totoro, tu ti chiami totoro non è vero? E infatti sei un Totoro.”

Mei ha nuovamente bisogno di dare un nome a quello che vede, rendendolo così reale.

Viaggio nel Paese delle Meraviglie

E si trovò distesa sulla panca, con il capo in grembo a sua sorella, che le stava delicatamente togliendo dal viso delle foglie morte scese volteggiando dagli alberi.
<<Svegliati, Alice cara!>> diceva sua sorella <>
<> disse Alice. E raccontò alla sorella meglio che poté tutte queste sue strane Avventure che avete appena finito di leggere; e quand’ebbe finito, la sorella le diede un bacio e disse:<> così Alice si alzò e scappò via, ripensando meglio che poteva durante la corsa a che sogno meraviglioso era stato.

Allo stesso modo Satsuki trova la piccola Mei addormentata nel bosco dopo averla tanto cercata, con meno dolcezza, ma sempre chiamandola per nome, la sveglia.

“Mei, Mei! Ma insomma svegliati!”
[…]
“E Totoro? ma che… ma che…”
“Stavi facendo un sogno?”
“Totoro c’era davvero, sai.”
“Totoro dici come il troll che c’era sul libro illustrato.”
“Ha detto proprio di chiamarsi Totoro tutto peloso con una bocca fatta così…”

E proprio come fa Alice inizia a descrivere alla sorella i suoi incontri straordinari.

Il Paese delle Meraviglie esiste? O è solo un sogno dei bambini?
In cuor nostro speriamo da sempre che esista e pur di crederci silenziosamente accettiamo la regola che prevede che solo i bambini ci possano entrare, e che questo sia un luogo del quale i vivi ricordi sbiadiscono pian piano crescendo, fino a farci dubitare della sua reale esistenza.

Il confine tra sogno e reale

Gli incontri che vengono rappresentati più vividi tra Mei e il fantastico sono spesso in qualche modo legati al sonno.
Come abbiamo già detto la piccola verrà trovata addormentata nel bosco dopo aver fatto la conoscenza di Totoro, mentre alla fermata del bus la vedremo sbadigliare e addormentarsi sulle spalle di Sastuki.

“Ma sua sorella rimase ferma a sedere proprio dove Alice l’aveva lasciata, con la testa appoggiata sulla mano, a guardare il sole al tramonto e a pensare alla piccola Alice e a tutte le sue meravigliose Avventure, finché anche lei non si mise a sognare in un certo modo e questo fu il suo sogno […] e mentre ascoltava, o le pareva di ascoltare, tutto il luogo intorno a lei divenne vivo delle strane creature del sogno della sua sorellina.”

Totoro

Satsuki come abbiamo detto ha il desiderio inconscio di voler vivere le stesse avventure della sorella.
A smuovere la sua fantasia e permetterle di vedere per la prima volta Totoro, sarà proprio la stessa noia dell’attesa e forse un po’ di paura nel stare sola al buio sotto la pioggia.

Totoro

Sotto l’ombrello mentre attende, con la coda dell’occhio, inizierà a distinguere pian piano la forma di Totoro, al quale si rivolgerà sempre con fare materno, insegnandogli come si porta un ombrello.
Sempre legata alla responsabilità dell’attendere il padre rinuncerà con la piccola Mei a salire sul Gattobus, che ci viene mostrato ora per la prima volta.
Infine quando decideranno di raggiungere Totoro e gli altri due esserini nella danza per far crescere le piante le due verranno sorprese nel loro futon dove il giorno dopo si risveglieranno.

Il prezzo di crescere

Prima o poi tutti ci dobbiamo scontrare con la malattia.
Chi ci è già passato troverà incredibilmente realistiche alcune situazioni che ci vengono presentate da Miyazaki, figlie infatti della sua esperienza personale.
Nel film tutto è assolutamente realistico, la malattia non è protagonista, ma condiziona inevitabilmente la vita dei personaggi, senza mai assumere una funzione tragica e trascinante.
Quando la malattia si annida lenta in un nucleo familiare costringe tutti a costruire nuove abitudini, nelle quali ci si muove, rinnegandole come tali e considerandole provvisorie.
I grandi vanno avanti per la loro strada, perché si fa quel che si deve fare, soprattutto quando c’è l’innocenza di un bambino da proteggere e davanti al quale ci si deve mostrare forti.
Ci si tiene occupati e si fanno progetti a breve termine, mentre si immagina un domani che non arriva mai e che viene costantemente rimandato, fino a quando la speranza inizia a vacillare e la realtà si scontra con la paura del futuro incerto.
Si ripete agli altri e a se stessi che andrà tutto bene, ma l’incertezza del domani è l’unica costante.

La situazione della mamma in realtà ci è introdotta dall’inizio, una degenza che probabilmente è durata più del dovuto li costringerà al trasferimento.
Non è assolutamente una scelta comoda in quanto capiremo dopo costringerà il padre a prendere un bus e un treno per lavorare in Università.
Il trasferimento è presumibilmente l’unica possibilità.

La paura in realtà prende posto silenziosa insieme alla malattia, si siede con le persone a tavola, le segue a lavoro e si infila nel loro letto, fino a quando non decide di rompere il silenzio.

“Telegramma!”

Satsuki non sa cosa fare e si rivolge alla nonna che ne capisce l’urgenza e non esita a dare disposizioni alla bambina di aprire quel telegramma e non perdere neanche un minuto a contattare il padre. È un’altra caratteristica degli adulti: il peggio che possa succedere è sempre una possibilità.

Satsuki non ha tempo per occuparsi della sorellina e questa volta la lascia indietro, non per suo volere ma perché costretta dalla fretta di comunicare urgentemente con il padre, il quale sicuramente preoccupato manterrà la calma con la figlia.
Satsuki finalmente crolla e si sfoga.

“Mei le condizioni di salute della mamma non sono buone e quindi per stavolta rimandano il suo ritorno.”
“Non voglio!”
[…]
“Dai si rimanda solo di un pochino.”
“Non voglio!”
“E allora se la mamma morisse ti andrebbe bene?!”
“Non voglio!”

È la prima volta che si parla di morte e la stessa Mei, che la maggior parte delle volte si esprime in terza persona parlando di sé, usa la prima.

Mei

Il pianto della bambina è scomposto, cammina piano piano, mentre l’amico Kanta non può fare altro che seguirla in silenzio e tutto ciò è assolutamente realistico, dalla faccia deformata dalle lacrime al silenzio della casa vuota.
Il padre probabilmente è in ospedale e la nonnina si avvicina cercando di tenerle occupate con la scusa del bucato, consapevole di non poterle confortare in alcun modo.

La preoccupazione maggiore è rivolta a Satsuki, la quale giustamente crolla sotto il peso del suo essere forte e finalmente si sfoga facendo una delle domande alle quali nessuno può rispondere, neanche gli adulti.

“…anche l’altra volta era andata così, avrebbe dovuto ricoverarsi solo per un po’. Qualcosa che sembrava raffreddore. Se la mamma morisse che cosa farei?”

Mei

Mei che assiste a tutto questo decide anche lei di darsi da fare, convinta che la pannocchia possa donare nuova forza e salvare la mamma si incammina spedita verso l’ospedale, costringendo la sorella e la nonnina a mobilitarsi nel disperato tentativo di trovarla.

Satsuki

Sono attimi intensissimi di paura, la ricerca è ininterrotta e senza tregua come lo dimostrano i sandali consumati e i piedi lividi di Satsuki, il terrore culmina nella scoperta di un sandalo, trovano nell’acqua   alla quale si era detto più volte a Mei di fare attenzione.
Gli adulti ancora una volta pensano al peggio.

“Non è di Mei.”

A ricongiungerle sarà proprio l’aiuto del fantastico, Totoro a bordo del Gattobus vengono in soccorso e ci regalano un lieto epilogo.

“Una volta dimessa ho proprio intenzione di permettere a quelle bimbe di fare un bel pò di capricci.”

Grazie al cielo tiriamo un sospiro di sollievo e tutto d’un tratto aspettare un’altra settimana per le dimissioni della madre non ci sembra più così brutto.

La storia “davanti” l’opera (e non dietro)

La scelta di inserire o meno queste interpretazioni è stata assolutamente complicata.
Secondo alcune teorie Totoro sarebbe in realtà uno Shinigami (Dio della morte) che fa visita alle due bambine più volte, prima di portarle con sé a bordo del Gattobus, il quale sarebbe a sua volta una diversa rappresentazione di Caronte, il traghettatore dell’aldilà.

La teoria affonda le sue radici nel mettere a confronto gli eventi narrati con quelli di un fatto di cronaca del 1963 che interessò la stessa prefettura di Saitama e che ha come sfortunate protagoniste due sorelle.

La più grande di 16 anni venne rapita a maggio e ritrovata morta pochi giorni dopo. L’autopsia svelerà l’orrore di una violenza e poco tempo dopo la sorella minore si suiciderà.

I sostenitori di questa teoria fanno riferimento a diversi elementi come il nome delle bambine che secondo loro farebbe riferimento al mese in cui si consumò la tragedia.
I colori più tenui con le quali le due bambine vengono ritratte sul presunto “traghetto” per l’aldilà.
Secondo la teoria infatti Satsuki avrebbe riconosciuto nel sandalo quello della sorellina.
Una volta deciso di tacere la verità sarebbe fuggita nel bosco e avrebbe invocato la morte (Totoro/Shinigami) per la disperazione e per raggiungere così la sorellina nel regno dei morti.

Totoro

A chiudere il cerchio ci sarebbe l’arrivo in ospedale, nel quale le due però non entrano per salutare la madre, ma si limitano a osservarla appollaiate sull’albero.
Il padre non riesce a vederle, ma la madre, che sempre secondo questa teoria sta per morendo, riuscirebbe a vederle proprio per questa ragione.

E infine quello che ci viene mostrato nei titoli di coda non sarebbero altro che i disegni del padre delle due bambine in vita e del futuro che avrebbe immaginato per loro.

Il mio vicino

Prima però che iniziate a reputare plausibile questa teoria, vi fermo.
Niente di tutto ciò è vero.
Lo Studio Ghibli e Miyazaki stesso si sono più volte dovuti pronunciare sulla faccenda per smentire ogni possibile dubbio.

Totoro non è uno Shinigami e le bambine non sono morte.

Perché allora inserirla?
Vedere come una teoria, che è stata smentita più volte dallo stesso autore, abbia avuto così tanto successo è sicuramente una questione che va analizzata.

I motivi potrebbero essere due, il primo probabilmente è il desiderio di molti di dare un nuovo epilogo all’orribile vicenda che scosse parecchio il paese.

Il secondo invece è che è assolutamente funzionale nel farci rendere conto di come sia difficile per gli adulti prendere una storia così com’è; così come la ascolterebbero dei bambini.
Il seguito maggiore infatti non è dovuto a elementi che potrebbero essere reinterpretati quanto agli occhi corrotti degli adulti che non riescono ad accettare una storia che sia solo di fantasia e che debbano per forza trovare un senso più profondo a una storia e che per loro è inconcepibile come tale.

Cosa significano le 12 zampe del gattobus?
Come fanno le bambine a tornare realmente?
Totoro è in realtà uno Shinigami? E se non lo è cosa rappresenta realmente?

Il simbolismo dietro alle opere Ghibli e i moltissimi elementi che Miyazaki inserisce per colorare i suoi lungometraggi, possono a volte spingerci a riconoscere più significati di quelli reali. Stimola la nostra fantasia e così ci ritroviamo a immaginarne di diversi.
Dobbiamo però darci dei limiti lì dove li pone lo stesso Miyazaki, il resto non sono altro che congetture.

…e infine Totoro

Totoro è l’opera per i bambini, per bambini che fuggono la realtà rifugiandosi nella fantasia, ai quali però non si possono risparmiare i dispiaceri come l’assenza di una mamma costretta a letto malata.

I bambini sono sicuramente curiosi, ma anche capaci di immaginare risposte.
Crescendo abbiamo dimenticato come si fa e quello che ci rimane non è che la nostalgia per quell’epoca felice di falsi ricordi che abbiamo costruito con la nostra fantasia.
Di quando potevamo scegliere chi essere e affrontare sempre nuove incredibili avventure.

Totoro è la chiave

Tutti gli adulti che hanno spazio nell’opera condividono con noi un ricordo della loro infanzia.

Dapprima il padre che asseconda le figlie nella loro fantasia e confessa che il suo più grande sogno da piccolo era quello di vivere in una casa dei fantasmi.
La nonnina dei vicini, che con un sorriso nostalgico, condividerà il ricordo di quando da piccola riusciva a vedere anche lei i corrifuliggine e che ora tocca a loro che sono bambine;
Infine la madre, che vede nei capelli della piccola Satsuki una giovane se stessa ribelle e spettinata.

Gli adulti che purtroppo non possono nascondere le paure e i problemi della vita alle bambine, ne alimentano il sogno a occhi aperti e insieme a loro provano a rendere di nuovo vividi i ricordi sbiaditi delle loro infanzie.

Così se ne restò lì con gli occhi chiusi, quasi credendosi nel Paese delle Meraviglie, pur sapendo che le sarebbe bastato riaprirli e tutto sarebbe ridiventato la prosaica realtà…
[…] Infine si immaginò come questa sua stessa sorellina sarebbe diventata anche lei una donna adulta, nei tempi a venire; e come durante gli anni più maturi avrebbe serbato il cuore semplice e affettuoso della sua infanzia; e come avrebbe riunito intorno a sé altri bambini e avrebbe fatto a sua volta brillare di desiderio i loro occhi con molti racconti strani, forse perfino con il sogno del Paese delle Meraviglie di tanto tempo prima; e come avrebbe diviso tutti i loro semplici dolori e goduto di tutte le loro semplici gioie, nel ricordo della sua fanciullezza, e dei giorni felici d’estate.

E noi con loro.

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Chiara Porru

Chiara Porru

Eterna nostalgica degli anni ‘90, cresciuta immaginando un futuro lontano forse 1000 anni e che probabilmente non vedrò mai se non grazie ad anime, film e videogiochi. Qui su DrCommodore scrivo di anime e manga, dando finalmente voce a quella parte di me cresciuta leggendo Kappa Magazine e guardando anime su MTV.

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