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Paranoia Agent: la materializzazione della paranoia sociale

Chi è Satoshi Kon?

Quando parliamo di Satoshi Kon non ci riferiamo sicuramente ad un regista completamente di nicchia, ma ad un vero e proprio autore che qualsiasi vero appassionato di animazione giapponese ha sentito nominare almeno una volta.

Avendo avuto la fortuna di lavorare con mostri assoluti già consolidati come Otomo (regista di Akira) e di avere un talento non indifferente, riuscì ad affermarsi nel mondo dell’animazione giapponese in modo abbastanza rapido.
Satoshi Kon spicca sicuramente tanto da questo punto di vista e il suo esordio a livello qualitativo è davvero qualcosa di fuori dal comune.satoshikon

La sceneggiatura del mediometraggio Magnetic Rose in “Memories” mostra già una maturità non indifferente per uno che si approccia per la prima volta ad un’opera tanto particolare; cosa che effettivamente trova un certo consolidamento ed una certa costanza in tutte le sue opere future (Perfect Blue, Millennium Actress, Tokyo Godfathers).
Scomparso prematuramente, la sua carriera potrebbe essere definita come una vera e propria oasi di qualità; purtroppo però ha anche quel retrogusto amaro che lascia la morte di un autore dal calibro così elevato nella mente dello spettatore.

La visione della società di Kon e la mostruosizzazione del pettegolezzo

Paranoia Agent rappresenta senza ombra di dubbio l’opera in cui Kon ha trattato i vari temi nel modo più libero possibile, senza alcun tipo di vincolo o freno inibitore. Ciò è dovuto sicuramente al fatto che trattandosi di una serie di 13 episodi, ha avuto più tempo per trattare la società a 360 gradi ed analizzarla in ogni aspetto a lui caro.

Perfect Blue aveva già mostrato la visione dell’autore sul fenomeno delle idol e sulla sua mercificazione, con sprazzi di critica sociale relativa all’impatto che certi fenomeni hanno sulle masse; nonostante ciò, è comunque un film in cui la componente psycho-thriller è predominante. Kon gioca moltissimo sulla curiosità dello spettatore che, minuto dopo minuto, ricostruisce l’intera storia fatta di realtà ed illusioni mescolate continuamente, rendendo difficile capire cos’è vero e cosa non lo è.

Paranoia Agent parte proprio da un concetto simile: una giovane famosa disegnatrice (che ha partorito la mascotte Maromi) viene assalita da un ragazzino vandalo con una mazza da baseball, e tale aggressione diventa una vera e propria leggenda metropolitana. Questo ragazzino verrà denominato “shonen bat” e la vicenda inizierà a ripetersi su altre vittime, circolando tra la gente dei quartieri con modifiche via via sempre più evidenti; difatti il pettegolezzo distorce i fatti tramite un effetto domino non voluto da parte delle persone che ascoltano e non comprendono del tutto certe dinamiche, trasmettendo erroneamente la vicenda.

Satoshi Kon muove la prima critica verso la società tutta: una società superficiale che non si cura minimamente di sapere come realmente vanno le cose, ma che preferisce accontentarsi della chiacchierata scambiata con il proprio amichetto di turno, la cui versione dei fatti è indubbiamente distorta. In fondo va benissimo così, anche perchè è una società in cui siamo tutti spettatori della realtà finchè non ci tocca sul personale.

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L’influenza della società sul singolo e la concretizzazione della paranoia

La società giapponese è indubbiamente malsana per tantissimi aspetti e Kon non fa’ altro che evidenziare uno per uno tutti quegli aspetti dannosi che la caratterizzano. A mio avviso ciò è molto importante in un contesto come quello dell’animazione giapponese, in cui siamo abituati all’edulcorazione di diverse concetti a causa di un’eccessivo nazionalismo, alle volte nauseante.

Una società che oltre a non curarsi delle persone e che le sfrutta come mezzo produttivo (in un contesto lavorativo spesso massacrante oltre ogni decenza), accumula la frustrazione e la paranoia del singolo individuo, che non può esprimersi o seguire la propria natura; tale frustrazione va, di conseguenza, a manifestarsi sulla società tutta.

Ed è qui che la critica di Kon alla società giapponese si fonde con la poetica relativistica pirandelliana: siamo veramente quello che siamo perché seguiamo la nostra vera essenza, oppure la nostra personalità e la nostra natura sono state plasmate dal contesto sociale malsano in cui ci siamo ritrovati per puro caso? Quant’è difficile trovare un compromesso tra quello che vorremmo essere veramente e quello che la società si aspetta da noi?
Ebbene, penso che guardando un’opera intrisa di riflessioni sociali come Paranoia Agent, diventa davvero difficile non porsi delle domande di questo tipo; domande che tuttavia non trovano risposte, perché i confini tra una cosa e l’altra sono troppo poco definiti.

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La figura di “shonen bat” (figura molto enigmatica all’interno dell’opera) va’ a rappresentare la concretizzazione materiale della paranoia sociale. Satoshi Kon non fa’ altro che prendere un ragazzino vandalo che va’ ad incarnare tutto il marcio da cui la società è avviluppata, per fare i conti con tutte quelle persone che lo hanno in qualche modo “generato“.

L’importanza di trovare sè stessi tra sogno e realtà

Visto quanto la società si aspetta dall’individuo, sia in ambito lavorativo che umano, è naturale per molte persone arrivare a rinchiudersi, non accettando determinati aspetti e vivendo nell’illusione di una realtà fittizia (che può essere un passato che non si riesce a dimenticare o una situazione ideale che rappresenta per noi l’unica salvezza).
Kon, a mio parere, non demonizza atteggiamenti di questo tipo; egli considera quanto è opprimente e malata la società, facendo capire allo stesso tempo che non è possibile trovare la serenità in questo modo. E’ necessario invece scendere ad un giusto compromesso, facendo sì che la realtà non vada del tutto ad inglobarci.

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E’ necessario affrontare la realtà, per quanto dura, ed uscirne a testa alta, qualsiasi situazione ci capiti. Rifugiarsi nei sogni può sicuramente darci una serenità temporanea, ma solo affrontando la realtà e le nostre ombre più profonde è possibile sconfiggerle e fare dei passi in avanti per l’accettazione di sé stessi.

La regia autoriale di Satoshi Kon e Paranoia Agent nell’animazione post 2000

Chi già conosce Satoshi Kon sà benissimo qual è il suo linguaggio cinematografico e quant’è bravo a passare da un’inquadratura all’altra mediante match cut sapientemente gestiti; tali tecniche permettono all’autore di confondere continuamente lo spettatore, rendendo impossibile ad un certo punto distinguere cos’è vero e cosa non lo è. In Paranoia Agent il suo linguaggio registico trova anche un legame con la continua ricerca dei personaggi della realtà e non è mai virtuosismo registico fine a sè stesso: come mai prima d’ora, la sua regia va’ a fondersi alla perfezione con quelli che sono i messaggi e i contenuti che Kon vuole veicolare.

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Paranoia Agent rappresenta sicuramente una tappa di un certo spessore per uno dei registi d’animazione più importanti di sempre (sarà probabilmente un’esagerazione per molti, ma io la vedo così); un autore già consolidato da diverse pellicole incredibili si mette ulteriormente alla prova con il media seriale che sicuramente fino ad allora non gli competeva,  dimostrando di sapersi destreggiare benissimo anche con altri tipi di ritmi narrativi.
Satoshi Kon sfrutta quindi la durata maggiore dei 13 episodi complessivi e ne usa ogni minuto per analizzare più minuziosamente alcune situazioni che sarebbero state impossibili da affrontare in un lungometraggio in questa maniera, così eterogenea ed approfondita.

A mio parere questa serie rappresenta una vera e propria ventata di aria fresca nei confronti di un’animazione spesso troppo edulcorata e nazionalista, che di contro ci mostra la realtà per quella che è, senza filtri e senza limitazioni alcune. Per tale motivo Paranoia Agent non rappresenta soltanto un punto fermo nella carriera di Satoshi Kon, ma anche un vero e proprio cult dell’animazione giapponese che Kon, nella sua breve carriera stroncata prematuramente, ha lasciato all’umanità tutta.

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Tommaso Felici

Tommaso Felici

Sono veramente euforico

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