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Il reboot di LOST e il perché non ne sentiamo minimamente il bisogno

We (don’t) have to go back

Immaginate un panel pieno di giornalisti e di pezzi grossi dell’industria televisiva. Fate caso che durante un video promozionale dei più grandi successi di un canale appaia una scena cardine di uno dei serial più importanti degli ultimi decenni. E se poi il presidente di quell’emittente, incalzato dai giornalisti, affermasse che sarebbe bello un reboot di quella serie?

Invasione di cavallette, tenebre e morte dei primogeniti maschi sono nulla in confronto.

Durante l’annuale Television Critics Association Tour, in un panel dedicato all’emittente ABC è successo proprio questo. Karey Burke ha fatto intendere, ridendo ma non troppo, che gradirebbe un reboot di LOST, benché allo stato attuale non ci sia nulla di anche solo minimamente certo. Ma solo l’idea ci fa gelare il sangue nelle vene.

In passato su queste pagine, parlando di quelle serie iniziate bene e finite un pelino peggio, abbiamo già accennato di come (citando testuali parole) “LOST abbia cambiato il mondo della serialità, di come abbia cambiato le regole dei canali broadcast, avvicinandosi più ad una produzione cable e sia stata capace di reinventarsi stagione dopo stagione, proponendo sempre dei nuovi personaggi, contestualizzandoli e caratterizzandoli senza farli sfigurare in confronto a quelli precedentemente introdotti.”

Anche solo questo basterebbe a far capire quanto siamo contrari e preoccupati all’idea di una riedizione delle avventure dei passeggeri del volo Oceanic 815.

LOST, all’epoca, fu un vero game-changer. Uno di quei prodotti che riesce a cambiare le regole di un genere, alzando gli standard a livelli mai visti prima e diventando improvvisamente quello da inseguire, quello da raggiungere, quello da eguagliare. Un Maradona della serialità, se vogliamo. Un Michael Jordan del piccolo schermo. Un Tiger Woods della narrazione. E potremmo continuare queste metafore sportive fino all’imbrunire, quindi meglio fermarsi qui.

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In verità alla serie tv creata da JJ Abrambs ed andata in onda per 6 stagioni dal 2004 al 2010 una critica la possiamo fare. Ed è anche una di quelle grosse, anche se, in un certo senso, c’era da aspettarselo. Il finale di LOST è stato l’evento telefilmico più discusso della prima decade del terzo millennio. Le polemiche che ha generato non hanno eguali, raggiunte, forse, solo dall’epilogo di How I Met Your Mother alcuni anni più tardi.

C’era da aspettarselo, dicevamo, perché è stato un finale che non tutti hanno compreso (non subito, per lo meno) o, per meglio dire, non è stato il finale che tutti si aspettavano e volevano. Purtroppo quando hai tra le mani un gioiello del genere, sai già che il finale sarà discusso. Non tanto perché non piacerà (ci sono anche quelli, eh, ma sono pochi) ma perché sai già che dopo non ci sarà più niente. La tua Isola, il tuo porto sicuro svanisce con quegli ultimi 40 minuti e dopo ti resta l’amarezza e la consapevolezza che gli ultimi 6 anni della tua vita hanno raggiunto il termine.

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Tutti abbiamo provato queste sensazioni almeno una volta, è vero. Specialmente se siamo abituati a seguire le serie tv in contemporanea con la programmazione originale, con un episodio a settimana per poche settimane l’anno, magari con una pausa più o meno lunga per il periodo invernale, per poi arrivare a fine stagione e raggiungere la consapevolezza di dover aspettare mesi per il prossimo ciclo di episodi. E se quel prossimo ciclo non arrivasse mai? Se non fossimo pronti a lasciar andare i nostri beniamini che, se finemente caratterizzati, sono in grado di trasmettere emozioni e sentimenti come se fossero amici di vecchia data?

Quando a porsi queste domande non sono poche persone, ma milioni di appassionati in tutto il mondo allora capisci che, forse, la tua storia ha avuto successo. Capisci che hai creato e cresciuto quella che, nel bene o nel male, sarà ricordata come la miglior serie tv di tutti i tempi.

Quello che è successo il 23 maggio 2010 è stato pressappoco questo. L’apocalisse della serialità. Il D-day della televisione. La bomba atomica dei sentimenti.

E scusateci se poniamo poca fiducia in dirigenti, autori e produttori odierni, ma siamo davvero sicuri che saranno in grado di replicare il successo? Siamo certi di essere pronti a riaprire una ferita mai del tutto rimarginata? Ma soprattutto, se ne sente davvero il bisogno?

Noi, del dubbio, diciamo di no. Preferiamo continuare a vivere con i ricordi e le sensazioni che ci hanno trasmesso 6 anni di LOST, perché il viaggio è stato così bello che anche solo ricordarlo, ci permette di viverlo nuovamente. Per tutto il resto ci sono i rewatch.

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Gabriele Pati

Gabriele Pati

Cresciuto con libri di cibernetica, insalate di matematica e una massiccia dose di cinema e tv, nel tempo libero studia ingegneria, pratica sport e cerca nuovi modi per conquistare il mondo. Vanta il poco invidiabile record di essere stato uno dei primi con un account Netflix attivo alla mezzanotte del 22 ottobre 2015.

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