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Cuphead è la celebrazione dell’ingegno umano

“Don’t deal with the Devil!”

Dove eravate il 9 Giugno del 2014? Ogni giocatore che si rispetti aspetta il sesto mese dell’anno come un bimbo aspetta l’arrivo di Babbo Natale. Quel giorno, il sottoscritto si trovava nel proprio salotto di casa: il computer montato alla TV, gli amici, il classico cibo da aperitivo, le risate. Nonostante la calura fiorentina, come mancare di radunarsi per la manifestazione più importante dell’industria videoludica, Electronic Entertainment Expo? Probabilmente il fanciullino dentro di noi – il quale sta ancora soffiando dentro le cartucce del Game Boy mentre parliamo di risoluzione e frame rate – carica di troppa emotività l’evento – “but in the end, it doesn’t even matter“.

Chi non ha mai trattenuto le lacrime davanti alle classiche “bombe”? Chi non ha mai fatto il tifo o giocato al totoannunci? E3 è il momento dell’anno in cui i cuori sono aperti, pronti a ricevere stimoli per provare nuove emozioni. Il Giugno di Los Angeles è il momento dell’anno in cui la mente aspetta a gloria di sapere con quali opere d’arte potrà cibarsi nei mesi a venire. Quale occasione migliore per i fratelli Moldenhauer per presentare al mondo il loro progetto?

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Il logo di MHDR Studio!

Cuori nelle orbite, controller tra le mani

Cuphead è stato fin da subito una freccia di cupido dritta dentro il cuore. Quei pochi secondi di trailer, da guardare e riguardare, davano solo un assaggio della profondissima esperienza approdata su Xbox Live e Steam poco tempo addietro. L’opera è diventata million seller in un batter d’occhio, e mai ci saremmo immaginati un successo tanto folgorante. Che si parli di Esperienze Interattive Digitali, Letteratura o Cinema, la cifra del successo, specificamente nell’era di Internet, è la narrazione attorno a un prodotto. Più essa è articolata, estrema o bizzarra, più i nomi riecheggiano nell’Orlo Esterno della rete. Dopo una manciata di giorni dal rilascio, il meraviglioso titolo firmato MDHR Studio aveva già una narrazione attorno. Una narrazione monotematica, diradatasi come nebbia alla calura, che lo indicava come “il nuovo Dark Souls”.

Sappiamo bene come basti una semplice folata di vento per pizzicare le corde assordanti degli estimatori della celebre saga di Hidetaka Miyazaki, così come è noto che i detrattori facciano anche più baccano. Dunque, non perderemo tempo a demolire il paragone. Fortunatamente, sopracitata vuota affermazione ha lasciato spazio alle analisi più approfondite dei principi di design che rendono Cuphead un gioco impegnativo. Che abbiate finito il gioco, che lo stiate giocando, che ancora non l’abbiate comprato o che non sappiate nemmeno cosa sia, questo spazio dedicato a Cuphead fa al caso vostro.

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“Don’t Deal With The Devil!”

“Sembrava impossibile, ma ce l’abbiamo fatta!”

Lo sviluppo di Cuphead è stato travagliato. In che modo un progetto di appena tre persone, le quali lavoravano esclusivamente nel weekend, è riuscito a soddisfare le aspettative generatesi nel corso di tre lunghi anni? Come hanno fatto i Moldenhauer a rimanere in carreggiata in un panorama nel quale neppure i grandi team, con alle spalle publisher milionari, riescono a venire incontro al hype del pubblico?

“La verità è che abbiamo iniziato Cuphead come un team di tre persone che ci lavorava solo nel weekend. Con un team così piccolo sapevamo che avremmo dovuto creare un gioco contenuto. C’erano solo qualche boss, una manciata di armi e tutto era molto meno folle”

Cuphead si è evoluto nel tempo: nato come progetto dall’ambizione contenuta, destinato a stregare giocatori di tutte le fasce ed età. È stato il feedback dell’E3 2015, secondo anno di MDHR sul palco di Microsoft, che ha segnato la svolta. I giocatori, oltre l’estetica strabiliante, volevano di più. Intercettare la voglia di un’esperienza all’altezza del comparto audiovisivo è stato il colpo di genio dei Moldenhauer. In quel momento, il team ha capito di dover direzionare il progetto verso qualcosa di più articolato, non definito esclusivamente dalle boss fight.

“Ci siamo resi conto che c’erano moltissime persone che volevano che facessimo qualcosa di più. Mio fratello e io lasciammo i nostri lavori, ipotecammo le nostre case e iniziammo ad espandere il team. Questa era la nostra occasione per realizzare davvero il gioco che volevamo creare da parecchio tempo piuttosto che lanciare il gioco limitato che avevamo originariamente pianificato con un team di tre persone”.

Non perdiamo altro tempo e cerchiamo di capire i motivi della partenza bruciante di Cuphead, che pare non voler arrestare la sua corsa.

“C’era una volta…” – Il device narrativo 

Dopo la classica schermata che mostra il logo di MDHR, ci troviamo davanti alla prima scena animata del gioco. Cuphead e Mugman: pugni sui fianchi, sguardo vispo, dondolano davanti a noi come se anche loro fremessero per giocare. Premendo un tasto qualsiasi, un menù in bianco e nero – caratterizzato da grana e polvere tipici delle pellicole più datate – ci rimanda alla selezione della partita da uno dei tre slot disponibili, oppure alla schermata delle opzioni. Con sorpresa, qui avremo modo di regolare alcuni parametri che possono modificare la resa visiva del gioco per trovare la condizione di visibilità ottimale. Nonostante un’estetica così rigorosa e determinante, c’è comunque spazio per l’elemento imprescindibile del momento ludico: il giocatore.

Il gioco inizia con un breve incipit narrativo, attraverso il device di un libro da sfogliare. Negli anni ’30, Ub Iwerks e la sua ComiColor Cartoon utilizzavano questo espediente per narrare la storia del famoso Humpty Dumpty – un uovo antropomorfo – riprendendo il tema della fiaba classica raccontata nel libro illustrato. Cuphead e Mugman, contro l’avvertimento del nonno Elder Kettle, si recano al Casinò del Diavolo in persona. Qui vengono ingannati da una scommessa a dadi truccati, dalla quale escono perdenti. I due sono costretti a consegnare le proprie anime al signore degli Inferi, con una sola possibilità di salvarsi. Dunque, Cuphead e Mugman partono all’esplorazione delle Inkwell Isles per sconfiggere tutti i debitori del Diavolo, cosicché possa impossessarsi delle loro anime.

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Il Casino del Diavolo!

Il gioco riprende anche in questo l’essenzialità del linguaggio dei film animati degli anni ’30, in cui – laddove c’era – la morale era ben evidente e la narrazione comprensibile anche agli spettatori più giovani. Inoltre Cuphead, nella sua semplicità, dimostra come la narrazione non sia di vitale importanza a fronte di dinamiche solide e profonde. Il mercato contemporaneo, basato sull’ingordigia di diegesi da parte dei giocatori, viene ancora una volta colpito alle fondamenta.

Cuphead, come si evince dall’incipit, offre numerose boss fight, alternate a qualche livello run & gun, ai Mausolei e alle sfide aeree. Fin da subito si nota la precisione con cui ogni boss ed ogni percorso sono stati caratterizzati: animazioni, dettagli, espressioni e sfondi. Ogni cosa è al suo posto, tra sfocature, sbavature, imperfezioni tipiche di un arte che veniva realizzata a mano con strumentazione squisitamente fisica. Da non tralasciare è la componente sonora, fatta di versi, effetti tipici dei film d’animazione classici, e da una colonna sonora di quasi tre ore da ascoltare e riascoltare anche fuori dalle sessioni di gioco. Ogni stage ha una musica peculiare che si intreccia con le immagini a schermo, creando un coloratissimo teatro di emozioni del quale ci sentiremo partecipi fin dal primo balzo compiuto con Cuphead.

“IL GIOCO INIZIA CON…” – IL DEVICE NARRATIVO

I bozzetti di Cuphead! Un vero lavoro artigianale!

“Eppur si muove”, Moveset e controlli

Da dove iniziare per portare alla luce tutti i segreti di meccaniche tanto approfondite? Innanzitutto, Cuphead offre il moveset tipico dei run & gun. I tasti sono completamente mappabili, dunque non occorre citare i comandi esatti associati alle azioni. Ogni giocatore adatta lo schema del controller al proprio stile di gioco, e ciò è fondamentale dato l’elevato trial & error. Il movimento sugli assi può essere combinato al salto, corto o lungo, per ottenere movimenti in diagonale. Grazie al dash su asse orizzontale è possibile spostarsi rapidamente per un raggio ridotto. Cuphead può abbassarsi, dunque scendere da piattaforme sopraelevate combinando crouch e salto (Vi ricorda qualcuno?).

Lo shooting può avvenire in due modalità: in corsa e sul posto. Sparare in corsa limita la traiettoria alla direzione, mentre fermarsi – grazie al tasto mappato per il blocco– permette di accedere a tutti gli angoli di fuoco attorno al personaggio. In basso a sinistra, una barra composta da assi di carte indica la ricarica della mossa super – della quale parleremo più avanti. Il gioco dà la possibilità di eseguire il “Parry” sopra gli oggetti a schermo di colorazione rosa, tramite la pressione del tasto associato al salto una volta sopra di essi.

“NON FA MALE” – LA DIFFICOLTÀ

Un moveset semplice ma efficace!

“Hey Boss”, il cuore del gioco sono le boss fight

Cominciamo dicendo che ogni boss fight del gioco è suddivisa in step. La caratteristica che subito salta all’occhio è l’assenza della difficoltà progressiva. Il livello di impegno richiesto dal gioco è uguale in ogni momento delle boss fight. Oltre al cercare di arrecare danno al nemico tramite lo shooting, il giocatore deve essere pronto a saltare, abbassarsi, schivare e compiere parry. Ogni step ha un suo schema, fatto di suoni ed animazioni che preannunciano eventi particolari. Questi ultimi si intrecciano, creando una fitta rete di fenomeni a schermo, i quali devono essere tenuti a mente ed assimilati per passare oltre.

“HEY BOSS” – IL CUORE DEL GIOCO LE BOSS FIGHT

Una boss fight particolarmente intensa nella seconda isola Inkwell!

Con precisione geometrica, colpi e personaggi stravaganti popolano lo schermo. Con cadenza matematica, i suddetti compiono traiettorie particolari, si fermano per sparare proiettili colorati, o ancora mutano di forma cambiando repentinamente le carte in tavola. Cuphead si basa proprio sulla comprensione i pattern, la sintonia del giocatore con la cadenza di ogni mossa, e la capacità di rispondere ad ogni animazione con la giusta azione. In poche parole: capire lo schema, diventare parte di esso e distruggerlo dall’interno.

Un’alchimia particolare quella di Cuphead, una soluzione ben bilanciata che in tutta la durata dell’opera non ha mai mostrato una falla. Il gioco non presenta una difficoltà vuota, basata su un design fragile e su difetti di programmazione. Cuphead è fondamentalmente impegnativo – non punitivo – premia l’attenzione, la dedizione e la capacità intrinseca della mente umana di riconoscere pattern geometrici e intervalli matematici.

L’esplorazione delle Inkwell Isles avviene attraverso una mappa vista dall’alto. Al suo interno Cuphead può muoversi, interagire con buffi personaggi che talvolta danno consigli su come affrontare i vari livelli, e selezionare questi ultimi avvicinandosi alle strutture evidenziate.

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La mappa di Cuphead! Benvenuti nelle Inkwell Isles!

“Corri ragazzo laggiù…”, lo sfizio del livelli run & gun

I livelli run & gun sono l’ottimo modo per rilassarsi dopo le intense boss fight. Fin dalla prima isola, l’impressione è che questi livelli a scorrimento abbiano uno studio coreografico alla base. Se si guardasse dall’esterno una partita, senza la mediazione del controller, si noterebbe molto di più come la cadenza con cui si spostano gli oggetti sullo schermo, gli archi descritti dai salti di Cuphead e le rette descritte dal suo movimento assiale, facciano parte di un grande disegno.

Se dovessimo tracciare una linea che segua lo spostamento di ogni oggetto a schermo, non otterremmo un confuso groviglio, ma un ordinato intreccio di forme geometriche. Ciascuno di questi livelli, dopo circa tre fasi ben distinguibili – anche se non sempre la ripartizione è evidente – termina con un mini boss. La componente di platforming è più presente di quanto si possa aspettare, ben coordinata con lo shooting (pressoché continuo) e arricchita dalle centinaia di volte in cui il giocatore si trova a dover evitare minacce che attraversano lo schermo.

“CORRI RAGAZZO LAGGIÙ…” – LIVELLI SFIZIOSI RUN GUN

Un livello Run & Gun ricco di azione!

La suddetta è basata sulla precisione con cui si gestisce l’intensità dei salti, le distanze di atterraggio, il punto di arrivo dei dash, ma soprattutto sulla pazienza. Reminiscenza di storici platform basati su principi differenti, fa sì che alcuni giocatori abbiano la voglia irrefrenabile di spingere sull’acceleratore e completare gli stage con rapidità furibonda. Sebbene in molti giochi ciò possa risultare appagante – e dunque assecondato dal level design – Cuphead propone un avanzamento nel livello più lento e ponderato, nel quale il movimento rapido è consigliabile qualora si conosca davvero bene lo schema.

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Un livello Run & Gun di Cuphead

“Se il top del top, Topper”, i livelli aerei

Ad arricchire l’offerta del gioco si uniscono anche gli sfiziosi livelli aerei. In questi, il meglio dei livelli run & gun si combina alle boss fight, presentando degli step in cui riflessi e costanza nello shooting sono fondamentali. L’aereo che il giocatore può controllare presenta due modalità: una normale e una a dimensioni ridotte. Nella prima, la velocità e i danni inflitti hanno i valori standard, mentre nell’alternativa l’aereo si presenta in stazza ridotta, velocità aumentata (“velocità smodata!”) e danni considerevolmente meno efficaci. In molti livelli in volo il giocatore si trova a dover schivare oggetti non eliminabili, e spesso l’unico momento di respiro è dato da qualche parry da poter eseguire tra lo slalom.

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Una boss fight in aria

Al termine di ogni genere di livello, verrà mostrata la “pagella” del giocatore, con tanto di voto in lettere alla fine. Vari parametri indicano la maestria mostrata durante il gioco: tempo impiegato, parry compiuti, monete raccolte, vite consumate e via dicendo. Ciascun livello può essere giocato nella modalità Regular, oppure in una semplificata. Notate bene, i Moldenhauer dicono esplicitamente “Regular” e non “Hard”, come se volessero sottolineare che non è il gioco ad essere difficile, ma è il giocatore che deve prestare massima attenzione mentre è alle prese con esso. Un modo scherzoso di fare un piccolo appunto a quella ampia fascia di giocatori abituati ad esperienze semplificate all’osso, nonché alle software house che ne portano avanti il filone.

“SEI IL TOP DEL TOP TOPPER” – I LIVELLI IN AEREOPLANO

Qualcuno ha detto Hot Shots?

Questione di stile, la personalizzazione e i power up

Prima di parlare dei Mausolei e della loro funzione, occorre dare uno sguardo alla scheda del nostro personaggio. La scheda, accessibile solo dalla mappa delle isole, permette di personalizzare l’arsenale del protagonista. Il giocatore ha modo di scegliere tra due modalità di fuoco, un potere super ed uno charm. Non esiste una modalità di fuoco migliore, ognuna ha i suoi vantaggi e i suoi punti deboli. È il giocatore a dover capire quale è più adatta per certe sfide, andando a tentativi e seguendo i consigli degli NPC disposti lungo i percorsi della mappa. Tra il corto raggio abbinato ad un alto danno, e il lungo raggio accostato a danno ridotto, troveremo anche modi più fantasiosi di sparare, come i colpi boomerang. Ogni modalità di fuoco ha associata una modalità di fuoco speciale, associata agli assi di carte citati all’inizio dell’articolo. Un asso, un colpo speciale, il quale è più potente rispetto al fuoco standard.

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La scheda per la personalizzazione!

Agli assi di carte sono inoltre associati i poteri super. Il totale riempimento della barra degli assi, composta da cinque carte, comporta la possibilità di eseguire una mossa super scelta dalla scheda del personaggio. La barra degli assi si riempie progressivamente ad ogni colpo andato a segno sul nemico, oppure ricaricarsi di asso in asso ad ogni parry eseguito su un elemento ostile.

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I poteri Super

Una volta raggiunto il massimo di carica, è possibile eseguire la mossa super, la quale può essere scelta dal giocatore. La mossa super può essere, ad esempio, un colpo particolarmente potente in più direzioni, o la possibilità di diventare invulnerabili per qualche secondo. Lo charm è un power-up sempre attivo, il quale influenza particolari aspetti fissi delle meccaniche, come la ricarica della barra degli assi, il dash e il parry. Un esempio può essere l’invulnerabilità durante il dash, il parry automatico dopo il primo salto o la ricarica progressiva automatica della mossa super. È evidente che l’approccio al gioco cambia radicalmente a seconda di come il giocatore imposta la scheda di Cuphead. I vari poteri si combinano, stravolgendo ogni volta i tempi di reazione, la capacità offensiva e il modo in cui lo sguardo deve rivolgersi allo schermo.

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I poteri Charm a disposizione!

“Who you gonna call?”, i mausolei

Per concludere una panoramica completa sulle modalità offerte dal gioco, parliamo dei Mausolei. Questi ultimi sono dei veri e propri livelli a stage fisso, nei quali il giocatore è chiamato ad affrontare a soli colpi di parry un’ondata di fantasmi. I fantasmi, di diverse forme e dimensioni, attraversano lo schermo da più direzioni e compiendo traiettorie differenti, al fine di raggiungere il vaso al centro dello stage, il quale contiene uno spirito benevolo in grado di sbloccare gli slot per i power-up. La dinamica è semplice: se i fantasmi raggiungono il vaso, scatta il game over e occorre ritentare. I giocatori più reattivi possono cimentarsi in delle straordinarie catene di parry, rimanendo sempre a mezz’aria senza mai toccare il suolo.

Un mausoleo di Cuphead!

“Non fa male!”, la difficoltà

In definitiva, Cuphead è davvero così difficile? Creare la sfida – il nodo che si pone tra il giocatore e l’obiettivo – è un compito arduo, che richiede coordinazione tra le parti in fase di sviluppo. La difficoltà è qualcosa che si sviluppa su più livelli: design strutturale, level design, linguaggio visivo, design delle animazioni e via dicendo. Dunque, la risposta a suddetta domanda dipende dal paradigma. Se prendiamo come esempi di “giochi difficili” tutti quei titoli che basano la propria difficoltà su grosse lacune di programmazione e ancor più grandi difetti di design, allora la risposta è “no”. Sleghiandosi da confronti improduttivi, analizziamo Cuphead per quello che è: un’opera che fa della sfida l’obiettivo finale.

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Qualcuno ha detto Dark Souls?

Il divertimento è l’impegno stesso, e la gratificazione viene dal sentire la propria mente operare, coordinarsi con le dita, riconoscere gli schemi e diventarne parte fino alla fine del livello. La soddisfazione sta nel riuscire a compiere determinate mosse dopo tanta ponderazione, nel saltare per evitare un colpo, contemporaneamente schivare un nemico con il dash della salvezza, sparare nel punto giusto a mezz’aria ed infine atterrare con precisione millimetrica su una piattaforma sospesa.

Cuphead è difficile se nella testa di chi gioca “difficoltà” e “impegno” coincidono. Questa coincidenza scaturisce da anni ed anni di progressivo appiattimento delle esperienze proposte sul mercato di massa. In base a ciò, pare quasi un miracolo (o solo il frutto di una fortunata campagna marketing) che il grande pubblico abbia mantenuto un interesse altissimo verso Cuphead durante le prime settimane sul mercato. Eppure siamo qua, segno che la percezione dell’istanza ludica – discussa in un altro editoriale – è davvero prerogativa istintuale e schermata dalle pressioni esterne.

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Il gioco “difficile”.

Sono diversi i casi di persone che, per la narrazione costruitasi attorno al gioco, preferiscono ammirarlo dall’esterno. Più numerosi i giocatori scontratisi in modo traumatico con il gioco, abbandonandolo dopo qualche tentativo o addirittura ricorrendo a insensate guide online. Tuttavia, con piacere – scorrendo forum e gruppi Facebook – si nota come la maggior parte degli acquirenti non si sia data per vinta ed abbia continuato a giocare a Cuphead fino in fondo, o quasi.

Si può fare un’ulteriore considerazione, forse lievemente stirata, ma senz’altro interessante come chiave di lettura. Se l’elevato livello di sfida, il quale porta a provare e riprovare quasi tutti i passaggi del gioco, fosse inoltre un espediente per rendere omaggio alla meravigliosa direzione artistica? Ogni volta che il giocatore rientra in campo dopo un game over, ha modo di notare nuovi dettagli, nuove animazioni, cambi cromatici, oggetti sullo sfondo e molto altro, che in un’esperienza “mordi e fuggi” passerebbero inosservati come l’acqua sotto i ponti.

Lascio l’analisi del lato artistico ad una persona stimata, che ha avuto la pazienza di realizzare un documentario che si propone di mettere in luce tutte le citazioni rintracciabili all’interno di Cuphead. Vi invito a vedere fino in fondo il video, e di aprire bene gli occhi quando siete davanti al gioco. Il delegato è Dario Moccia, persona che negli anni ha dimostrato la propria competenza nell’ambito del fumetto e dell’animazione, il quale ha anche una certo trascorso in ambito videoludico.

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